CARPI
“Oggi – senza odio né rancore, ma con partecipazione viva e convinta – ricordiamo la Resistenza”. Lo ha affermato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella intervenendo al Teatro Comunale di Carpi in occasione delle celebrazioni per la Festa della Liberazione. “In tante famiglie italiane c’è una storia, grande o piccola, di eroismo. Perché lo facevano? Coraggio, ideologia, principi morali, senso del dovere, disillusione, pietas umana, senso comune… Tante e diverse furono le storie, tante e diverse le motivazioni. L’insieme di tutte queste – ha aggiunto – fu la Resistenza”.
Parlando nella cittadina emiliana, il Capo dello Stato ha poi sottolineato – definendo “nostri fratelli” i membri della Brigata Ebraica – come “vi furono uomini liberi che sbarcarono nell’Italia occupata e versarono il loro sangue anche per la nostra libertà. A questi caduti rivolgiamo un pensiero riconoscente. Il loro sangue è quello dei nostri fratelli. Tra questi non possiamo dimenticare i 5000 volontari della Brigata Ebraica, italiani e non, giunti dalla Palestina per combattere con il loro vessillo in Toscana e in Emilia-Romagna”.
Nel suo intervento, ancora, Mattarella ha evidenziato come senza la Resistenza “non vi sarebbe l’Italia libera e democratica” e toccato il tasto del terrorismo “Oggi, di fronte alla minaccia di un nemico insidioso e vile, che vorrebbe instaurare, attraverso atti di terrorismo, una condizione di paura, di dominio, di odio, rispondiamo” come negli anni della Resistenza, “come negli anni settanta, che noi non ci piegheremo alla loro violenza e che non prevarranno”.
Il Presidente della Repubblica era arrivato in mattinata nella città del Modenese e aveva depositato la Corona d’alloro al Monumento dei Caduti nella piazza centrale del paese e subito dopo aveva fatto ingresso nel Teatro Comunale per la cerimonia ufficiale del 25 aprile.
Nel pomeriggio, è in programma la vista al campo di concentramento di Fossoli. Ad accogliere Mattarella, oltre al sindaco di Carpi Alberto Bellelli e al vice presidente della Camera Simone Baldelli, anche alcuni parlamentari emiliani: tra gli altri il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti; la senatrice, Maria Cecilia Guerra e il deputato, Pier Luigi Castagnetti.
BOLOGNA
Dal palco di Piazza Nettuno di Bologna la presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini cita la Costituzione e la legge Scelba sull’apologia del fascismo e il divieto di ricostituzione del partito fascista, nel suo discorso per la 72/a Festa della Liberazione.
“Una legge oggi messa in crisi”, dice citando una ricerca fatta dall’Anpi: “ci sono 2.700 pagine Facebook legate all’estrema destra, trenta delle quali sono apologetiche. Un pericolo reale, non possiamo trascurare questa presenza che aleggia. L’apologia del fascismo non può essere vietata in tutti i luoghi tranne che su Facebook”. Proprio per questo motivo, la presidente della Camera si è rivolta direttamente al fondatore del social network Mark Zuckerberg: “glielo dico da qua: signor Zuckerberg, prenda coraggio, cancelli quelle pagine di vergogna, lo faccia e avrà il rispetto di tutti noi”.
Dopo l’intervento in Piazza Nettuno, la presidentessa della Camera, Laura Boldrini aveva in programma una visita alla scuola di via Turati in cui è stato dipinto un murales raffigurante la partigiana bolognese Irma Bandiera, e una a Villa Spada, altro luogo simbolo della Resistenza. “Lì sono morte 128 donne bolognesi – ha osservato – donne coraggiose a cui bisogna rendere merito. Insieme ai padri della Repubblica ci sono le madri della Repubblica, e vanno onorate. Insieme ai partigiani c’erano le partigiane, donne misconosciute, tenute per vent’anni sotto il giogo: la Liberazione per loro è stata una riscossa, il riconoscimento dell’esistere come soggetto, anche nell’entrare in una cabina elettorale”. Quindi, ha concluso Boldrini, “siamo il 50% della popolazione, non possiamo essere messe da parte, e bisogna dare un riconoscimento a quelle donne che hanno creato la Repubblica”.
