Apparentemente i due sfidanti principali alle prossime amministrative, da una parte Marco Massari del Pd (ma lui non ha la tessera e ha ripetuto in tutte le salse che giammai l’avrà) con centrosinistra più o meno annesso, dall’altra l’avvocato Giovanni Tarquini, finalmente presentatosi a nome di tutto il centrodestra dopo un parto assai tormentato, hanno rotto i pubblici indugi nelle location più consone al loro retaggio. Massari in quel Circolo dell’Orologio che occupò collettivamente da giovin Fgci per conto del Sol dell’Avvenire, Tarquini invece in quell’hotel Posta, già Palazzo del Capitano del Popolo, ultima dimora di Sigismondo d’Este tra la fine del ‘400 e gli inizi del ‘500, da Luogotenente e capitano di Reggio. Sala del Capitano che proprio in queste ore è la scenografia del lanciatissimo e destrissimo generale Roberto Vannacci.
Apparentemente. Perché in realtà le prime uscite dei duellanti stanno scompaginando e di brutto le carte politiche in tavola. Da una parte Massari che spara sulla necessità dell’esercito in stazione, subito tacciato da una parte degli alleati, tranne il fido Claudio Guidetti di Azione, a testimonianza della assai traballante unità d’intenti che aleggia dalle loro parti, di voler fare lo sceriffo e così superando a destra Tarquini. Dall’altra lo stesso Tarquini che, al netto della presentazione-fiume del Posta, sembra prendere le distanze dalla giunta Vecchi molto meno rispetto a Massari. Cercando così di accreditarsi anche un po’ a sinistra.
I due in sostanza, ben consapevoli della volatilità dell’elettorato e della precarietà delle alleanze come confermato dalle recenti elezioni regionali, sgomitano per spostarsi un po’ più al centro rispetto alla loro storia (Massari) o alla loro attualità (Tarquini). Perché le elezioni abruzzesi hanno restituito una lezione-sentenza sia al sinistro campo largo, laddove i 5stelle hanno sfiorato la scomparsa, sia al destrorso campo coeso, laddove la Lega è caduta giù in picchiata. Vuoi vedere che l’italiano medio, a fronte di un Putin V multi-atomico formato 2030 dopo l’ultimo trionfo farsa coi militari a mitra spianato di fianco alle urne elettorali trasparenti, si sta rompendo i cosiddetti degli estremismi rossobruni? Che guardacaso sono perfettamente coincidenti, vengano essi dalla sinistra radicale che della destra profonda, specie in geopolitica? Insomma, entrambi i duellanti vogliono conquistare il centro: normale per il centrista Tarquini, decisamente paradossale per lo schleniano Massari.
Ciò detto, la selezione di Tarquini quale candidato unitario è stata piuttosto sofferta, anche per le beghe interne nazionali del Governo ed i personalismi delle sue propaggini locali. Più democratica comunque della farsa della Consultazione dei Mille organizzata dal Pd, una burla servita solo a far passare il tempo e affossare le primarie. Il cui esito arcinoto è stato che l’identikit di Massari quale possibile candidato sindaco, si era piazzato quattordicesimo su quattordici tra i nominativi indicati. Il meno votato di tutti dunque. Eppure Massari, entrato nel conclave dei 1.000 come l’ultimo dei cardinali, ne è uscito Papa. Il miracolo l’hanno fatto Massimo Gazza, segretario provinciale del PD e Gianluca Cantergiani, segretario cittadino. Massari però non deve ringraziare lo Spirito Santo bensì Graziano Delrio e un ristrettissimo gruppetto di ex Pci manco iscritti al Pd.
Domanda d’obbligo: potrebbero mai Tarquini ed il suo entourage riuscire nell’impresa di scardinare i meccanismi della gioiosa macchina elettorale reggiana che dal ’48 ad oggi ha garantito il potere alla sinistra in assoluta continuità? Difficile, anzi, difficilissimo. Delrio e Vecchi sono passati in carrozza nel primo mandato ed hanno invece sofferto molto per conquistare il secondo. Delrio ce la fece col 51%. Vecchi fu costretto addirittura al ballottaggio. Se Tarquini non “sinistrizza” un po’ le sue liste, anche tanti reggiani, iper-critici con le giunte Delrio e Vecchi, si tureranno il naso e voteranno Massari. Esattamente ciò su cui puntano Delrio e gli ex Pci del Pattone. Anche perché se è vero che Tarquini non è propriamente di destra bensì più che altro un cattolico liberale di centro, resterebbe pur sempre un po’ troppo distante dal gradimento medio del reggiano, non troppo incline diciamo così a qualsiasi tipo di cambiamento.
