Reggio Emilia – La triste fine della bimba affetta da malaria ha fatto riemergere dalla mia mente un ricordo che ha qualche aspetto in comune col recente dramma.
Coppi era tornato il 18 dicembre dall’Alto Volta, (attuale Burkina Faso) dove aveva corso un criterium per festeggiare il primo anniversario dell’indipendenza di quel paese africano. Assieme a lui tanti altri campioni come Anquetil, Riviere, Anglade, Geminiani.
Appena dopo Natale Geminiani gli telefonò; gli disse che stava male; Coppi rispose che anche lui si sentiva addosso l’influenza e che si sarebbe messo a letto”. La sera del 27 dicembre Fausto Coppi, esausto, si infilò sotto le coperte: aveva 40 di febbre. Chiamarono Ettore Allegri, il suo medico, ma la diagnosi fu errata. Il primo gennaio Coppi fu ricoverato all’ospedale di Tortona.
Intanto in Francia Raphael Geminiani andò in coma. Il suo sangue fu portato all’Istituto Pasteur. Responso: malaria perniciosa plasmodium falciparum. Lo bombardarono col chinino e lo salvarono.
Il primo gennaio 1960, a Genova, il mio papà, clinico all’Università, era molto preoccupato. Il prof. Astaldi, ematologo, l’aveva chiamato a consulto, in extremis, perché lo stato di Fausto Coppi si era molto aggravato e non si capiva che tipo di malattia l’avesse colpito. Si trattava di malaria ma nessuno ci pensò, né il dottor Allegri, sordo alle informazioni che venivano dai parenti di Geminiani, né il primario dell’ospedale di Tortona, Giovanni Astaldi, che era stato chiamato a consulto, né mio padre, che poi si rimproverò per non aver esaminato personalmente il vetrino del sangue, che avrebbe fornito la prova certa. Mio padre diceva che anche uno studente di medicina avrebbe facilmente riconosciuto, da quell’esame, l’infezione malarica.
E’ possibile che qualcosa del genere sia accaduta anche nel caso della piccola Sofia?
Il mattino del 2 gennaio alle 8.45,a soli quarant’anni, Coppi morì.
Il papà cercava di giustificarsi con sé stesso dicendo che era stato chiamato quando era comunque troppo tardi per salvare Coppi. Forse era vero.
Credo che al dispiacere per la morte dell’atleta si sovrapponesse la preoccupazione per l’errore che era immediatamente diventato di pubblico dominio, con aperte critiche sulla stampa.