Mamma mi si è spento il duende: immagine icastica di trasversalità funebre generazionale

“Molti anziani sono morti e molti giovani si sono spenti”. È l’immagine fin troppo icastica degli effetti della pandemia, fatta ieri da un mio amico sacerdote.
Questo processo di spegnimento della personalità e della vitalità di tanti giovani mi intriga particolarmente, sia perché lo trovo ben raccontato sia perché ha investito non solo i giovani. Guardiamoci intorno con onestà.

Chi di noi può dire di non avere cambiato almeno il proprio umore di fondo dopo il lockdown, un’esperienza che ci ha tolto o ridotto le relazioni personali, gli interessi intellettuali (per mesi si è parlato solo di COVID), la visione della realtà esterna alla propria persona sempre più rattrappita, l’attesa del futuro (quando sarà il mio turno vaccinale?), i problemi da affrontare e decidere (pensiamo ai pubblici amministratori o ai politici in genere), il ritmo sconvolto e frammentato del percorso scolastico dei nostri figli e nipoti, i weekend diventati uguali ai giorni feriali, la chiusura delle attività di ristoro culturale ed emotivo del tempo libero diventato uguale al tempo obbligato, la cessazione di ogni stimolo esterno alla routine familiare. Insomma tutto ha concorso a trasformarci in persone almeno più “spente” rispetto a prima (senza parlare dei casi più gravi di insorgenza di patologie psicologiche).

Ci si è spento il “duende”!
Cos’è il duende? È una parola spagnola praticamente intraducibile. Allude a un elemento interiore misterioso che le persone conoscono ma non sanno dire (consiglierei la lettura di una magnifica Lectio sul tema di Garcia Lorca, in spagnolo possibilmente, tanto è comprensibile). Qualcuno lo traduce con “folletto”, ma è qualcosa di più e di diverso. È un atteggiamento interiore, psicologico, spirituale, è una sorta di spirito della vita. È vita e vitalità. È anima e futuro.
È proprio necessario che i giovani, ma non solo loro, ritrovino il duende. Perché così questo tempo è troppo cupo e pesante da portare.

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