Maggio, nuovo presidio lavoratori: “Futuro incerto, vogliamo sapere”

Firenze – Martedì 26 luglio 2016,  presidio dei lavoratori del Maggio: piazza Gui, atmosfera di inizio vacanze, caldo da soffocare. Ma loro ci sono, come ci sono sempre stati nei mesi, oltre un anno, in cui la storia del “ridimensionamento”, riorganizzazione”, “ristrutturazione” equivalenti per i lavoratori a tagli, cause, reintegri, di nuovo tagli, riduzioni, ecc, è cominciata, si è sviluppata, torna a colpire come un lungo incubo di cui non si vede la fine.

Non sono molti, oggi, ci sono i rappresentanti sindacali della Cgil, ma in particolare c’è il nucleo che non si arrende. Una decina, di più, perché altri arrivano un po’ in ritardo rispetto alla data segnalata sul volantino, 16,30. Anche perché, spiegano, si tratta di un presidio, niente di paragonabile all’assemblea dei giorni scorsi (21 luglio) in cui la presenza è stata forte molto forte, circa 70 partecipanti, lavoratori che si sentono mancare la terra sotto i piedi. Perché, ed è questo il vero problema “non sappiamo niente”.

Un vuoto pneumatico che è peggio di qualsiasi annuncio. Un vuoto in cui corrono le voci: a settembre altri tagli, licenziamenti o chissà cosa, ma altri lavoratori che perderanno la tranquillità, il posto, saranno costretti a fare i conti con questa impossibile precarietà che aggancia dipendenti fedeli, meritevoli e non, che conduce tutti a guardarsi negli occhi con la domanda muta: a chi toccherà stavolta? Voci, è vero, ma come annota qualcuno, “anche l’altra volta” erano voci, poi diventate drammaticamente vere. Stavolta, dicono le voci, si tratterà di altri 30 tagli, forse, ipotizza qualcun altro, quelli che con sentenza sono stati riassunti, per i quali è pronto un nuovo provvedimento, secondo quanto annunciato dalla struttura apicale; ma sul chi va là stanno coloro che hanno optato per l’indennizzo in danaro, che non sembrerebbe ancora corrisposto.

Il presidio è stato convocato lì, in piazza Gui, perché il consiglio d’indirizzo, presieduto dal sindaco Nardella, dovrebbe tenersi proprio lì. Sì, ma poi arriva la notizia che forse il Consiglio si sta tenendo in Palazzo Vecchio. Comunque sia, l’intenzione è di far vedere che i lavoratori non ci stanno a essere declassati a oggetti, o a numeri di un bilancio, subendo decisioni prese sulle loro teste. E’ questa, a torto o a ragione l’atmosfera. Ma è ancora più forte quella sensazione latente di precarietà che prende tutti, chi ha il “posto” e chi non ce l’ha più.

I sindacalisti parlano, spiegano. Cristina Pierattini, Slc-Cgil, ricorda ancora una volta che i conti sono a rischio, l’organizzazione del lavoro è carente, il personale è “ristretto”. In questa situazione, l’unico dato certo sono “i risparmi ottenuti sulla pelle dei lavoratori”, mentre sarebbe necessario, per il futuro, “pretendere la qualità anche per i vertici, non solo per le maestranze”. Una stoccata neanche tanto velata a Bianchi e a tutto lo stato maggiore della Fondazione: “Piuttosto si riducano gli stipendi i vertici, visto che abbiamo una delle dirigenze più costose d’Italia. Inoltre, per quanto riguarda il nuovo decreto bis del ministro Franceschini, corrono voci allarmanti: si parla di una norma che vederebbe, se un’azienda non riuscisse a ottenere il pareggio economico, una “diminuzione” dell’attività, “in un classico esempio di cane che si morde la coda”, spiega Pierattini. Insomma se i conti non tornassero, diminuirebbe l’attività teatrale, in una sorta di giro vizioso molto difficile da spezzare. Andando sul concreto, in mancanza del raggiungimento degli obiettivi economici che verranno fissati, il Maggio potrebbe “subire” una sorta di retrocessione a teatro di tradizione.

Perché il vero nodo è come spesso accade quello delle risorse. “Gli investimenti dei privati non ci sono – dice Silvano Ghisolfi – quelli pubblici sono in diminuzione. In compenso, abbiamo una struttura che non solo è costata tantissimo, ma nel futuro costerà ancora (non è stata ancora terminata, abbiamo una sala sola) senza contare il costo quotidiano. Tutto ciò, quando ad ora abbiamo perso posti (1700 contro 2mila) a fronte di costi di gestione più alti”. E se ci si ritroverà a dover subire “retrocessione”? “Il problema è mal posto – dice Ghisolfi – non sono contro il teatro di tradizione, ma bisogna essere chiari: si tratta di altra cosa, di un altro mondo”.

Ricapitolando, la questione si fa tremendamente concreta per il rischio che corre l’apertura della stagione autunnale del Maggio con una Semiramide di Rossini (nello storico adattamento di Luca Ronconi) in “‘braghe di tela”. Una possibilità molto concreta, spiega Ghisolfi, “conseguenza dello stato caotico e incerto in cui si trova il teatro. La scenografia è stata presa a noleggio, e potremo lavorarci poco tempo, per problemi legati alla gestione organizzativa e alla scarsità degli addetti dedicati, senza peraltro poter procedere alle operazioni di adattamento e restauro necessarie, in quanto costano troppo. L’opera è complessa, e richiederebbe interventi di un certo peso: ma non ci sono soldi, dunque il rischio è di aprire il sipario in forma semi scenica, o comunque in modalità non all’altezza della reputazione del teatro, in particolare visto che si tratta di un’apertura di stagione”.

Per ora, al di là di voci e supposizioni, la Cgil si aspetta garanzie riguardo l’intenzione della dirigenza di non procedere ad ulteriori riduzioni di personale nell’ambito del complicato processo di risanamento del teatro.

Ma non è finita. Infatti, mentre la cappa della indeterminatezza riguardo alla propria sorte si fa plumbea, resta ancora irrisolto uno dei nodi emblematici di questa vicenda: la sorte delle due lavoratrici non licenziate, non esodate, semplicemente, di fatto, “allontanate”. Senza stipendio, senza paracaduti sociali, età over 60, con famiglie di fatto monoreddito (il loro, quando c’era) alle spalle. Una vicenda che si trascina da un anno e qualche mese, in cui si mescolano errori amministrativi e di valutazione, anche da parte sindacale, vista la situazione veramente complessa che le due donne hanno subito, anche a livello della stessa definizione giuridica. Sta di fatto che la loro vicenda, vicina a risolversi per ben tre volte, passata dalla commissione cultura dell’amministrazione comunale, portata in consiglio con interrogazioni dei consiglieri comunali, riaffrontata in tutte le sedi possibili, per ben tre volte è andata “buca”. Anche quando la soluzione sembrava lì, a portata di mano. Un monito per tutti, come commenta una lavoratrice, una sofferenza,  come racconta una protagonista, soprattutto per la sensazione di essere “pattume”, da poter scaricare senza nessuna possibilità di reagire. O meglio, è la reazione stessa, politica, giuridica, sindacale a essere stata svuotata di qualsiasi incisività. “Una situazione che, al di là del valore esistenziale-personale – conclude Alida Cavallucci, una delle protagoniste della vicenda  – ha un fortissimo valore politico: il messaggio che passa è che i lavoratori possono essere messi sulla strada, senza se  e senza ma. Punto. E attenzione, può capitare a tutti”.

 

 

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