“Dal teatro nelle cantine degli anni ’70 al Teatro Vascello, 50 anni della nostra storia e della nostra vita, sospesi fra immaginazione e realtà”. Così annuncia lo spettacolo che inaugurerà, dal 2 al 6 ottobre, la nuova stagione del romano Vascello, l’attrice, regista e drammaturga, Manuela Kustermann, che del teatro di Monteverde Vecchio è direttrice artistica. Il Vascello fu inaugurato nel 1989 da Giancarlo Nanni e dalla stessa Kustermann, che erano compagni di teatro e di vita, e raccolse l’eredità del percorso iniziato dai due fin dai tempi in cui avevano fondato, nel 1967, il teatro La Fede e poi, nel 1974, la cooperativa Fabbrica dell’attore. Tanto da diventare, il Vascello, il luogo simbolo dell’avanguardia teatrale che, dalla fine del secolo scorso agli inizi di questo, rivoluzionò il teatro e da dove passarono da Tadeusz Kantor al Living a Peter Brook, solo per fare pochi dei tanti nomi storici . Un teatro che è ancora adesso uno dei più prestigiosi, frequentati e innovativi della città .
La grande avventura si trasforma nello spettacolo evento, “La Fabbrica dell’attore – 50 anni di (R)esistenza”, che celebra i cinquant’anni della Fabbrica dell’Attore. Progettato da Manuela Kustermann, l’allora regina dell’avanguardia che ha ancora molto da dire e che, dopo la scomparsa di Nanni nel 2010, continua a restare, da sola ma con passione e idee , alla guida del Vascello con lo stesso spirito di lavoro di gruppo che ha sempre animato la cooperativa e con cui Kustermann ora mette in scena lo spettacolo insieme agli attori Massimo Fedele, “uno dei nostri storici compagni”, Gaia Benassi, Paolo Lorimer, la voce di Alkis Zanis, le immagini e le luci a cura di Paride Donatelli e quella del suono di Filippo Lilli.
Kustermann, qui non si tratta di descrivere per scritto la storia di una compagnia teatrale. L’impresa è più difficile, si tratta di mandare in palcoscenico 50 anni indimenticabili, avvincendo e divertendo il pubblico.Come sarà ?
“ Un’immersione nelle atmosfere magiche e esplosive a cavallo degli anni ’70 e dintorni, attraverso le immagini, le musiche, i ricordi, gli aneddoti, gli accenni a un’epoca segnata dai fermenti sociali e i movimenti giovanili, la Roma di tutti gli incontri, l’energia di quando si pensava di cambiare il mondo, gli spezzoni di interviste, le critiche. Per raccontare cinquant’anni di spettacoli che hanno segnato un’epoca, dal teatro La Fede fino alla nascita del Vascello nel 1989, per arrivare ai nostri giorni. Ci sono anche pezzi rari e importanti come il film girato allora da Mario Schifano, e che io ho fatto restaurare, su uno dei nostri spettacoli più dirompenti, Risveglio di primavera di Wedekind” .
Qual è il periodo di inizio e fine della vicenda che porta in scena?
“Beh, ho dovuto scegliere un periodo-sintesi, il più significativo, perché tale è la valanga di materiali di archivio, testimonianze scritte, fotografiche, pittoriche, musicali in cui mi sono trovata immersa nel momento di scrivere il copione che non mi sarebbero bastati quattro giorni per ripercorrere tutto”.
E il resto della vostra storia?
“Il copione l’ho scritto io di getto: sono i miei ricordi, quelli di Giancarlo Nanni, i miei aneddoti. Ma poi abbiamo dovuto limarlo perché le testimonianze sono infinite come gli scritti e i disegni con cui Nanni, che era nato pittore, creava gli spettacoli . Spero di poterne poi fare una pubblicazione, penso anche a un documentario per la Rai. Non sarà facile ma io non mi arrendo, il nostro spettacolo non è una celebrazione ma una memoria storica. Lo abbiamo fatto anche senza i contributi del bando per i progetti speciali che non ci hanno dato”.
Quale periodo abbraccia la sintesi che ha fatto?
