Il silenzio è d’oro all’eremo di Camaldoli dove ci si reca per ritrovar se stessi; o è gradita pratica cenobitica, laddove il viver assieme in comunità, primus inter pares, non ha bisogno di gran ciarlare. Ma davanti alla gravità, e per certi versi all’assurdità, della tragedia lungo il binario unico di Puglia, il silenzio, consigliato a mo’ di sussurro non a caso da più d’un governante a vario livello, risulta poco meno che un involontario invito all’omertà. Raffaele Cantone è arrivato a parlare, due giorni dopo, di deficit atavico e collegamenti con la criminalità organizzata.
Sì perché raramente come in questo drammatico caso, le responsabilità politiche sono del tutto evidenti, palesi, financo sfacciate. Hanno nomi e cognomi difficilmente bypassibili dall’intreccio iper-garantista di codici e codicilli romani. Dal livello locale, su su per estensione ed inclusione, fino al governo centrale (a cominciare dal passato). In un mix impressionante di impreparazione, sottovalutazione, burocrazia ed incapacità varie per restare nel campo della mancata dolosità. Si è arrivati a scoprire che l’Ue aveva anche stanziato diversi milioni per l’ammodernamento di una rete la cui sicurezza massima era riposta nella più classica delle telefonate.
Non si investe, anzi si taglia, perché non ci sono soldi (almeno per le infrastrutture, non risulta che calino invece gli emolumenti parlamentari), e quando si stanziano, per il consueto gioco di uffici cinesi e intermediazioni infinite, non arrivano a destinazione. Bloccati nei meandri oscuri degli apparati e fermi al palo per mancata pianificazione della classe amministratrice. Eppure i consiglieri regionali di Puglia percepiscono, a seconda se soldati semplici, sergenti o capitani, dagli 8.500 ai 10.550 annui (nel 2015). Nel frattempo la qualità dei servizi scende a livello subumano ed il costo dei biglietti naturalmente cresce.
E così l’Italia dei pendolari continua appunto a pendolare tra la mole di importanti investimenti nella sottile tratta dell’Alta velocità, dove si vola in comode poltrone di pelle e quella fittissima delle reti locali dove ci si affida quotidianamente al destino, agli ottocenteschi fonogrammi tra capistazione e, in ultima istanza, a Dio. La cui latitanza, l’altro giorno ad Andria, era del tutto palpabile.