Maggio Musicale Fiorentino: Britten, il silenzio e l’angoscia

Firenze – “The ceremony of innocence is drowned”,  la rappresentazione ufficiale dell’innocenza è soppressa. Fa venire i brividi questa frase che canta Quint, ufficialmente fantasma, piuttosto proiezione dello smarrimento dell’uomo di fronte al male e alle sue conseguenze.

Questa edizione di “The Turn of the Screw”, opera di Benjamin Britten con il libretto di Myfanwy Piper, andata in scena in questi giorni al Teatro Goldoni per il Maggio Fiorentino (direttore Jonathan Webb, regista Benedetto Sicca)  ha riproposto uno dei più densi capolavori musicali del Novecento.  Ci si trova di fronte a un capolavoro, infatti, quando a una raffinata arte compositiva, ricca ed espressiva, si affianca un testo che accompagna non solo alla creatività di un grande scrittore come Henry James, autore del racconto da cui è tratto il libretto, ma anche a percepire le sotterranee angosce di una società, ai fantasmi, questi sì veri, delle pulsioni più profonde dell’animo umano e delle regole sociali che le governano.

Già all’inizio dell’opera ci si trova immersi in quelle icone dell’immaginario britannico che ha dato al mondo tante opere preziose: il gotico, il ricco borghese, la campagna, l’adolescenza, l’enigma. Certo entri nel mondo dell’autore del Ritratto di Signora, ma trovi anche Lewis Carroll, Oscar Wilde fino a un campione della letteratura popolare vittoriana, come Arthur Conan Doyle.

Siamo lì, nell’Inghilterra della fine dell’Ottocento a seguire questo strano intreccio  fra due donne, due ragazzi e due fantasmi che interagiscono in un continuo passaggio dalla realtà fisica, a quella psicologica, andata e ritorno, dove non è mai chiaro che cosa è accaduto, che cosa sta accadendo e perché i sei sono così fatalmente legati fra di loro.

Si rappresenta il gioco che più amano gli inglesi, nel quale ciò che appare nasconde ciò che è reale e ciò che è reale finisce per scomporsi in piani diversi e alla fine la mente si perde. Ma è questo il vero precipitato alchemico della creatività inglese: del lato oscuro non si deve parlare, è qualcosa che deve rimanere “altro”. Il disvelamento del male porta all’annientamento:  the ceremony of the innocence is drowned.

Che cosa è accaduto fra Quint, il servo perverso e infedele, e il ragazzo Miles lasciato solo dal destino, la morte dei genitori, e da un tutore indifferente e lontano? Della corruzione di un ragazzo da parte di un uomo malvagio si può solo intuire, ma non ci resteranno dubbi nell’ascolto della inquietante musica di Britten. Se veramente volete sapere la  verità, allora avete bisogno di un mediatore, uno per esempio come Sherlock Holmes, che con il ragionamento  alla fine rimette tutte le cose al loro posto ed esorcizza il potenziale distruttivo del male. Qui invece non c’è nessuno che ti guida, rimani solo e disperato di fronte alla malvagità che corrompe.

Tutto ciò è stato perfettamente interpretato dal regista Sicca, dalla scenografa Maria Paola Di Francesco, dal costumista Marco Piemontese e dal direttore dell’animazione Marco Farace.  Un team che ha trovato nelle immacolate immagini in 3D un’eccellente soluzione per rappresentare il flusso angosciante di menti  smarrite che non riescono a uscire dalla trappola fra ciò che si desidera, ciò che si è e ciò che altre menti vogliono che si sia. Ottimo il cast dei cantanti.

 

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