Parlando dal palco, Boldrini, ha anche invitato a non delegittimare le istituzioni. “Non esiste democrazia senza Parlamento, senza partiti, senza sindacati, senza associazioni. Il Parlamento va rinnovato, i sindacati devono essere vicini ai giovani, ma – ha scandito – non dobbiamo mai delegittimare queste istituzioni se non vogliamo compromettere quei valori per cui sono morti i padri e le madri della Repubblica”.
(fonte Agenzia Ansa)
REGGIO EMILIA
Il sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi è intervenuto stamani, in piazza Martiri del 7 Luglio, alla Celebrazione del 72° anniversario della Liberazione, a cui hanno preso parte numerosi cittadini. Dopo la messa di suffragio celebrata in Ghiara da don Giuseppe Dossetti, il corteo per le strade della città accompagnato dalla Banda filarmonica Città del Tricolore e la deposizione delle corone ai monumenti alla Resistenza e ai Caduti di tutte le guerre, si sono svolti gli interventi dello stesso sindaco, del presidente della Provincia Giammaria Manghi, dell’onorevole Danilo Morini presidente di Alpi Apc in rappresentanza della Associazioni partigiane e degli studenti Beatrice Cottafavi, Chiara Ferretti e Maria Cristina Blancato (del Liceo Canossa) e Luca Costi (dell’Iti Nobili), che hanno partecipato al Viaggio della Memoria 2017.
Di seguito il testo del discorso pronunciato stamani dal sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi:
Buon 25 Aprile a tutti i presenti!
Un saluto alle autorità civili, religiose, militari.
Alle associazioni partigiane e a tutte le associazioni dei combattenti e dei reduci.
E naturalmente un saluto a tutti i cittadini che ancora una volta sono qui con noi quest’oggi: siete numerosi, mai così tanti da diverso tempo!
Ogni anno la nostra Repubblica, il nostro paese, nel ritrovarsi il 25 Aprile celebra un momento che è divenuto punto di riferimento della nostra identità.
Da allora tanto è cambiato nel mondo, 72 anni sono tanti, ma quel moto di ribellione alla dittatura e all’occupazione nazifascista rappresentò un esperienza di riscatto e di recupero della dignità di una nazione dopo gli anni orribili e distruttivi del fascismo e della seconda guerra mondiale.
Mi è capitato già in altre occasioni di pensare e riflettere su una serie di avvenimenti e di fatti che segnarono quegli anni anche nella nostra città.
Il 28 Luglio del 1943, 9 reggiani e una donna incinta furono uccisi nell’eccidio delle ex Reggiane, perché stavano manifestando e chiedendo con forza la fine della guerra. Poche settimane dopo arrivò 8 settembre. L’armistizio, la fuga dei vertici delle istituzioni, la fuga del Re, la dissoluzione dello Stato con 815.000 militari che rimasero senza ordini, catturati e deportati con la qualifica di Imi (Internati Militari Italiani).
Da li partirono i 18 mesi che condussero alla liberazione del 25 aprile 1945.
Non si può comprendere il senso di quei 18 mesi se non lo si lega a ciò che vi fu prima, alle violenze disumane del nazifascismo, all’oppressione della dittatura, a quel 8 settembre da cui partì un moto di rivolta morale orientato verso un bisogno di libertà, di pace, di giustizia e di solidarietà.
Non è dunque solo un momento di celebrazione della memoria ma è la consapevolezza profonda che in quelle vicende vi si trova ancora oggi il fondamento etico di una nazione che poi ha trovato il suo approdo naturale nella Costituzione repubblicana del 1948.
I principi costituzionali sono la Carta Fondamentale e sono il frutto del 25 aprile del 1945. Il riferimento morale su cui si base il livello di civiltà e il patto di convivenza del nostro paese.
Chi erano i partigiani? Con le parole di Bob Kennedy, potremmo dire che erano ragazzi giovani che sognavano “cose che non sono mai state” e hanno deciso di “realizzarle”.
Nessuno di loro, per ragioni anagrafiche, aveva visto la democrazia e la libertà. E nessuno di loro aveva vissuto la democrazia e la libertà come la viviamo noi oggi. Eppure, hanno scelto, con coraggio, di lottare e combattere, con privazioni inimmaginabili, con tormenti atroci, arrivando fino a mettere nel conto la perdita della vita.
Sono caduti loro per dare a noi libertà e democrazia.
