Elena Montecchi
Fino all’ultimo minuto, nessuno e probabilmente nemmeno Tremonti, conosceva i numeri esatti della manovra: sino al momento prima del voto la confusione regnava sovrana. Anche questo è un segno importante delle tensioni all’interno della maggioranza e della relativa impossibilità di costruire una manovra economica equilibrata e strategica. Non a caso ci troviamo di fronte a una operazione che per i 23 è fatta di prelievi, di entrate e solo per 13 di tagli alle spese.
Aumenti delle entrate fatti senza nessuna consapevolezza degli effetti perversi che produrranno: i ticket corrono il rischio di far fuggire verso la sanità privata i cittadini e tanti saluti all’aumento di entrate; i tagli agli enti locali rischiano di moltiplicare la pressione fiscale e così via. Già questo la dice lunga sulla incapacità di questa coalizione di governo di intervenire sui problemi veri della spesa pubblica: anche con questa manovra continueremo a finanziare inefficienze e sprechi. Proprio le caratteristiche tecniche della manovra rappresentano la fotografia più chiara del fallimento strategico di questa coalizione, delle forze politiche che la compongono. Avendo sprecato gli anni precedenti in proclami mai realizzati (liberalizzazioni, privatizzazioni, tagli alle spese) e specchietti per le allodole (la non solo inutile ma pericolosa retorica del presunto federalismo fiscale) chi ci governa si è presentato all’appuntamento più importante offrendo al paese qualcosa di totalmente inadeguato. Vogliamo poi parlare del gioco delle tre carte della delega fiscale?Insomma siamo di fronte a un atto politico senza nessun collegamento con il tema cruciale per il paese: l’incentivo alla crescita o meglio la costruzione di una cultura complessiva del paese orientata a mettere la crescita economica e la guerra alle inefficienze al centro dei comportamenti quotidiani.
E qui veniamo al secondo punto: questo esito era probabilmente inevitabile. La credibilità di questa compagine politica è ormai a livelli infimi. Anche tralasciando l’ormai impresentabile in pubblico (internazionalmente parlando, almeno) Berlusconi, tutto il suo governo non è riuscito a darsi un profilo di autorevolezza. Non si tratta solo dei litigi e delle inefficienze, ma soprattutto della assenza di idee e di credibilità anche personale (basta pensare all’ultima vicenda che coinvolge Tremonti stesso, il nostro “baluardo”…). Ma è mai possibile che un Governo prima prende delle decisioni e poi, nelle sedi istituzionali ma anche davanti alla pubblica opinione sistematicamente le smentisca? E’ accaduto sui Referendum, ma anche sul decreto per i rifiuti. Non è solo questione di legittimo dissenso: in questo modo si determina il venir meno della stessa funzione costituzionale del governo. Tutti abbiamo visto il presidente della Camera Fini, disperatamente chiedere rivolto ai banchi del governo se per caso c’era qualche rappresentante disponibile a sostenere il decreto: nessuno in vista.
E qui arriviamo al terzo punto. Con ogni probabilità questa situazione di crisi ormai conclamata del Governo, non nasce solo da un evidente fallimento politico. La modalità di elezione dei parlamentari attraverso una legge elettorale che piace così tanto a Berlusconi ( ma non solo a lui, purtroppo…) è stato un colpo durissimo alla credibilità degli eletti. La gente normale, anche prima di rendersi conto che Berlusconi l’ha usata per mandare in Parlamento i suoi avvocati e le sue ballerine, l’ha percepita come un vulnus. Inoltre, la modalità di conferimento del premio, esageratamente alto, di maggioranza per la coalizione prima arrivata, ha fatto sì che, con meno del 40% dei consensi la coalizione di governo ha la stragrande maggioranza dei seggi. Ma non è servito a niente perché è mancata una vera legittimazione e una vera responsabilizzazione degli eletti verso coloro che li hanno votati. Temo addirittura che i berlusconiani di stretta osservanza non colgano questa situazione delicatissima. Questa è una della radici più forti della crisi di credibilità della politica nel nostro Paese. Questa crisi si riflette anche nella incapacità nel reagire alla campagna in alcuni casi francamente oltre le righe, sui costi della politica. Non vi è alcun dubbio che vi sia la necessità di rivedere i compensi anche individuali ma il tema di fondo è quello dell’efficienza dei processi decisionali democratici: il Paese vede la politica solo come un costo quando questa è incapace di assolvere al ruolo fondamentale che deve avere in una società avanzata e complessa.
Ecco allora la necessità di incidere profondamente sugli assetti istituzionali con riforme costituzionali, sulla legge elettorale per ridare credibilità, sull’efficienza delle decisioni prese dallo Stato nelle sue varie articolazioni. Questo è il vero modo per ridurre i costi che una politica inefficiente e delegittimata fa pagare al paese. Ma anche qui siamo di fronte alla “farsa e propaganda”: la Lega se ne esce con proposte che, già bocciate da un referendum, non rappresentano altro che il tentativo di avere qualcosa da mettere sull’ennesimo volantino per il “popolo padano”.
Al di là delle convinzioni politiche di ciascuno di noi dobbiamo davvero augurarci che venga presto la fine di questa situazione, ricostruendo un reale rapporto di fiducia tra cittadini, eletti ed istituzioni, restituendo alla politica il suo ruolo e la sua dignità e chiedendo alla classe politica di pensare al futuro di questo Paese.