Manicomio Paradiso di Paola Presciuttini

Firenze – 3 marzo 2022 – Manicomio Paradiso di Paola Presciuttini – Conversazione con l’autrice. 

LB: Ho letto il tuo romanzo che mi ha molto colpita e appassionata. Puoi accennare ai lettori di cosa e di chi parla?

PP: Si tratta di un uomo che impazzisce per amore e questa è la cosa importante per me, perché non si impazzisce più per amore: Per amore si uccide e per uccidere non c’è bisogno di diventare pazzi. Non credo a chi afferma “è diventato un assassino perché era impazzito”, no non ci credo, credo piuttosto che chi commette un omicidio sia un assassino e basta. Con l’esperienza mi sono accorta che la malattia mentale esaspera quello che tu sei e non ti fa diventare un altro.

In questo caso c’è un uomo degli anni ‘50 che ha un senso dell’onore appartenente a quel periodo storico, ma che da una parte è aggrappato alla modernità, un uomo dolce, con tratti di grande sensibilità che impazzisce per amore quando, invece di riversare l’aggressività sugli altri la butta addosso a se. Abbiamo grandissimi esempi in letteratura.

LB: Sì, così su due piedi mi vengono in mente il Giovane Werther di Goethe e Jacopo Ortis di Ugo Foscolo, ma ce ne sarebbero tanti altri.

PP: E’ vero che perdere un amore può essere una cosa devastante, ed è anche vero che è possibile non trasformare il sentimento in rabbia. Il protagonista è un uomo socratico “Io non preferirei né l’uno né l’altro; ma, se fosse necessario o commettere ingiustizia o subirla, sceglierei il subire ingiustizia piuttosto che il commetterla” afferma Socrate” . Il dettame della sua vita è questo, anche nel suo rapporto con il manicomio: in varie occasioni potrebbe commettere qualcosa di illegale ma preferisce subire la punizione piuttosto che infrangere la legge perché è un brigadiere integerrimo degli anni ‘50 

LB: Cos’è la malattia mentale secondo te

PP: Conosco bene e da vicino il disturbo mentale e mi sono fatta tante domande. Partita dall’idea iniziale che non esistesse affatto e fosse solo una costruzione sociale, in seguito mi sono resa conto che si tratta di una vera e propria malattia, così come ce ne sono altre e tale deve essere considerata e presa in carico.

Ho ambientato il romanzo in un manicomio perché il manicomio sta alla malattia mentale come l’alcool sta al fuoco, la incendia, non la spegne ed era mia intenzione vedere come il manicomio la potesse peggiorare. Racconto di come queste istituzioni accogliessero non solo persone con disturbi psichici, ma di come si trattasse di un grande calderone in cui si raccoglievano persone che, in quel momento storico,  la società non riusciva a contenere: in manicomio ci sono finiti figli illegittimi, persone abbandonate dalla famiglia, tantissimi alcolisti, in quel periodo storico che analizzo ci sono finiti anche molti partigiani, come narra Mimmo Franzinelli in Un’odissea partigiana, ci sono finiti anarchici, omosessuali, bambini down, gli autistici, tutte persone di cui al giorno d’oggi ci si prende cura e si cerca di tenere all’interno della società.

LB: Qual’è stata la genesi del tuo romanzo 

PP: Lui è proprio un personaggio letterario, la mia mente l’ha prodotto, poi io l’ho conosciuto e me ne sono innamorata. Questo romanzo lo avevo scritto qualche anno fa come racconto. Solo in seguito l’ho ripreso in mano e ne ho tratto un romanzo. 

LB: Non a caso il protagonista pensa “come ci sono finito qui? Mi piacerebbe dire che ci sono finito sano e ci sto diventando pazzo. Ma forse matti ci si nasce e la vita ti dà soltanto l’occasione per accorgertene.”

 

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