Ascoltare le risposte
La rabdomante è il titolo del nuovo libro (edito da Rubbettino) della scrittrice e poetessa Rosalba de Filippis. Sottotitolo: Appunti su Margherita Guidacci. Una tra le più significative voci poetiche del Novecento, non sempre adeguatamente riconosciuta e valorizzata. Del suo valore si era accorto molto presto, quando Margherita era alle prime sue prove, Giorgio Caproni, che scrisse: «E’ nata in Italia la voce di un nuovo poeta». Il lavoro che alla figura e al percorso umano e culturale di Margherita Guidacci dedica, oggi, Rosalba de Filippis, ha un carattere molto particolare. Se dovessimo ricondurlo ad un genere letterario, dovremmo dire che è un saggio. E lo è, indubbiamente, punteggiato com’è di puntuali riferimenti a testi, documenti, rimandi alle opere dell’autrice presa in esame e ad alcuni importanti studi critici che le sono stati dedicati.
Ma è un saggio, a suo modo, palpitante, ricco di emozioni, di immagini che si affacciano fra le righe, di interrogazioni che vengono idealmente rivolte a «Margherita». Una sorta di dialogo e di (delicato e intenso) corpo a corpo a distanza. Di questo mostra di essersene accorto anche il poeta e drammaturgo Sauro Albisani che, nella prefazione scrive: «Leggi questo libro e ti accorgi che Rosalba non fa domande all’amica: ascolta le risposte». Ne ascolta le risposte e ne cerca, letteralmente, le tracce. Si mette in movimento e va a cercare le case in cui la Guidacci ha vissuto. Le case fiorentine, come quella di via della Mattonaia e di via di Santa Reparata. E poi, l’amata casa di famiglia, in Mugello, a Scarperia. È lì che Margherita trascorreva le sue estati di bambina. In paese, è una memoria viva. Tanto è vero, come racconta Rosalba de Filippis, quando, «non avendo alcuna coordinata provo a domandare» dove sia la casa, «una anziana signora, giovale (…) quasi che la risposta le appaia ovvia, mi dice “E’ quel portone là!”». E dietro quel portone la futura poetessa avrebbe trascorso un’infanzia felice, amando quella terra e quel paese. Un amore che traspare dalla suggestiva poesia Orizzonte del Mugello riportata nelle pagine iniziali de La rabdomante. Quasi un’ideale apertura su un pezzo di vita e di storia. Ed è con un atteggiamento di curiosità riverente che Rosalba percorre, quasi in punta di piedi, i giardini pubblici di Scarperia dove Margherita leggeva, prendeva appunti e si ispirava. I suoi pensieri e il racconto delle sue giornate si riversavano anche nei suoi diari di bambina, di cui vengono qui riproposte alcune gustose (e finora inedite) pagine.
Quel birbone del gatto Giggich
Come quelle relative al gatto Giggich che è «un birichino di prim’ordine. Sai cosa fece? (…) Venne in casa mia e ci stette un pezzetto. Poi lo sentii ruzzolare qualcosa. Mi venne in mente che avesse preso una bambolina che tengo al primo piano del tavolino che ho già descritto. Guardai. Aveva staccato la testa a quella bambolina e si divertiva a ruzzolarla (…)». Un mondo riscaldato dagli affetti e pieno di innocenza e di serenità. Ma difficilmente i percorsi esistenziali sono lineari. Il dolore busserà inaspettatamente alla porta. Il babbo, l’avvocato Antonio Leone Guidacci che, con Leonella (Nella) Cartacci, aveva concepito quella bimba, nata il 25 Aprile 1921, in Borgo Santi Apostoli) presto si ammalerà di una malattia senza scampo.
È il primo, ma certo non ultimo, dei dolori che segneranno la vita, e l’anima, di Margherita Guidacci Un’esperienza esistenziale di cui c’ è una traccia evidente nella sua produzione poetica. I suoi sono versi limpidi e luminosi che, tuttavia, lasciano spazio e danno espressione anche alla vasta zona d’ombra che, non di rado, si estende ed ha un peso notevole nelle vicende umane. C’è, certo, la luce, che viene suggestivamente evocata nei suoi testi (non solo in quelli poetici). Come quando, in una pagina di cui Rosalba de Filippis puntualmente non manca di sottolineare il carattere emblematico, Margherita, incredibilmente dice di ricordare la luce chiara del cielo che, su, in alto, i suoi occhi di bambina avrebbero visto, mentre era tra le braccia amorevoli delle zie, sotto un grande albero, quando aveva solo tre mesi. È poco verosimile? Non è questo che importa. È un’evocazione che ha, quasi, la forza di un simbolo. E che pare rimandare alla concezione della vita e alle convinzioni di fondo di Margherita Guidacci. Che era fermamente credente. Con una fede, però, da non dare mai per scontata e da riguadagnare, quasi, giorno per giorno. Una fede ed una poesia, le sue, che non mancano di fare i conti con la tentazione, frequente e insidiosa, del dubbio.