Il secolo scorso, in particolare a partire dall’immediato dopoguerra, è stato il secolo dell’estensione della democrazia su larga parte della scala globale e con essa del più lungo periodo di pace che l’Europa abbia mai conosciuto nella propria storia.
Questo processo è stato in gran parte parallelo all’estensione e al riconoscimento progressivo dell’Inviolabilità umana come principio fondamentale della Persona, della dignità umana come principio costituzionalmente garantito.
Una visione democratica ed umanistica riconosce nella stretta connessione tra il valore indisponibile della dignità umana, l’eguaglianza sostanziale dei cittadini, il primato della legalità e la solidale fratellanza i presupposti fondamentale della convivenza civile.
E’ qui che trova fondamento il bisogno dell’altro, il riconoscimento dell’altro e della sua diversità.
Non dunque una democrazia da esportare, e non c’è niente di più sciagurato in tutto questo, ma piuttosto una società nella quale l’eguaglianza dei cittadini come titolari di diritti e doveri è il punto di riferimento dell’incontro e della relazione tra diversi.
Sono valori che non ci sono caduti addosso. Sono questi valori, fondanti la convivenza democratica, la più grande eredità che antifascismo e resistenza ci hanno consegnato.
Barack Obama nel discorso di insediamento al secondo mandato disse:
“Attraverso il sangue versato dalla frusta e quello versato dalla spada, abbiamo imparato che nessuna Unione fondata su principi di libertà e di eguaglianza potrebbe sopravvivere se è per metà schiava e per metà libera. Ci siamo rinnovati, promettendoci di andare avanti insieme”.
In queste parole si trova il senso anche della nostra festa, una festa che è di tutti, non di ‘qualcun altro’, ma di un Paese intero e della sua democrazia.
Di fronte ad alcuni dei grandi drammi umani del nostro tempo, come quello dei milioni di rifugiati in fuga verso le nostre terre, dobbiamo decidere se vogliamo essere soltanto culturalmente subalterni a chi erige muri, confini, fili spinati. O se invece, anche in nome dei valori che il 25 aprile ci ha consegnato, vogliamo essere protagonisti di un mondo che continui ad essere aperto e plurale, dove il diverso non sia vissuto come generatore di paura ma uno degli elementi fondamentali di un patto di convivenza e di un nuovo umanesimo.
In fondo anche Casa Cervi fu il luogo dell’accoglienza delle culture, delle nazionalità, delle religioni ma sopratutto del bisogno.
Quel filo che dall’antifascismo alla resistenza, dalla liberazione alla costituzione pose le basi di una certa idea di Europa. In fondo non è una stravaganza storica sostenere che l’Unione Europea trovi il suo fondamento morale nella Resistenza europea, nella sconfitta del nazifascismo, nella capacità di questo grande continente come ha ben detto Edgar Morin “di essere teatro delle più grandi atrocità umane e al tempo stesso luogo e comunità delle più grandi imprese scientifiche e umanistiche e della nascita della moderna civiltà democratica”.
Quell’idea di Europa che oggi rischia di essere rimessa in discussione nelle sue fondamenta se non addirittura compromessa in modo irrimediabile.
E forse mai come in questo momento tornano d’attualità le parole con cui Altiero Spinelli nel manifesto di Ventotene invitava già allora i popoli europei a trovare il coraggio di contrapporsi alle pulsioni nazionalistiche, alle derive autoritarie, all’idea di Stati nazionali chiusi in se stessi, anteponendo a questi processi un idea di Europa basata su una grande Federazione di Stati, dotata di governo politico, legittimato dal voto e capace di promuovere una società più giusta.
Qualcosa che coincide con un Europa Politica, qualcosa di molto diverso da una Europa unicamente fondata sulla moneta unica e sul dominio della finanza.
La crisi, diceva Antonio Gramsci, è quel momento in cui “il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere…”.
Ed è indubbio che noi oggi siamo li, nel pieno di una crisi della prospettiva europea ma non ancora sufficientemente aggrappati ad una grande idea che riconsegni a milioni di cittadini europei l’idea di Europa come una speranza e non come una prospettiva generatrice di inquietudini e paure.
In tutta questa lunga storia Reggio Emilia non è mai stata alla finestra ad aspettare e subire il destino del proprio tempo, ma ha sempre saputo essere, anche a costo di dolorosi sacrifici, in prima linea, ha sempre saputo essere fondamentale crocevia della storia politica del nostro paese.
