Ci sono alcuni fatti che i ragazzi del giornale studentesco Cortocircuito dovrebbero conoscere prima di lasciarsi andare a reazioni cariche di risentimento (si veda articolo sottostante e relativi commenti). Dovrebbero sapere innanzitutto chi sono e che fine hanno fatto i colleghi che hanno raccontato per primi gli affari opachi di talune cooperative, il sacco di Reggio degli anni ’90 quando i piani regolatori venivano concordati con i luogotenenti delle ‘ndrine calabresi. Se oggi questa è storia nota, lo si deve anche al contributo di giornalisti che hanno pagato un prezzo altissimo per avere squarciato per primi il velo di omertà sul rapporto tra politica e criminalità organizzata. Alcuni sono stati condannati ad un vergognoso esilio professionale, altri sono disoccupati, i più giovani vivono di contratti precari o da abusivi in redazione. Perché il giornalismo d’inchiesta, quello vero, non conviene. E’ un mestieraccio per il quale nessuno si sentirà in dovere di dire grazie. Non sono convegni, festival, passerelle calcate da personaggi che tentano di rifarsi una verginità (gratis) dietro il paravento dell’antimafia militante.
Serve uno sforzo di memoria per comprendere dove siamo oggi e come ci siamo arrivati. Forse i ragazzi di Cortocircuito non erano nemmeno nati quando esplose la bomba al bar Pendolino né hanno idea di chi sia Paolo Bellini, la primula nera che ha attraversato trent’anni di misteri italiani. Eppure a Reggio ci sono stati giornalisti che hanno indagato tra le pieghe di quella storia ambigua e sfuggente, che hanno seguito il filo che lega Stato, mafia, terrorismo politico e hanno colmato almeno qualche lacuna nella ricostruzione di un periodo storico. Bisogna partire da qui, dalla storia e dai processi per comprendere come la ‘ndrangheta si è infiltrata, radicata e infine integrata nel tessuto economico e sociale emiliano con la complicità di amministratori locali. Se i ragazzi di Cortocircuito conoscessero la storia vedrebbero con altri occhi chi oggi vuole mettere il cappello sul Festival della legalità. C’è da chiedersi dove fosse chi si fa fotografare insieme a Nicaso e Gratteri (loro sì testimoni encomiabili della lotta alla mafia) e al candidato sindaco del partito democratico, quando la ‘ndrangheta dettava i piani regolatori in cambio di un fiume di denaro. Adesso fa comodo salire sul carro della legalità festivaliera, ma chi allora ha scritto, raccontato, denunciato ha visto la propria carriera distrutta. Altro che convegni in cui da anni si ripetono le stesse cose allo sfinimento.
Qui non si vuole sminuire il lavoro di documentazione che ha portato alla realizzazione “Non è successo niente. 40 roghi a Reggio”, che enumera gli incendi dolosi appiccati nel 2013 in provincia di Reggio. Ma si tratta della fotografia superficiale di un fenomeno ben più complesso e articolato. E per evitare di fermarsi alla superficie Cortocircuito dovrebbe accettare il fatto che si apra una riflessione, anche critica, sul proprio lavoro, peraltro sapientemente sfruttato da vecchie volpi che sanno come monetizzare l’impegno di giovani imberbi. A proposito di roghi, vale la pena leggere l’articolo “La vera mafia non fa fumo” della giornalista reggiana Sabrina Pignedoli, che da anni si occupa di ‘ndrangheta e lo fa molto bene.
C’è un altro aspetto, fin qui poco indagato, che i paladini dell’antimafia farebbero bene a considerare: non sono solo ragioni economiche che hanno portato la ‘ndrangheta a trovare da queste parti un habitat consono alle proprie esigenze criminose. L’assenza di un confronto vero tra diverse visioni del mondo che perdura da oltre 60 anni ha favorito la nascita di lobbies e consorterie refrattarie ad ogni critica. A differenza della mafia, le locali mafiette non utilizzano taniche di benzina e pallottole, ma ricorrono alla delazione e alla damnatio memoriae per soffocare il dissenso. Dai Magnacucchi all’arrivo dei primi boss in soggiorno obbligato corre un trentennio ma un certo habitus è rimasto immutato. E’ a causa di questo clima da regime strisciante che non siamo riusciti ancora a fare i conti con la nostra storia e con le ombre del passato. Lo tengano presente i ragazzi di Cortocircuito la prossima volta che ricevono una critica.
Giuseppe Manzotti