Della legge elettorale “Adversus V stellas”. Gli spudorati partiti che sempre meno ci rappresentano, come le cagne dantesche, si stanno sbranando davanti all’occhio sempre più disincantato del pubblico elettorato sui meccanismi della legge che dovrà formare le nuove Camere. L’unico intento che appare muoverli (e accomunarli) è il desiderio di trombare ante-litteram il paventato e massiccio ingresso nei palazzi del potere delle nuove e inesperte formazioni che li minacciano da vicino. Non che, necessariamente, il nuovo sia sempre e comunque meglio del vecchio. Ma così facendo è l’essenza stessa della Democrazia che se ne va a puttane (come peraltro gran parte della nostra vetusta e viagrata classe dirigenziale). Questa sorta di golpe bianco si va consumando sotto gli occhi, in questo caso chiusi, del Presidentissimo Giorgio Napolitano, già super comunista ed oggi inascoltato oracolo delle frasi fatte. Dopo le quali tutti fingono di spellarsi le mani ma sotto voce per non correre il rischio di svegliare il sonno della ragione.
La poltronite acuta. O della moderazione eterna. Nel mondo civile, abbeveratosi all’etica protestante, accade che i Petraeus si dimettano dalla Cia per una storia di corna e gli Entwistle dalla Bbc per errori giornalistici, seppure gravi. Nella nostre ipercattoliche tribù invece (dove gli epigoni democristiani hanno diverse famiglie alle e sulle spalle), si dibatte affannosamente da tempo immemore (ma ora siamo alla comica stretta finale visto che la corruzione è l’unico trait d’union tra i partiti) su quale grado di condanna penale sia ostativo alle candidature rappresentative. Insomma, in Italia dalla poltrona non ti schioda più nessuno. Né la legge stellata sopra di te, né tantomeno l’inesistente legge morale dentro di te. Quando entri a far parte di meccanismi pubblici, puoi mandare in vacca un’importante impresa di servizi o delinquere della grossa che resterai sempre lì, immobile nel permutare delle stagioni repubblicane. Ma immobili nel loro centro di gravità permanente restano sempre anche i sedicenti moderati; aggettivo sostantivato che ha del tutto perso di significato così come in genere l’insulso gergo politichese con cui tutti hanno vivacchiato senza conoscere la sostanza della lingua italiana. Quando un personaggio politico non ha più un vero partito di sostegno o un elettorato decente che gli impedisca di affrontare con certezza le Forche Caudine dello sbarramento, si autodefinisce sic et simpliciter “il portavoce dei moderati”. Con questo escamotage degno del Totò intento a vendere ad uno sprovveduto americano la fontana di Trevi, Casini per esempio è sopravvissuto perfino a se stesso. E con lui quell’area più geografica che umana, indefinita e indefinibile, che sta sempre al centro. Non si sa di cosa. Da cui comunque, anche in possesso di una ridicola percentuale di gradimento ottenuta palesando emblemi cristici su insignificanti vessilli, tengono in ostaggio percentuali ben più sostanziose non in grado comunque di fare maggioranza da sole. Eterni, moderati cecchini, che sparano od occhieggiano a chi cerca di attraversare a seconda della convenienza.
Il meno satirico Mario Morti e i magnifici 5. Nella solita pepatissima intervista al nostro Premier, riportata nell’edizione domenicale del Corrierone, l’uomo bocconiano si addossa (forse) un’unica colpicina dal suo mandato ad oggi. Ha ecceduto nelle battute. Che gli avrebbero impedito di avere il gradimento totale ed indiscusso del popolo italiota. Attenzione, è importante. Mentre l’austero ed elegante vampiro già pregusta sadicamente un suo ritorno senza mai essere partito, e le mamme nottetempo nascondono le loro figlie, vergini paffute, l’unica promessa che rimbomba dalla tenuta del conte Vlad è proprio questa. Non che ci saranno meno tasse. Ma che lui si esimerà dalle gag. Poi dite che si esagera nel definirlo Mario Morti? Chiudiamo: imperdibile facce a facce tra i candidati alle primarie centrosinistriche su Sky: tra gli altri, a confonto Nichi Vendola e Bruno Tabacci. L’uno sculettando, l’altro brandendo cilicio e cinture di castità. Si rivolgono allo stesso potenziale elettorato. E’ il solito, come direbbe Silvio, “miracolo italiano”