Lo è stata il 7 Gennaio 1797 anticipando ed avviando un processo risorgimentale e repubblicano che ha visto nascere qui in questa città il Primo Tricolore.
Lo è stata nella intransigente esperienza antifascista. Lo è stata il 28 luglio del 1943 alle Reggiane.
Lo è stata a Cervarolo e a Bettola, lo è stata a Fabbrico e allo Sparavalle, lo è stata nel sacrificio di Don Pasquino Borghi e dei sette Fratelli Cervi, lo è stato nell’esperienza collettiva di una resistenza che gli è valsa la Medaglia d’oro al Valore Militare.
Lo è stata nel contributo alla scrittura della Costituzione con Dossetti, Ruini e Nilde Iotti.
Lo è stata anche il 7 Luglio del 1960 quando, in questa piazza, lo Stato sparò a se stesso uccidendo cinque giovani con le magliette a strisce.
Reggio oggi può vantare un sistema educativo tra i più qualificati al mondo, un sistema sanitario di assoluta eccellenza, un protagonismo civico che si concretizza ogni giorno nell’essere città del volontariato per eccellenza, una vivacità culturale che ci porta ad avere 900.000 presenze ogni anno nelle nostre biblioteche, oltre 10.000 persone che ogni mese partecipano alle attività dei nostri teatri, una città che può vantare ogni anno oltre 1.000 studenti in viaggio verso i luoghi della memoria e una economia che, pur fra fatiche e sofferenze, è ripartita e che ha ripreso a segnare parametri occupazionali tra i più alti d’Europa.
Ma è essenzialmente nel suo livello di civiltà che Reggio ha trovato la sua forza e che Howard Gardner ha colto perfettamente definendoci “una grande comunità etica”.
E’ essenzialmente in quel livello di civiltà che troviamo la forza di rispondere ai grandi problemi del nostro tempo, impegnati sul fronte della cultura della legalità per sconfiggere ogni forma di infiltrazione mafiosa nei nostri territori, consapevoli della grande difficoltà che ogni giorno ci impegna sull’accoglienza e e la gestione dei rifugiati.
Ma sopratutto è il livello di civiltà di questa città che ha fatto si che ci si sia sempre occupati degli ultimi, prima ancora di chi è primo e può correre forte.
E’ nel suo livello di civiltà che Reggio ha trovato il giacimento valoriale per costruire la propria identità, la propria comunità di generazione in generazione.
Pochi giorni fa abbiamo ricevuto in Sala del Tricolore Paola e Claudio Regeni, genitori di Giulio Regeni. Lo abbiamo fatto perché fin dal giorno del ritrovamento questa città ha chiesto verità, e la verità è una sola, non ci sono mezze verità e continueremo a tenere vivo il nostro impegno fino a quando quel risultato sarà compiuto.
La mamma di Giulio mi ha detto tre cose che penso siano rivolte alla città intera.
“Giulio è morto come i fratelli Cervi perché era un uomo libero”.
Poi mi ha chiesto di fotografare la Sala del Tricolore dicendomi “perché tutto è partito qui… ”.
E infine mi ha detto una cosa bellissima, “voi siete così perché avete le più belle scuole dell’infanzia del mondo e questo fa crescere il vostro essere cittadini”.
Ecco carissimi, in un mondo dove la democrazia è in discussione, e talvolta sembra non bastare più a se stessa, noi siamo questa cosa qui.
Discendenti dei partigiani e dei costituenti, figli di questa lunga storia, figli del senso profondo di questa lunga storia.
E quel trattore e quel mappamondo, che anche oggi visiteremo a Casa Cervi, che sta lì da oltre un secolo, è il simbolo potente, antico e contemporaneo al tempo stesso di ciò che siamo.
Lì c’è quel che siamo: la solidità dei nostri valori, quelli che nascono dalla terra, coltivati e lavorati dal trattore, lì c’è lo sguardo sul mondo, l’importanza dell’educazione, del sapere, della cultura plasticamente rappresentato da quel mappamondo.
Lì c’è una idea di cittadinanza, un modo di essere comunità, l’eredità migliore che la resistenza ci ha lasciato.
W Reggio Emilia e W il 25 Aprile!