Firenze – È un ulivo vivo, simbolo antico di pace, l’albero accolto tra le due mani, una femminile e una maschile, di resina e materiale riciclato, la scultura “Give” che dal 4 agosto per un mese resterà ospite nel Giardino di Boboli prima di essere definitivamente installata nel Parco Internazionale di Scultura di Pietrasanta come dono e parte di un progetto contro il cambiamento climatico, sotto l’egida dell’Onu.
Lorenzo Quinn, lo scultore romano già notato alla Biennale di Venezia del 2017 per le due mani monumentali emergenti dal mare che sostengono Palazzo Morosini Sagredo, ora ripropone le sue grandi mani per stabilire un silenzioso contatto tra l’uomo e la natura. Un dialogo compromesso se non addirittura interrotto, anticipando un disastro ambientale a cui è necessario opporsi anche con la forza di un’installazione. Questo è il messaggio che l’artista, sembra comunicare al mondo con la sua opera.
Abbiamo chiesto a Nicola Nuti, storico dell’arte, un suo pensiero riguardo la mostra di Give a Boboli e delle installazioni proposte in questa estate fiorentina.
Un’istituzione come gli Uffizi propone l’arte contemporanea. Lupi e mani…
“Che gli Uffizi propongano arte contemporanea mi sembra una buona cosa, ma, come succede spesso a Firenze, manca un progetto d’insieme. Il territorio dell’arte contemporanea è vasto e difforme: è necessaria una selezione e stabilire dei criteri. Non sarebbe male se certe decisioni venissero prese all’interno di un comitato formato da artisti, critici, storici e giornalisti di cultura, possibilmente non scelti in base ai potentati politici”. E prosegue: “Per quanto riguarda Give, credo che un artista non dovrebbe mai abbandonare la ricerca: raggiunto un risultato, bisogna maturare e guardare avanti. Quest’opera mi sembra una ripetizione sull’onda del successo ottenuto dalle “Mani” a Venezia e la trovo abbastanza scontata. Io non sono contrario alle sinergie fra città e regioni diverse, purché gli scambi siano biunivoci e gestiti collegialmente”.