“Più o meno dai tempi intorno al 1977, in cui eravamo ancora al teatro La Fede, che Nanni e io avevamo fondato in una cantina di Porta Portese con i soldi di buonuscita che ci avevano dato due attori di Carmelo Bene per subentrare nella casina dove allora vivevamo e dove avevamo ospitato un giovane che se ne stava sempre per terra a suonare la chitarra e che si chiamava Bob Dylan. Si passa per il 1974 quando fondammo la Fabbrica dell’Attore e si arriva fino al 2008, quando chiudo con il Giardino dei ciliegi di Cechov. Una specie di cavalcata nei ricordi più cari di quei tempi e di alcuni dei nostri spettacoli storici, tra gli altri, A come Alice, il Risveglio di primavera e Franziska di Wedekind, 26 opinioni su Duchamp di John Cage, As you like it, L’imperatore della Cina, il Gabbiano che fu magnifico, Amleto”.
Un fiume in piena.
“Dal momento in cui ho deciso di fare questa celebrazione , che è dedicata a Nanni e a tutte le persone che hanno lavorato con noi, ho scritto il copione di getto con tutti i ricordi che mi salivano in testa. Compreso quello della paura iniziale di non farcela quando aprimmo La Fede che invece si rivelò un grande successo. Lo capii quando iniziarono a arrivare tutti, da Gassman a Valentina Cortese, Paola Borboni, Olivetti che era voluto venire a vedere e capitò in una serata in cui non c’era nessuno, Valentino che arrivò in Rolls Royce. Un teatro dove si esibirono grandi artisti dall’estero. Mi ricordo Pierre Clementi che ci regalò un sacco di soldi. Lavoravamo, e continuiamo ancora, con uno spirito molto compartecipe. Mi ricordo di una volta, a fine ‘99, in cui dovevo recitare in A come Alice al teatro La Taganka di Mosca e solo un giorno e mezzo prima del debutto scoprimmo che le scene non sarebbero mai arrivate da Bogotà dove eravamo stati in tournée. Ci riuscimmo solo perché i sei attori della compagnia lavorarono giorno e notte e, con l’aiuto dei falegnami del teatro diretto da Jurij Ljubimov, riuscirono a ricostruire tutte le scene. Fu una follia ma anche un successo formidabile” .
A chi si rivolge ?
“A tutti. Alle persone anziane che rivivranno con noi quel periodo. Ai giovani che potranno sentire l’atmosfera magica di spettacoli che hanno segnato un’epoca e scoprire il fermento e la vivacità creativa, che si riflette ancora oggi, di un periodo in cui noi rivoluzionammo il teatro passando dalla parola all’immagine e tenendo insieme tutte le arti: teatro, musica, danza, cinema, arti visive”.
Già, i giovani. Lei, un tempo regina dell’avanguardia, continua a essere una regina del teatro contemporaneo. Ma cosa significa oggi fare teatro?
“Per me, la vita. Il teatro per me è tutto, un amore che tanti episodi dello spettacolo sottolineano. In teatro sto bene e vado avanti anche se, ora che non c’è più Nanni, quella felicità non l’ho mai più trovata. Era geniale nel fare emergere le potenzialità degli altri e creare spettacoli compatti come mai nessuno ha fatto. Lui, forse perché nasceva come pittore, non si preoccupava tanto del singolo attore ma della visione pittorica degli spettacoli , creata attraverso la luce e i colori. Era splendido, diverso. Anche i tempi sono cambiati. Non c’è più quello spirito di libertà e di possibilità che avevamo, paradossale a dirsi a dirsi, allora che pure erano i tempi della DC. I parametri del Fuss sono diversi, assai più rigidi e per ottenere i finanziamenti dello Stato bisogna rincorrere innumerevoli alzate di sipario. In un teatro come il mio, dove le prove e la costruzione hanno tanta importanza, è complicato e riduttivo inseguire una quantità di spettacoli e tournée secondo regole fisse e ferree”.
È finito anche lo spirito dell’avanguardia, ci sembra.
“L’avanguardia adesso è parola molto desueta ma non bisogna rinunciare. Anche il pubblico è cambiato. All’epoca venivano a teatro musicisti, pittori, intellettuali. Adesso, anche i miei amici intellettuali e filosofi non si entusiasmano più, non c’è più la spinta di vedere qualcosa di nuovo, il teatro non ha più una spinta rivoluzionario. Quello nostro fu un tempo unico, irripetibile, un incrocio di energie artistiche esplosive e straordinarie, che tuttora è fondamentale che siano presenti in ogni spettacolo di ricerca. Bisogna cambiare, perché un certo tipo di ricerca si può fare ”.