Con accenti quasi leopardiani
Facendo parlare e scorrendo ampiamente, soprattutto i testi e i versi della grande poetessa, questi appunti su Margherita Guidacci fanno emergere il profilo di una personalità e di un percorso tutt’altro che privi di tormenti. E viene ricordato che è con accenti quasi leopardiani che Margherita arriva talora a chiedersi (e a chiederselo rivolgendosi mentalmente a Dio stesso) se, dopo l’ultimo giorno, ci verrà dato di incontrare l’eternità o il nulla. Ci sono testi, d’altra parte, tra i suoi più significativi, in cui i temi dominanti sono quelli della lacerazione, della sofferenza e del dolore.
Così è in Neurosuite. Un’opera in cui si riflette l’esperienza, vissuta anche personalmente, del disagio mentale e della sofferenza psichica, e in cui si dà voce alla realtà drammatica di coloro cui la voce sembra morire in gola. Come i malati mentali. Eppure, Margherita Guidacci (come il libro di Rosalba de Filippis non manca, in più punti, di rimarcare) sembra sempre disponibile, pur all’interno di un cammino assai sofferto e travagliato, a cercare una strada. Come quando scopre le teorie dell’antipsichiatria di Laing o quando intesse un dialogo, aperto alla comprensione del nuovo, con la psicologa e scrittrice Graziella Magherini. Con la Magherini, che ha studiato la sindrome di Stendhal (i casi di coloro che vengono abbagliati e come momentaneamente storditi dal fascino dalla bellezza delle opere d’arte) Margherita discute intensamente del rapporto della poesia con le altre forme ed espressioni dell’arte, scavando con sensibilità, e coraggio, anche dentro se stessa, Come nel caso de L’ Altare di Isenheim (così si intitola una sua originale raccolta i versi) che nasce dall’elaborazione di un singolare vissuto personale. Quello che rimanda al turbamento che, nell’immediato, le avevano provocato, al Museo di Colmar, le immagini forti e «scioccanti» (assai lontane dall’armonia di tanta arte sacra del nostro Medioevo o del nostro Rinascimento) delle pitture di Mathias Grünewald, con cui riuscirà poi a confrontarsi dopo averne rimeditato, nel tempo, il senso e la particolar forma espressiva.
Due amiche in dialogo
Quello del rapporto con Graziella Magherini, insieme ai temi dell’antipsichiatria e della scoperta delle rivoluzionarie teorie di Laing, rientra tra gli argomenti che danno sostanza e forniscono interesse allo scambio di lettere fra Margherita e una sua carissima amica: Anna Ninci Meucci. Intellettuale fiorentina, vicina agli ambienti cattolico democratici e alle posizioni di «preti di frontiera» come Ernesto Balducci e Lorenzo Milani (e consorte di Giampaolo Meucci, «storico» presidente del Tribunale dei minori di Firenze). Ed è proprio alle lettere che Margherita spedirà, negli anni ad Anna, che è dedicata una parte significativa del libro di Rosalba de Filippis, che, con una descrizione e una ricostruzione non prive di empatia, ci restituisce i ritratti delle due amiche, insieme al senso (e a un pezzo di storia) del loro dialogo a distanza.
L’autrice de La rabdomante si è avvalsa dei documenti forniti da ARCTON (l’Archivio degli scrittori cristiani toscani) e di quelli che, con un lungo e paziente lavoro, ha consultato presso l’Archivio del Gabinetto Vieusseux. E non è un caso se il libro, il prossimo 15 Gennaio, verrà presentato proprio nella Sala «Ferri» del Vieusseux. Oltre alle lettere di Margherita ad Anna, Rosalba de Filippis ha avuto accesso ai diari di quest’ultima, da cui ha tratto spunti interessanti. D’altra parte, le lettere, di cui vengono pubblicati ampi stralci (o, a volte, il testo per intero) meriterebbero una trattazione a sé.
Fanno uno strano effetto. Apparentemente, in tanti passaggi, non si parla che del più e del meno. Di appuntamenti mancati, di cronache di qualche giorno di vacanza, dei figli che crescono, del troppo lavoro (Margherita svolge la sua attività di docente, oltre a studiare, a scrivere e a tirar su la famiglia: è la fatica del quotidiano), di come si vedono e si ricordano le vicende fiorentine da Roma (dove ormai, la Guidacci, dopo il matrimonio con il sociologo Luca Pinna, si è trasferita). Ma basta leggere con più accortezza per cogliere l’attenzione vigile alle cose del mondo, ai fermenti culturali e politici di quegli anni, al travaglio della Chiesa alle prese con le sfide della contemporaneità. Ed ecco affiorare i riferimenti all’inquieto e creativo mondo cattolico fiorentino, a Ernesto Balducci e alla rivista «Testimonianze», a don Milani, alla difesa dell’obiezione di coscienza. E poi i grandi e controversi temi, del dibattito civile e politico di quel tempo: il divorzio, l’aborto (rispetto al quale Margherita confessa all’amica il suo onesto e sincero travaglio di coscienza).
