#RidereDiTe Ma quella sull’urbanistica è una legge coraggiosa

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Chiuso per Vasco, qui col sindaco Muzzarelli

La nuova Legge Urbanistica Regionale sollecita un cambiamento culturale nella gestione dello sviluppo delle nostre città da parte di una molteplicità di soggetti responsabili: pubblici e privati. Il confronto pubblico che la formazione della Legga ha attivato rappresenta l’occasione, prima ancora di parlare di regole, per affrontare il tema di quale modello di crescita abbiamo intenzione di promuovere, anteponendo con convinzione il processo culturale al procedimento amministrativo.

Il confronto deve portare ad una maggiore consapevolezza diffusa dei limiti che ha avuto la gestione del territorio in questi trent’anni ed una condivisione sugli obiettivi da perseguire per sviluppare in maniera competitiva le nostre città dentro il confine dell’esistente, superando definitivamente un modello di crescita quantitativa il cui principale valore aggiunto era rappresentato dalla rendita fondiaria, dall’interesse per il nuovo contenitore prima ancora che del contenuto insediato, che ha finito per spuntare le armi dell’urbanistica con declinazioni ripetitive terminate in gran parte con nuove costruzioni in territorio agricolo.

Oggi la direzione del progresso indica la rotta del riuso, dell’economia circolare, della produzione ad alto valore aggiunto e a basso impatto ambientale, dell’innovazione di prodotti e processi, di città più resilienti, leggere e circolari che dobbiamo essere rapidi a comprendere e intraprendere. La rigenerazione urbana è parte di questa rivoluzione e la nuova Legge deve essere lo strumento in grado di sostenerla.

A partire dalla riduzione drastica del consumo di suolo. Come legge non solo come politica. Perché non siamo ancora in grado di far sì che la riduzione del consumo del suolo sia semplicemente la naturale conseguenza delle politiche di rigenerazione. Viceversa è necessario sia la principale causa scatenante. Per farlo occorre partire dal mettere in profonda discussione, senza mediazioni al ribasso, la pesante eredità di previsioni urbanistiche figlie di scelte che risalgono a 20 e 30 anni fa e che, pur non essendo più attuali in termini di opportunità per la città, condizionano enormemente i piani e irrigidiscono i gradi di libertà coi quali possiamo progettare la rigenerazione delle nostre città.

Rispetto a questo obiettivo la Legge Regionale compie una scelta coraggiosa e senza precedenti, cancellando le previsioni di espansione dei Piani passati e alleggerendo in tal modo la programmazione territoriale dai pesanti residui ereditati in decenni di programmazione urbanistica incentrata sulla nuova costruzione. Questa fondamentale premessa è pertanto, non solo pienamente condivisibile, ma da difendere in fase di approvazione della Legge stessa come elemento imprescindibile per la costruzione di piani incentrati sul riuso dell’esistente.

Al fine di rafforzare ulteriormente questa scelta meritano un approfondimento le regole per la gestione della quota massima del 3% di nuovo territorio urbanizzabile, valutando in particolar modo la fase di salvaguardia – comunque vincolata da un periodo massimo di tre anni per la formazione dei nuovi piani – e la tipologia delle funzioni escluse dal conteggio del 3% con riferimento nello specifico agli usi commerciali.

Occorre poi semplificare drasticamente le procedure per il recupero dell’esistente e incentivare economicamente il riuso.

Anche in questo caso la legge introduce novità convincenti riducendo il contributo di costruzione comunale per le ristrutturazioni edilizie e impegnandosi al contempo a costruire adeguati strumenti finanziari per aggredire l’enorme mercato della riqualificazione dei condomini.

Inoltre, se da un lato è condivisibile l’approccio secondo cui la rigenerazione della città esistente avviene attraverso procedure snelle e interventi incrementali a seconda della complessità anche mediante standard differenziati, dall’altro sarà importante chiarire, nella pratica, i contenuti del nuovo Piano. In tal senso l’onere della Regione sarà quello di monitorare la formazione dei primi Piani redatti secondo la nuova Legge in modo tale che siano coerenti con la discussione in atto e definire fin da subito i contenuti stringenti che devono costituire la Strategia per la Qualità Urbana ed Ecologica Ambientale quale principale strumento per l’esplicitazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile dei territori.