Si possono conquistare al teatro anche i giovani? E come?
“I giovani. Non lo so con certezza il filone che li attira. Sicuramente riempiranno qualcuno degli spettacoli del Vascello nella nuova stagione. Vengono attratti, più che dalla curiosità personale, dal passaparola sui social. Dopodiché sono interessati da un tipo di linguaggio che gli corrisponde, dai nomi che conoscono, tipo Emma Dante che in questa stagione sarà da noi, soprattutto da chi abbia la loro età come Leonardo Manzan, che a dicembre debutterà al Vascello con la regia di Faust e che ha già vinto due Biennali. I giovani verranno perché è un trentenne ”.
A proposito, lei era giovanissima quando debuttò come Ofelia con Carmelo Bene, cosa ha assorbito del suo spirito di provocazione, trasgressione e aggressività?
“Avevo 14 anni. Cercavano Ofelia, Carmelo Bene mi disse di provarla subito. Io scappai. Mi mandarono a dire che mi preparassi: partivamo subito in tournée. Ero terrorizzata ma capii che, se non volevo andare nei teatri tradizionali, dovevo seguire lui, ma non era la provocazione che mi attraeva, erano tempi così diversi e io ero così giovane che ero interessata a lui perché era straordinario e mi insegnava come stare in scena. Poi mi vide Giancarlo, si innamorò, mi aspettava sempre fuori dal teatro, mi invitò a un happening da Silvano Bussotti, andai a stare con lui e iniziò la storia che racconto nello spettacolo”.
Uno spettacolo in cui si rivede giovane e carina.
“Non è un colpo al cuore, sono tranquilla, mi sono rivista e, che dire, mi sono piaciuta, non ho rimpianti o nostalgie di questo tipo”.
Si fa presto a dirlo quando, come lei, si è ancora belle.
“No, non è questo. Non sono più la ragazzina di allora ma sono nei miei panni, io non ho quest’ossessione dell’età. Ho una percezione del tempo orizzontale non verticale”
Non la interessava la trasgressione, dice, eppure andava in scena a seno nudo in Risveglio di primavera, si spogliava in Franziska o impersonava ruoli maschili come quello del principe di Danimarca.
“Sì ma era un’epoca segnata dalla spontaneità e dalla forte gestualità del corpo, andare in scena nudi non era una grande trasgressione, ce lo aveva insegnato il Living, e in più ero giovane. Mi spogliavo come da copione, mi sembrava naturale, non trasgressivo. Avevo, è vero, una sensualità molto esplicita ma non era tanto provocatoria come le veridicità della scena dell’ aborto in Franziska in cui piangevo e gridavo sul serio”.
Quali sono i ruoli femminili che più conserva nel cuore?
“Nora in Casa di bambola e Rosalinda in As you like it, penso che Ibsen e Shakespeare siano quelli che meglio di tutti sappiano indagare l’animo umano. Ma anche Alice di A come Alice, perché è infantile e io ho una fanciullezza di fondo che mi salva in questo mondo così crudele dove il teatro è una bolla di poesia in cui io mi rifugio. Adesso nella prossima stagione interpreterò due ruoli di donna. Sarò Eleonora Duse per Andrea Chiodi e Marilyn Monroe al Vascello, in un progetto ideato da Mariangela d’ Abbraccio e articolato in sei serate che celebrano, ognuna, una donna diversa tra quelle che hanno cambiato la storia” .
A proposito di donne, nella vostra nuova stagione ricca di quanto c’è di meglio nel teatro contemporaneo, c’è un’assai nutrita presenza di donne. È una sua scelta ?
“Quando componi una stagione pensi piuttosto alla qualità. Ma sono stata molto contenta nel rendermi conto che esiste un panorama femminile vastissimo. Ero rimasta male l’anno scorso perché le donne erano poche. La fitta presenza femminile ora mi rende felice di far vedere che, oltre alle attrici, ci sono le registe, le drammaturghe, le direttrici di teatro:in un mondo dove sembra che non se ne accorgano nemmeno. Ora se ne accorgeranno”.
Nella foto Giancarlo Nanni e Manuela Kustermann