L’attenzione alle vicende del mondo
Sono passaggi importanti che fanno riflettere sul fatto che l’attenzione alle complesse e tormentate vicende del mondo non è affatto, per Margherita Guidacci, un qualcosa di estemporaneo o un occasionale spunto per uno scambio di idee. Nella sua ampia produzione scritta non ci sono solo testi poetici (come, in questo libro a lei dedicato, viene più volte sottolineato). Importante, e di grande originalità e qualità, è il suo lavoro di traduttrice (in cui si confronta con scrittori e scrittrici del calibro di T. S. Eliot, Elizabeth Bishop ed Emily Dickinson). C’ è il suo lavoro di commentatrice e saggista, di collaboratrice di giornali e riviste (si pensi a Città di vita). C’è anche la poesia civile, che ha un posto importante, accanto agli altri suoi temi: l’incanto della natura, il contrasto fra lato luminoso e lato oscuro della vita, il mistero del mondo, il fascino della mitologia (si pensi ai componimenti sulle Sibille). Ebbene, la poesia civile, in questo complesso contesto di contenuti e di suggestioni, emerge talora con una forza inaspettata. Si pensi a L’orologio di Bologna (dedicato alla strage del 2 Agosto 1980).
Quel titolo curioso
Arrivati a questo punto, forse, è il caso di dire qualcosa sul titolo (apparentemente curioso) del libro di cui ci stiamo occupando: la rabdomante. Un libro, sia detto per inciso, che è impreziosito, in copertina, dai provini fotografici (della Guidacci) effettuati da Dino Ignani, ritrattista di vaglia di artisti e scrittori. La rabdomante, dicevamo. Non è un termine usato a caso. Margherita, che era una figura dalla personalità poliedrica, davvero, da giovane, nelle terre del suo Mugello, sentiva il fluido e i brividi scorrere dentro di sé, avvertiva le vibrazioni e la presenza dell’acqua. Un potere, un dono, una singolare prerogativa (ereditato da altre figure della famiglia) che poi, a un certo punto della vita, si disseccò e si esaurì. Dopo aver avuto, però, una sua importanza.
Era stata proprio l’amica Anna Ninci, in una sua frase, posta qui a epigrafe del libro, a scrivere: «Oggi sono andata con Margherita da una sua parente a scoprire l’acqua di viale Milton. L’acqua è stata scoperta e io ho scoperto un mondo strano (…)». Margherita Guidacci, diciamo anche questo, un po’ rabdomante lo è anche in senso culturale e metaforico, se non altro per lo spazio che il tema dell’acqua ha anche avuto nella sua produzione poetica. L’acqua è vita, è flusso che scorre ed emerge all’improvviso, così come la poesia. Una risorsa e un patrimonio da curare con attenzione e premura. Invece, come sappiamo, adesso ci troviamo in un mondo in cui l’acqua viene sprecata o è, in non poche situazioni, malata e inquinata. Un problema che Margherita sentiva, e soffriva, acutamente. Lo dice una sua vibrante poesia dal titolo L’acqua si lamenta. C’è un tocco, una sensibilità ecologista, potremmo dire, che chiaramente si manifesta. E qui la poesia è di nuovo, e ancora, poesia civile. Abbiamo già detto in apertura che il lascito culturale e letterario di Margherita Guidacci (di cui, nel libro di Rosalba de Filippis vengono pure evidenziati i rapporti con altri importanti scrittori del Novecento come Carlo Betocchi e Nicola Lisi) non sempre è stato adeguatamente compreso e valorizzato. In questo la poetessa, dotata di una spiccata individualità e fierezza, ha pagato il suo collocarsi fuori da conventicole, correnti e mode letterarie. Ma il suo messaggio (su cui peraltro esistono studi critici di indubbio valore) non è stato dimenticato.
Le immagini dei santi e quelle dei poeti
Si possono avere (piacevoli) inaspettate sorprese in questo senso. Rosalba racconta un suo dialogo con un giovane innamorato della poesia. Un giovane che le dice: «Io porto sempre in tasca, o nello zaino, le immagini dei santi e dei poeti». E tra quelle dei poeti, ecco spuntare la foto di Margherita Guidacci. Un’ autrice di un altro secolo. Che però, con le sue inquietudini, il suo amore per l’acqua e per la luce e grazie alla sua capacità di non rimuovere il lato oscuro della vita potrebbe forse, grazie al respiro della sua scrittura e della sua poesia, avere molto da dire anche ai giovani del nostro tempo. I quali, come i giovani di ogni generazione, sono inconsapevolmente in cerca di parole che riscaldino l’anima nel cammino, lungo i sentieri tortuosi della vita.
In foto Margherita Guidacci