Mafia in Toscana, pronto il Protocollo di Legalità

Firenze – Il Protocollo di Legalità Antimafia della Toscana è pronto. È quanto ha reso noto il prefetto Luigi Varratta a margine della conferenza che ha segnato il punto sulla criminalità organizzata della regione. Al documento, che mira alla prevenzione e al contrasto delle infiltrazioni malavitose tanto nel commercio quanto nelle attività imprenditoriali, manca solo la firma del ministro Alfano. Già applicato al sud, sarà il primo del genere dell’Italia centro-meridionale e riguarderà soprattutto le misure da applicare ad appalti di importo inferiore a quello stabilito dalla normativa attuale (circa 40mila euro). Il segnale è forte, perché per quanto ormai toccata da tempo dalla malavita organizzata, la Toscana non è ai livelli di regioni quali Lombardia e Piemonte o, stando alle dichiarazioni del prefetto, “non è da considerarsi terra di mafia”. È quanto emerge dai dati degli ultimi due anni, che pur visto l’evoluzione della dinamica criminale differenziarsi ed espandersi.

Presenze mafiose radicate nel territorio ci sono, riguardano tutte le organizzazioni classiche e toccano ciascuna provincia. L’elemento di novità è rappresentato dall’emergere di nuovi profili, le cosiddette “nuove criminalità”: gruppi organizzati che annoverano malavitosi che, pur operando negli stessi settori (droga, prostituzione, usura, riciclaggio, appalti), non hanno legami con le mafie tradizionali e che anzi, sganciate dalla logica della provenienza, sono composti da diverse etnie. “Il territorio se lo suddividono bene, senza calpestarsi i piedi. Ciascuno ha le sue competenze territoriali”. Ciò che condividono con mafia, camorra e ndrangheta, in sostanza, è la seduzione del denaro e del potere. “Le criminalità più estese – ha detto il prefetto – sono la cinese, l’albanese, la nigeriana e la nordafricana”, ma se le ultime due restano, come in passato, dedite al traffico di droga e allo sfruttamento della prostituzione, “le criminalità cinese e albanese hanno fatto il salto di qualità”, al punto da essere annoverate nell’olimpo delle organizzazioni criminali tout-court. “Con le mafie tradizionali condividono tutto: sono organizzate, hanno una leadership, poggiano su base familistica, si muovono con grande abilità sul territorio supportate dalla presenza di connazionali. Operano, insomma, con metodi mafiosi”. Singolare il dato sulla criminalità cinese che, un tempo attiva soltanto sull’immigrazione clandestina e il lavoro irregolare, si è ultimamente affacciata in maniera sistemica su droga e prostituzione, rivolgendosi ai soli connazionali.

Cambia anche il rapporto con l’alveo d’origine. I legami delle criminalità italiane con il meridione non sono più la norma. Alcuni gruppi li hanno, altri no. La Toscana non è la Lombardia, qui non ci sono le ndrine. Ci sono singoli uomini, collegati tra loro, che arrivano qui per “pulire” il denaro, e lo fanno soprattutto nel settore del turismo, investendo in agriturismi, alberghi, attività commerciali di ogni genere. Il prefetto rassicura ma invita all’allerta: “Il livello è basso, il salto di qualità in Toscana non c’è stato, ma se da una parte vorrei dire che si può star tranquilli, dall’altra devo invitare a non esserlo troppo, perché non significa che non possa avvenire. Occorre vigilare sempre, sia a livello di istituzioni, sia come cittadini”. Come? “Segnalando. Un ristorante che apre e chiude o cambia nome e gestione in continuazione, ad esempio, deve far nascere il dubbio del riciclaggio. Bisogna tenere alto il livello dell’attenzione perché le attività malavitose sono all’apparenza lecite, tutto sembra regolare. Sono i soldi che non lo sono, vengono da attività illecite condotte al sud. In poche parole, bisogna stare attenti a tutte quelle situazioni in cui circola denaro perché è lì che la criminalità va a pescare. Tutto ruota intorno a soldi e consenso sociale. In Toscana il consenso sociale non c’è, ma c’è denaro, e tutto ciò che lo muove è soggetto degli appetiti mafiosi. Mai abbassare la guardia”.

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