Firenze – Non sono certo i tempi del trionfo del valzer, quando i delegati del Congresso di Vienna, Talleyrand, Castlereagh e Metternich compresi, non vedevano l’ora di interrompere le trattative sul nuovo assetto dell’Europa per andare a ballare nei grandi saloni del castello di Schoenbrunn. C’è stata la grande crisi della Borsa della capitale dell’impero l’anno prima che, nel 1874, Johann Strauss Figlio componesse la sua terza operetta , Il Pipistrello, con il consueto effetto di tagli draconiani nei bilanci dell’economia dell’intrattenimento.
Un clima che si coglie anche nella messa alla berlina di un mondo di scialacquoni, gaudenti e fannulloni, che organizzano scherzi costosi e di dubbio gusto per continuare a servire “il re Champagne I”, nel libretto che Carl Haffner e Richard Genée ricavarono da un’operina leggera (Il Veglione) che aveva avuto successo a Parigi.
Tuttavia la Felix Austria aveva tutt’altro che esaurito la sua parabola di impero occidentale multietnico e multinazionale e stava lentamente andando verso un tramonto che ha favorito una ricca eredità artistica e culturale. Il valzer viveva una splendida maturità insieme alle danze sorelle: la Czarda ungherese e la Polka di origine polacca diventata ballo nazionale dei paesi dell’Europa dell’Est.
Nell’edizione del Pipistrello di scena in questi giorni al Teatro del Maggio, questo è certamente il motivo che ha spinto il regista bavarese Josef Ernst Koepplinger a trasferire la storia della vendetta del notaio Falke, ferito nell’orgoglio dalla beffa feroce organizzata dal suo amico von Eisenstein, a poco meno di 50 anni dopo, nel 1920, quando il vecchio Kaiser se n’era già andato e il cuore dell’impero si era ridotto a una ridotta provincia tedesca. Nel 1919 a Versailles, dove di nuovo si mise mano all’equilibrio europeo dopo la prima guerra mondiale, non si ballava il valzer e forse anche questo fu un errore dalle conseguenze fatali per l’Europa.
Sotto la direzione di Zubin Mehta , musicista indiano con una grande familiarità con la cultura tedesca, l’opera di Strauss è stata il frutto di una coproduzione cin lo Staatstheater am Gaertnerplatz di Monaco di Baviera con lo stesso cast di cantanti, le scene di Rainer Sinell e i costumi di Alfred Mayerhofer.
Bisogna dire subito che chi ama il genere musicale leggero di stampo austriaco ha trovato nell’edizione fiorentina tutte le condizioni per essere soddisfatto. Per la popolarissima musica del compositore viennese celebrato anche dalla riproduzione della statua dorata realizzata da Edmund Hellmer e inaugurata (guarda caso) nel 1921 sulle note del Bel Danubio Blu. Per la bravura dei cantanti che hanno messo in mostra talenti di attori comici, anche con movimenti e salti tutt’altro che banali nel divertentissimo terzo atto. Apprezzate dal pubblico anche le battute in italiano fra cui una di grande attualità: loro vanno in cella, “chi andrà al Colle?”.
In generale tutti sono stati in grado di trasmettere nella lingua germanica comicità, umorismo e parodie che costituiscono l’essenza dell’opera. Un grande bagno di Mitteleuropa per gli appassionati del genere e una festa del valzer per chi pratica una forma d’arte popolare qual è il ballo di coppia.
A proposito. Il ballo alla festa del Principe Orlofsky è stato interpretato dai danzatori della Compagnia Nuovo Balletto di ToscanA. Bravissimi, ma sarebbe l’ora della rinascita del Corpo di ballo del Maggio. Il sovrintendente Pereira ha fatto capire che ci sta lavorando. Aspettiamo sviluppi.
Prossime repliche: 20, 21 gennaio alle ore 20 e 23 gennaio alle ore 15,30