Firenze – Il Maggio musicale fiorentino guarda al futuro con maggiore serenità. La conferma arriva dal Fus (il Fondo unico per lo spettacolo) che ritocca verso l’alto il contributo: dai 13 milioni e mezzo del 2017, ai quasi 14 di quest’anno. Senza contare un ulteriore, piccolo balzo in avanti, derivante dalla ripartizione di altri tre milioni spettanti alle 14 Fondazioni lirico sinfoniche.
“Si tratta di un riconoscimento del lavoro che stiamo portando avanti – dichiara soddisfatto il sovrintendente Cristiano Chiarot – un lavoro fatto di quantità e qualità, che ci ha visto rimodulare le linee della programmazione, permettendoci di chiudere il bilancio in pareggio, di aumentare il pubblico e di posizionarci, dopo La Fenice di Venezia, al secondo posto quanto a numero di produzioni liriche fra i teatri della penisola”.
Certo resta aperta la spinosa questione del debito consolidato nei confronti dello Stato che fra rate della legge Bray e rate Irpef sfiora i 60 milioni. “Ma anche su questo fronte – dichiara ancora Chiarot – abbiamo fatto importanti passi avanti con la messa a punto di un piano di risanamento che prevede una riduzione progressiva del debito fino all’estinzione nel giro di quindici anni”.
Accantonati i numeri, il Maggio riparte artisticamente con un progetto originale, un dittico fra moderno e contemporaneo, che inaugura ufficialmente la stagione lirica. Firmatari dell’operazione un inedito di Vittorio Montalti (fra i più promettenti autori del panorama di oggi) e un giovanissimo Giacomo Puccini. Il primo rende omaggio ai 150 anni della morte di Gioachino Rossini con titolo sbarazzino, qui al suo debutto assoluto, “Ehi Giò”, su libretto di Giuliano Compagno, mentre del maestro lucchese viene proposto “Le Villi”, primo cimento operistico pucciniano, andato in scena nel maggio 1884 al teatro Dal Verme di Milano, restituito ora in un nuovo allestimento al quale presta ora il proprio apporto coreografico il Nuovo Balletto di Toscana. Per entrambi sale sul podio Marco Angius, con Francesco Saponaro che cura scene e regia.
“Da una parte con ‘Le Villi’ – dice ancora Chiarot – il Maggio prosegue nel percorso, avviato lo scorso anno con ‘La rondine’, che ha come obiettivo quello di far conoscere al pubblico le opere meno conosciute di Puccini, dall’altra con ‘Ehi Gio’’ rafforza ulteriormente una consolidata consuetudine del nostro teatro, ovvero quella di proporre opere di nuova e nuovissima composizione. Per noi l’inaugurazione di una stagione è anche il momento in cui si lancia una sfida e questa è la nostra”.
Montalti (Leone d’argento alla Biennale di Venezia 2010), ritrae un Rossini anziano che rivive alcune tappe del suo mito: dalla passione gourmand, all’ipocondria, dai nostalgici ricordi di una carriera gloriosa e folgorante al male di vivere, quella depressione, che l’accompagnò sempre, fino alla fine dei suoi giorni. I fantasmi del passato (donne amate, cantanti e impresari), fugaci apparizioni, epifanie di un ricordo sempre più stringente, che spingono il compositore all’isolamento esistenziale e al definitivo ritiro dal mondo, riprendono così vita in una scrittura che si muove estroversa tra l’ampia gamma delle intonazioni vocali impiegate, sonorità elettroacustiche e colte citazioni musicali. “E se il titolo richiama l’Hey Joe di Jimi Hendrix del 1966 e l’Eh Joe scritto per la tivù da Samuel Beckett nel 1965 – racconta il regista – lo spazio scenico si ispira al celebre Abbey Road Studios di Londra, luogo di sperimentazione e ricerca, che a cavallo fra i 60 e 70 del 900, in pieno spirito underground, cambia radicalmente il modo di fare musica”.
Quanto a Le Villi, testimoni di una fase sperimentale della drammaturgia pucciniana, siamo di fronte a un’opera di piccole dimensioni (tre soli i personaggi più il coro) e a un genere, l’opera-ballo, molto apprezzato all’epoca. Come era di gran moda il soggetto fiabesco di matrice nordica. “Le Villi è un esperimento di teatro totale che anticipa le tecniche e gli espedienti narrativi del cinema – spiega Saponaro – con il tema fantastico che si riverbera nell’impianto simbolico e rarefatto della scena: un unico elemento architettonico, la casa di Anna, che si trasforma in un severo catafalco funebre. Ancora una volta sono gli anni 70 a suggerire l’ambientazione ideale, e più precisamente il cinema dei grandi maestri, coi suoi ritratti di uomini perduti nella dissolutezza e abbandonati alla violenza pulsionale del sesso. Il linguaggio coreografico libera la tensione tragica della scrittura musicale: nove danzatrici incarnano la presenza minacciosa delle Villi mentre tre danzatori, multipli speculari del protagonista maschile e proiezioni delle sue colpe, ne evocano smarrimenti e rimorso”.
Repliche 20, 25 e 28 ottobre. Info www.maggiofiorentino.com