Firenze – Autonominatomi Urbanista Condotto, visito il territorio malato a domicilio come un tempo i Medici Condotti (oggi ‘di famiglia’) coi pazienti impossibilitati a muoversi. La salute trasportistica dell’area metropolitana fiorentina è, come noto, più che cagionevole, ma i vari progetti stradali e ferroviari di cui molto si parla e si tratta poco mi convincono. Dunque mi sono messo in testa di capire anche empiricamente come stanno le cose e affronto sul campo i miei esperimenti.
Per prima cosa vado a Prato in treno e compro il biglietto (€ 2,60) alla stazione di S. Maria Novella. L’orario dice 14,15, ma si parte un po’ in ritardo (alle 14,29), in compenso appena 21 minuti più tardi eccomi scendere a Prato centrale. Poi faccio Empoli-Firenze: la tratta è più lunga, il biglietto costa € 4 e per arrivare a destinazione impiego 24 minuti. A questo punto, servendomi un confronto, da pedante Urbanista Condotto ci provo con gli altri mezzi di trasporto. In auto sulla Firenze-Prato di solito non mi bastano 30 minuti se non c’è traffico e un’ora tonda col traffico. L’autostrada costa € 0,70 (per il momento) e l’auto almeno € 3 di benzina oltre ai costi generali. Poi c’è anche il problema del parcheggio (non meno di € 2). Se invece vado in pullman, pago € 5 e ci metto 45 minuti (senza traffico) oppure un’ora e più (col traffico). Quanto al taxi devo fare un mutuo: € 40 se va bene. Analoghi, da Empoli a Firenze, i tempi in rapporto al traffico, benché il tragitto sia sensibilmente più lungo. Cambiano i costi: maggiori per la benzina (€ 4), minori per il pullman (€ 2), da spararsi il taxi: € 77.
Concluso il test, l’Urbanista Condotto tira facilmente le somme e, va detto, scopre l’acqua calda, ossia che su queste due direttrici il treno è la modalità di trasporto di gran lunga più conveniente per efficienza e costi. Del resto, ovunque nel mondo la zuppa è sempre quella: in ogni area metropolitana del pianeta, antica o recente, col treno si arriva prima e si spende meno. C’è che la nostra aerea metropolitana è zoppa, al triangolo manca un lato. Tra Empoli e Prato, infatti, non ci sono linee dirette e in questo caso, i rapporti si invertono, il treno ci rimette. Con cambio e inversione di marcia alla stazione di Firenze Rifredi, occorre un’ora abbondante. Il cambio di pullman si fa addirittura al terminal di Santa Maria Novella: tempo totale del viaggio un’ora e venti, costo del biglietto € 6. In auto, invece, sfruttando autostrade e bretelle ce la faccio in 36 minuti con traffico medio. Per la benzina me la cavo con € 3 e con 70 centesimi di pedaggio autostradale (più gli ovvi costi generali). Per il taxi, non avendo intenzione di svenarmi, chiedo a un tassista: € 90/100.
Tutto ciò che cosa suggerisce all’Urbanista Condotto? Che oggi Firenze e la sua stazione centrale rappresentano un bastone fra le ruote dello sviluppo metropolitano in quanto crocevia obbligato di ogni spostamento, anche quando non sarebbe necessario. In altri termini, la diagnosi è quella di una malattia congenita del territorio cagionata dalle lunghe stagioni in cui ogni città pensava solo al proprio campanile, con Firenze dominante e pigliatutto.
Per sanare il malanno occorre dunque una cura. Ma non una cura qualsiasi. Serve una cura da cavallo. E la prima mossa per garantire un futuro efficiente/conveniente all’area metropolitana non può che giocarsi principalmente sulla strategia degli scambi e degli spostamenti. Si tratta di pervenire al cosiddetto effetto rete, olistico moltiplicatore di reazioni positive, che si ha infatti quando ogni punto e ogni connessione sono serviti e integrati. Allora perché, ed ecco il guaio, amministratori e tecnici (purtroppo anche certuni che simpatizzano per i comitati s’opposizione) insistono sulla centralità di Santa Maria Novella?
