Riceviamo e pubblichiamo da Massimo Lensi, radicale, ex consigliere provinciale, fra i fondatori del gruppo Progetto Firenze, che da anni si dedica ai problemi del carcere e del concetto di pena nel suo mutare:
“Nuove aporie. La vicenda degli arresti in Francia di numerosi esponenti degli Anni di Piombo, ha riportato il dibattito sul senso della pena indietro di quarant’anni. Non ha più ragione parlare oggi di funzione rieducativa della pena in senso stretto, al limite si può insistere sul concetto di “efficacia” rieducativa, ma funzione proprio no. Non si tende a parlarne (quasi) più in dottrina (penalisti e costituzionalisti), nella giurisprudenza della Corte Costituzionale e in quella delle sezione unite della Cassazione. Oggi si preferisce indicare nel reinserimento e nella risocializzazione (interna ed esterna) le principali necessità della pena insieme al primo elemento funzionale, che è e rimane quello retributivo (afflittivo o punitivo: come vi pare meglio). Si parla anche di recupero sociale, di ravvedimento e anche di riadattamento, sempre sociale. L’art. 27 (terzo comma) della Costituzione è stato sviscerato e interpretato da decine di punti di vista. In Costituente qualcuno tentò di proporre il concetto di ravvedimento “morale”, ma per fortuna fu zittito.
Sono sopraggiunte nel tempo nuove concezioni della penalità, grazie soprattutto alla decisione della Corte di smantellare l’interpretazione letterale (sentenza 1/2013) considerata “metodo primitivo, sempre”. E allora ecco arrivare nuove funzioni. Concezioni della penalità legate fortemente alla dissuasione, alla prevenzione generale e speciale e alla prevenzione speciale negativa, senza però definire un chiaro ordine gerarchico riguardo ai due principali elementi del castello punitivo. Nasce la polifunzionalità della pena. Ed è spuntato perfino un vero diritto alla rieducazione, aspetto ben diverso dalla funzione rieducativa. Il senso è chiaro: il diritto del detenuto a chiedere il riesame per costatare se, in effetti, il protrarsi della pena abbia, o no, assolto il compito rieducativo (in senso, come abbiamo visto, di efficacia). C’è anche chi vede nella pura efficacia (vera e propria, senza aggettivi) della pena (e dell’esecuzione) l’unica vera funzionalità possibile. Con il passare del tempo, a seguito specialmente di quest’ultima impostazione ha iniziato a far capolino la funzione riparativa-conciliativa, a partire dai bisogni delle vittime. Una visione apprezzata dalla ministra della Giustizia, Marta Cartabia, ma malvista da molti esperti del settore in quanto considerata una forma di privatizzazione della reazione punitiva.
Insomma, oltre a intravedere in questo lungo percorso il mai sopito battagliare tra Scuola Classica e Scuola Positiva del diritto, credo sia opportuno declinare diversamente il concetto di “funzione rieducativa della pena”. Il riferimento strumentale ai campi di lavoro rieducativi della giustizia cinese è dietro l’angolo”.
Massimo Lensi