Sempre in tema di semplificazione, ritengo che possa essere perseguita anche attraverso soluzioni non necessariamente normative, che vivono a fianco e a valle della Legge stessa: mi riferisco in particolare alla necessità di garantire modalità e tempistiche stringenti per l’applicazione uniforme sul territorio regionale di strumenti informatici a supporto della presentazione delle autorizzazioni e titoli abilitativi, piuttosto che la digitalizzazione degli archivi edilizia ed urbanistica degli Enti Locali in grado di ridurre drasticamente tempi e costi dell’edilizia.

Vi sono infine questioni, come il controlli antimafia, che necessitano di un approccio opposto a quello della eccessiva semplificazione. In tal caso la Legge introduce la novità, già in vigore a Reggio Emilia, dell’uso dell’informativa antimafia in fase di Accordo Operativo, mentre viene confermato l’uso della comunicazione antimafia per gli interventi minori.

Bisogna poi spogliarci dalla visione urbanocentrica della pianificazione, consegnando all’agricoltura lo spazio che merita nelle politiche di sviluppo e nei piani di utilizzo del territorio che devono occuparsi anche di aziende agricole, terreni coltivati e sovranità alimentare.

La Legge deve in tal senso favorire l’avvicinamento fra la programmazione urbanistica e i contenuti dei futuri Piani di Sviluppo Rurale (il principale strumento di finanziamento dei progetti in territorio agricolo): il territorio rurale ha infatti la necessità di essere trattato con linguaggi più articolati rispetto al passato, che fanno riferimento al mondo del paesaggio, ma anche a quello dell’economia, in grado di riconoscere alle aziende e alle persone che vi lavorano un ruolo fondamentale nelle politiche di sviluppo sociale ed ambientale del territorio.

Occorre poi investire fortemente sulla nascita dell’industria italiana del riuso accompagnando il settore delle costruzione nella sua prima grande rivoluzione industriale.

Questo è un onere che non può essere lasciato solo alla Legge regionale ma che coinvolge: lo Stato che deve favorire la possibilità di cedere il credito corrispondente alla detrazione spettante per le spese di riqualificazione degli edifici ai soggetti disposti a finanziare e realizzare gli interventi; alle imprese del settore delle costruzioni chiamate a fare rete e condividere competenze, al fine di offrire un prodotto chiavi in mano agli utenti finali; agli istituti di credito cui è chiesto di valutare il merito del progetto di riqualificazione e non solo il merito creditizio del soggetto richiedente.

Soprattutto, per rigenerare, occorre cominciare a farlo perchè solo in questo modo si può dimostrare che esiste una alternativa credibile al mercato immobiliare fondato sulla nuova costruzione, pur consapevoli che non è più sufficiente aggiornare il Piano e le sue regole per veder attuato nell’immediato ampi processi di rigenerazione. E’ infatti sempre più necessario affiancare al Piano, progetti e strumenti in grado di attuare concretamente, giorno per giorno, quella visione strategica di città che pone al centro i cittadini e le imprese, i loro bisogni e potenzialità nel rispetto e valorizzazione del territorio e della comunità che li ospita.

L’urbanistica deve in tal senso sapersi adeguare rapidamente e in maniera trasparente alle opportunità che parternariati seri, dal punto di vista della fattibilità tecnica ed economica, possono proporre alla città, quando questi presentano contenuti di rilevante interesse pubblico.

Questo non significa sostituire la pianificazione con la contrattazione, tutt’altro, significa investire di grande responsabilità gli Enti Locali e la comunità tutta, rispetto ad un chiaro disegno strategico per lo sviluppo sostenibile della città, creando al contempo le condizioni per attuarlo coinvolgendo anche competenze e risorse private.

Ciò non deve avvenire necessariamente attraverso i medesimi linguaggi e strumenti: penso ad esempio ai grandi interventi in Parternariato Pubblico Privati, ma anche agli interventi a bassa definizione edilizia ed alto contenuto sociale attraverso i quali vengono riusati luoghi disabitati in tutta Italia che hanno ribaltato il modello tradizionale del fare città – dal controllo tipico di visioni monodirezionali dall’alto verso il basso, alla responsabilità diffusa della cura dei luoghi dell’abitare quotidiano; o ancora alla riqualificazione energetica come volano per la rigenerazione urbana diffusa.

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