Prato – I primi segnali della pandemia Covid-19 sulla produzione industriale dell’area Lucca-Pistoia-Prato si colgono già dai dati congiunturali del trimestre gennaio-marzo, raccolti ed elaborati dal Centro studi di Confindustria Toscana Nord. Un lavoro, quello svolto dal Centro studi per i primi mesi del 2020, che in questo momento così anomalo ha richiesto particolari accorgimenti per cogliere con la massima esattezza possibile l’inizio di una dinamica i cui effetti si faranno sentire in misura ancora maggiore e con andamento opposto (dalla chiusura al riavvio) nel successivo trimestre aprile-giugno.
E se fino a metà febbraio si è trattato di un problema circoscritto alla Cina, questo si è poi esteso all’Italia e al mondo, con le limitazioni agli spostamenti che nel nostro paese sono state decretate l’8 marzo e il protocollo contro i rischi da coronavirus sui luoghi di lavoro che è stato sottoscritto il 14 marzo. Dal 23 marzo, poi, la chiusura obbligatoria per la maggior parte delle attività manifatturiere, con le importanti eccezioni dell’alimentare, della farmaceutica, della maggior parte della filiera della carta, di parte della chimica e dei comparti della meccanica legati ai settori essenziali, soprattutto carta e alimentare. Nei primi due mesi dell’anno i principali effetti negativi riferibili all’epidemia sono stati indotti soprattutto dalle perturbazioni delle catene di approvvigionamento (Cina, altri paesi dell’estremo Oriente); successivamente, a partire dalla fine di febbraio e per la maggior parte di marzo, si sono invece probabilmente concretizzati gli effetti negativi, derivanti dallo sviluppo dell’epidemia a livello mondiale, di una domanda sempre più flebile.
Il risultato che ne è scaturito ha visto la produzione nell’area Lucca-Pistoia-Prato in flessione tendenziale del -6,8% nel primo trimestre,(un dato pesante anche se migliore rispetto alla caduta del -11,7% dell’indice Istat italiano grezzo nei primi tre mesi). Il risultato dell’area dipende da dati molto diversi nei singoli settori e nei tre contesti territoriali. A Lucca la flessione si è arrestata a -2,4% tendenziale, molto meno che a Pistoia (-12,4%) e Prato (-11,6%). I settori della moda hanno conseguito in generale i risultati peggiori, mentre si sono avuti risultati in crescita in altri interessati in modo marginale dalla chiusura delle attività produttive, come la carta-cartotecnica e la trasformazione alimentare, che anche in altri periodi di crisi hanno mostrano andamenti anticiclici. Non sorprende il dato previsionale al ribasso, generalizzato trasversalmente ai vari settori e territori, per il secondo trimestre: il generale peggioramento dell’economia e i prevedibili effetti negativi sulla domanda preludono a mesi molto difficili.
Le difficoltà dell’economia – manifatturiero e altri settori industriali e non – trovano puntuale riscontro nell’andamento delle richieste di cassa integrazione, soprattutto ordinaria ma anche straordinaria e in deroga. Se i primi tre mesi del 2020 avevano avuto oscillazioni consistenti ma comunque definibili come normali, le richieste sono letteralmente esplose ad aprile. Dai dati INPS sulle ore autorizzate emerge un quadro diversificato per le tre province: a Lucca aprile 2020 ha visto 4,4 milioni di ore complessive di cassa integrazione, un valore assoluto alto ma che rappresenta “solo” poco più del quadruplo di aprile 2019, quando comunque si superò il milione di ore; a Pistoia e Prato, che ad aprile 2019 contavano rispettivamente 11.500 e 24.000 ore di cassa integrazione, siamo arrivati a 2,8 milioni e a 4,6 milioni, con incrementi quindi di entità eccezionale.
Anche la richiesta di credito sulla base del Decreto Liquidità conferma la situazione critica in cui si trovano le aziende: le domande complessive (dati al 21 maggio) sono state 2.690 a Lucca, 1.783 a Pistoia e 1.656 a Prato; complessivamente, intorno al 90% delle richieste riguarda prestiti sotto i 25.000 euro, quindi spesso non ascrivibili all’industria, che invece è verosimilmente molto presente fra i richiedenti i finanziamenti di entità maggiore. I tempi di erogazione dei finanziamenti continuano a essere lunghi: è in corso l’iter parlamentare di conversione in legge del Decreto Liquidità che potrebbe vedere il recepimento almeno parziale delle richieste del mondo confindustriale, volte a ottenere un più consistente ricorso all’autocertificazione, con conseguente snellimento delle pratiche, e una maggiore durata del credito (dai previsti 6 anni a 10 anni sotto i 25.000 euro, fino a 30 anni per finanziamenti fino a 800.000 euro).
“La caduta della produzione a Prato nel trimestre gennaio-marzo era del tutto prevedibile – conclude il vicepresidente di Confindustria Toscana Nord Francesco Marini – ci aspettiamo dati ancora più negativi nel secondo trimestre: aprile è andato perso interamente a causa del lockdown e la riapertura sta procedendo con estrema lentezza. Non è certo sorprendente che anche la rilevazione del nostro Centro studi colga forti preoccupazioni. La forza di Prato, quella di essere un distretto fortemente specializzato, in questa circostanza gioca contro l’interesse del nostro sistema economico. Il peso enorme del tessile-abbigliamento e delle attività collegate, come il meccanotessile e la chimica-plastica dedicate al settore, ha segnato il fermo pressoché totale del manifatturiero pratese. La vocazione all’export e la natura stessa del settore lo espongono a fattori di forte rischio, oltretutto dopo un 2019 tutt’altro che luminoso. Anche a Prato c’è grande attenzione al tema del credito, ponte fondamentale per superare momenti già critici e che si prospettano tali anche per l’immediato futuro; importanti anche gli ammortizzatori sociali, da cui ci aspettiamo aiuto anche per non disperdere competenze. E’ certo che ci aspettano grandi mutamenti: dalla promozione, che deve reinventarsi, alle evoluzioni di un mercato che sarà verosimilmente più ristretto e forse anche più selettivo, il nostro distretto è chiamato a un passaggio epocale così radicale da far impallidire quelli, per quanto profondi, del recente passato. Ci aiuta la propensione al cambiamento, ci penalizzano invece le conseguenze della lunga chiusura che ha segnato una battuta d’arresto nel nostro rapporto con i mercati.”