Ci sono alcune hit che non tramontano mai, sui social. Qualche bruciante polemica sull’arrivo degli sfollati sui barconi, ad esempio; gli errori del PD, le ruberie delle banche, gli allerta meteo, che dilagano ormai su ogni media e quindi perché no anche su questi, lo strazio delle torture a cani e gatti, le stupidità commesse dalle starlette. Infine, qualcuno si è anche accorto che la morte dei personaggi famosi incita alla corsa al coccodrillo e genera, a seconda della popolarità del defunto, un certo numero di condivisioni, di clic, di commenti; a volte solo qualche centinaio, altre volte svariate decine di migliaia, o qualche milione se il pezzo è veramente grosso.
Quindi, perché lasciare le gioie dello scorrimento della rubrica dei necrologi ai vecchi, che ogni giorno prima di uscire per vedere se gli amici, in via di sfoltimento, sono al circolo danno preventivamente una controllata al giornale? Così, ormai, noi fedeli navigatori del sempre più angusto mare del Web, mutatis mutandis apriamo Facebook e Twitter e innanzitutto vediamo che tempo farà; poi, immancabilmente, ci sarà riferito con precisione da vecchie comari chi è morto durante la notte. E’ morto il bassista dei New Trolls, hai sentito?
No, figurati, a me non dice mai niente. Non mi dicono niente nemmeno i New Trolls dagli anni ’70, se è per questo. Ma è morto pure il bassista dei Metallica. Sì, nell’86, e come mai salta fuori la notizia adesso? E’ morto il batterista, il cantante, il chitarrista e pure il roadie. E’ morto Paul Kantner. E’ morto Nicola Arigliano, titola una bacheca, e sotto tutti: oh no, che anno terribile quest’anno 2016, in cui muoiono tante persone. Sì, e soprattutto preoccupante è il fatto che muoiano magari nel 2010 e che la notizia salti fuori di nuovo oggi, evidentemente messa in ricircolo dagli infaticabili trolls della tastiera che, servizievoli verso le numerose esigenze del click baiting, danno nuovo lustro a coccodrilli che basterebbe uno sguardo distratto a Wikipedia per ignorare. Certo, ci sono anche gli intramontabili “Oggi sono 20 anni che è morto Tizio”, o “Oggi sono 100 anni che è morto Caio” (quand’è che scatta, esattamente, il “pace all’anima sua” e non pensiamoci più?), oppure ancora “Oggi sono 11 anni che è morto Sempronio, che uno lecitamente a meno che non si tratti un caro congiunto potrebbe anche chiedersi che razza di ricorrenza sia. Poi, ci sta che i vips particolarmente amati siano più frequentemente omaggiati anche nella morte, per carità.
Figuriamoci: ogni giorno c’è qualche simpatico imbecille che ne fa morire uno di quelli ancora vivi. Un po’ per scherzo, un po’ per rappresaglia, un po’ per avviare il motore dei click e, forse, un po’ anche nella speranza di beccarci, il che farebbe di lui il primo in assoluto a pubblicare la notizia, con la conseguenza di quel bel quarto d’ora di fama di cui spesso parliamo. E’ morto Lemmy Kilmister, possa riposare in pace lui e le innumerevoli cover che ci ha regalato negli ultimi vent’anni di attività. E’ morto Ettore Scola, così giovane. Come faremo senza di lui. La risposta corretta da barrare è presumibilmente: peggio, di sicuro. Ma aveva 85 anni. Forse era lecito aspettarselo, con tutto il rispetto per il dolore vero, quello dei tanti familiari e amici di questi, che anche se Vips forse hanno anche avuto una vita loro.
E poi oh, è morto pure il gigantesco Jean Rivette (87), e su Facebook non se lo è inchiappettato nessuno. Ci sarà rimasto male, il Maestro? Ma magari no, cosa volete che gli sia fregato di non essere passato in bacheca. E poi, disgrazia delle disgrazie, è morto il Duca Bianco, David Bowie, uno dei nomi più ascoltati del mondo, roba che nemmeno il Barone Lamberto di Gianni Rodari, solo che questo a furia di essere nominato è ringiovanito, alla star inglese il trucco non è riuscito. Povero David, gli è invece riuscito il trucco di superare se stesso (di nuovo, come sempre) anche nella morte, regalandoci un ultimo testimone di grande e pesante bellezza, un commiato di grandissima classe strappato a morsi all’oblio della tomba, un ultima trasformazione, e poi chissà, in seguito, non è dato sapere. E le bacheche dei social di tutto il mondo sono esplose in un anelito di dolore incolmabile, c’è gente che ha confessato di aver pianto per giorni, roba che nemmeno se gli morisse il gatto, uno di famiglia, per carità. Un diluvio di condoglianze, di passaggi dei suoi brani, di foto, di pensieri, di coglioni che si dipingono fulmini sulla faccia e scappano al cesso a farsi di corsa il selfie. Poi, sotto sera, scatta la conta: ma all’ultima volta che abbiamo guardato, non è che i fan di Bowie, che tutto sommato per chiunque sia nato oltre gli ’80 era impietosamente catalogato come “vecchia scorreggia” (seguiamo la definizione che l’umile Billy Idol diede dei Led Zeppelin dall’alto della sua arte, ovviamente), alla conta erano molti, ma molti meno di quanti si professano oggi incapaci di sopravvivere?
E l’amara verità: di tutta questa gente, alla fine nemmeno il dieci percento lo ascoltava, o al limite lo poteva soffrire. Gli altri, si sono accodati: e passi per quelli che ascoltando due tre brani (obtorto collo) hanno pure imparato a conoscerlo, che sono la minoranza; il resto si è intruppato per non restare in disparte, per avere, come al solito, l’occasione di straparlare di sé per qualche ora in più. Poi, qualche giorno dopo, il dolore infinito come è normale aspettarsi cessa, e tornano a fiorire le amenità dell’ultimo momento, e noi possiamo tornare a postare i brani di Lemmy e di David senza sentirci terribilmente alla moda, terribilmente lemming, solo con la voglia di ascoltare e di far ascoltare musica che amiamo.