Tarquini sembra proporre per Reggio, facendo naturalmente le debite proporzioni, una sorta di “rivoluzione di velluto”, tipo quella che portò Vaclav Havel a scardinare la dittatura comunista instaurata a Praga nel ‘ 68 dai carri armati sovietici. Non a caso continua a dire, giustamente, che si deve salvare quanto di buono è stato fatto a Reggio, cercando però di levare le “incrostazioni” generate in 80 anni di dominio incontrastato del Pci e dei suoi eredi e in particolare negli ultimi 20 anni di giunte Delrio-Vecchi. Già questa è una mini-rivoluzione lessicale, in una città che negli ultimi 125 anni, cioè dal biennio rosso 1919-1920 in poi, ha sempre dimostrato una forte attrazione per i movimenti rivoluzionari, come il fascismo prima, la Resistenza poi e quindi il Partito Comunista. Massari dal suo canto, non perde occasione per ribadire che “bisogna tornare ad ascoltare i cittadini”. Come a dire che in questi anni, sindaco uscente e suoi assessori di giunta, col Pd tutto, abbiano fatto altro.
Riuscirà dunque Marco Massari a rifare breccia nei reggiani esasperati da decenni di lassismo, teorizzato e praticato sui temi della sicurezza, dalle giunte Vecchi-Delrio? Staremo a vedere. Fossimo in lui però ci preoccuperemmo anche di riconquistare l’elettorato Pd. L’ex primario degli Infettivi infatti, come detto, va a dire in giro che lui col Pd non ha nulla da spartire. E’ vero che Massari da 20 anni vota partitini-ini-ini di sinistra che non sono mai andati oltre il 2-3%. Ma non è propriamente un gran biglietto da visita verso quelle centinaia di volontari e attivisti Pd che da sempre formano lo zoccolo duro del centrosinistra reggiano. Un po’ di riconoscenza in più, tra una frittura di gnocco ed una raccolta firme altrui, da parte di Massari – si mugugna a denti neanche tanto stretti nelle sezioni di partito – non guasterebbe.
Improbabile che la coalizione che sostiene Massari non raggiunga il 50% (i partiti che lo sostengono presero oltre il 60% alle politiche del 2022), nonostante i pentastellati, allora all’11,5%, siano ormai in picchiata nel gradimento elettorale, siano oggi divisi almeno in 3 fazioni ed a giugno sarà un miracolo se arriveranno al 4%. Poi Massari (64 anni nonché creatura politica di Delrio e degli ex Pci del Pattone) ha già dato prova, dopo la famosa presentazione – conferenza stampa all’Orologio tutta proclami ideali e nobili dichiarazioni d’intenti, di aver già imparato la lezione facendo un bagno d’umiltà nella Realpolitik. Per non dire una bella nuotata nella piscina probatica di Betsabea, quella che guarisce i malati e rende possibili tutti i tipi di miracoli, compresa la trasformazione degli ex comunisti in leader democratici, a suon di quel “sano” trasformismo dalemian-democristiano che lo ha portato a dire, in clamorosa contraddizione con la sua militanza di sinistra dura e pura, “sì” all’esercito in stazione. I guai, già ben visibili in questo inizio di campagna elettorale, si ingigantiranno dopo, visto che, se vincerà, sarà a capo di una coalizione super-litigiosa ed iper-eterogenea che si dovrà reggere su un Pd dimagrito e debole.
Contro il trasformismo di Massari, il quale, more solito, sarà corroborato da influencer dalle chat pervasive e media amici, che faranno le pulci al pedigree di ogni singolo candidato consigliere della coalizione di Tarquini per cercare lontani parenti con la camicia nera o dichiarazioni giovanili alla festa scolastica un po’ troppo di destra, oltre che dal collaudatissimo e penetrante sistema di potere locale, per Tarquini sarà dura. Il quale Tarquini, consiglio non richiesto ma noi di 7per24 siamo generosi con tutti, dovrebbe presto uscirsene con ‘sta sintesi: “nella mia lista civica e nella mia giunta aspiro a riunire le migliori e più appassionate energie e competenze di centro, di destra e di sinistra della città per risollevarla dal declino cui è destinata se le cose continuano così”.
Infatti nell’ordine oggi a Reggio abbiamo: donne che muoiono due giorni dopo l’8 marzo, perché il Pronto Soccorso era chiuso; sistema del trasporto pubblico al collasso; bollette delle multiutility a cifre stellari; grandi “manovre” urbanistiche alle Fiere ed al Tecnopolo con la famiglia Maramotti ed altri poteri (questi sì) forti; desertificazione del centro storico; concentrazioni di Pm10 elevatissime e traffico sempre congestionato; microcriminalità inarrestabile sia nelle periferie che in centro storico e a ridosso della città. E potremmo continuare. Insomma questa volta in campagna elettorale ci sarebbe materiale vero e tangibile, un po’ più complicato del solito e immancabile refrain sul “rischio fassismo”, per dirla alla reggiana.