L’Urbanista Condotto, reduce dai test di cui sopra, se lo chiede stranito e strambato. Perché mai? Perché sopravvive questo iper-campanilismo già datato vent’anni fa quando la giunta Primicerio piazzò la centralità di S. Maria Novella di traverso a ogni prospettiva metropolitana (vedi su StampToscana l’articolo La Tav e il Dragone Fiorentino, ndr.)?
Parliamoci chiaro: la centralità della stazione di Firenze va mantenuta, è una struttura vitale, impossibile da rinunciarvi. Sarebbe come togliere il cuore a un malato che soffre di problemi circolatori. Quello non è che sta meglio. Quello muore. L’errore, però, fu di pensare S. Maria Novella come porto di sovrastrutture insostenibili come lo sciagurato progetto del tunnel TAV con la stazione Foster ai Macelli. Al contrario, ciò che andava individuato e negato era proprio l’accentramento, la febbre bulimica che ha sovraccaricato la città di strutture e funzioni ignorando le esigenze complessive del territorio.
C’è chi sostiene che la sindrome dell’accentramento (detta anche Centralite) risale a un secolo e mezzo fa, causata dal trauma dell’improvviso trasferimento della Capitale da Firenze aRoma. Secondo me affonda invece in un passato assai più remoto, nasce al tempo dei comuni e si consolida negli annali gloriosi della Firenze granducal-imperiale, mater magistra del Rinascimento. Di fatto, stiamo parlando nel DNA dei fiorentini, della mentalità che, tra tante cose belle e creative, ha anche voluto sia l’autostrada a ridosso della città (così vicina all’A1 da essere invasa di traffico che si blocca), sia il progetto per trasformare il naturale parco centrale metropolitano in una discutibilissima piana aeroportuale.
All’Urbanista Condotto viene perciò il sospetto che la Centralite sia un po’ la matrice elettoral/affaristica del tutto e subito e che le soluzioni semplici e meno dispendiose (la bretella Incisa-Barberino per la A1, la soluzione Rovezzano-Castello per la stazione TAV, la navetta S. Maria Novella- aeroporto di Pisa con check-in sul treno) vengano scartate proprio in virtù del loro lungo respiro, che rischierebbe di diffondere benefici anche oltre le mura, a Prato, Pistoia, Empoli.
In effetti, sembra che pensare seriamente alla Città Metropolitana equivalga a fare peccato mortale. Vade retro Satana. L’Urbanista Condotto, però, da buon medico del territorio non si arrende. Ai centralisti fiorentini pone perciò due banali domande:
1) come sarebbe percepita nel mondo la centralità di S. Maria Novella, di più o di meno, se gli attuali binari della TAV ospitassero ogni giorno treni speciali da Parigi, Monaco, Vienna o Barcellona, disegnati ad hoc per le esigenze funzionali e culturali del viaggiatore internazionale?
2) e in Italia? la centralità di S. Maria Novella sarebbe percepita di più o di meno se una speciale navetta concepita ad hoc (magari di vetro giacché, puntando il Duomo, offrirebbe anche un benvenuto spettacolare) la collegasse ogni tre minuti a una stazione TAV passante a Castello?
All’occhio dell’Urbanista Condotto non sfugge, peraltro, l’aspetto strategico della questione, ossia che Castello è non solo baricentrico nella città metropolitana, ma è anche il focus dell’intero sistema regionale del trasporto ferroviario, una rete di formidabili potenzialità. Per esempio la Grande Circolare Toscana. Opera faraonica, immaginifica, ma praticamente già disponibile. Ecco l’argomento, che garantisco avvincente, del prossimo articolo. Guardando al futuro.