L’onorevole “reale” contro il suo reddito “virtuale”

Il deputato Maino Marchi argomenta il suo “no” alla pubblicazione on-line della sua dichiarazione dei redditi. La nostra contro-lettera, sempre in nome della democrazia

Il trietto Pd composto da Ghiretti, Tutino e Capelli aveva rimbrottato l’onorevole reggiano Maino Marchi, unico tra i deputati locali a non aver acconsentito alla pubblicazione on-line dei suoi redditi da parlamentare. Lui, silente come una statua per un po’ di giorni, passata la buriana ha risposto ai colleghi di partito e dunque all’opinione pubblica tutta affamata di gossip danarosi sulla casta che meno casta (aggettivo) non si può. “Il tema politico che si impone al dibattito – citiamo da uno dei passaggi fondamentali della missiva marchiana – è se l’onestà di un eletto possa essere certificata solo dalla rete e se alimentare il mito acritico della casta non serva alle lobby dei potentati economici per svilire il senso della rappresentanza democratica”. In sostanza, dice Marchi, ridurre tutto a internet e due click sulla tastiera farebbe il gioco di banche e multinazionali, svilendo la sacralità della democrazia rappresentativa. E lui dunque non mette alla gogna mediatica l’ammontare dei suoi pubblici quattrini (peraltro verificabili da chiunque abbastanza semplicemente). Alla faccia del diluvio pruriginoso dei pissi-pissi, bao-bao da social network. Se qualcuno vuol sapere quanto prendo, chiosa nostalgicamente Maino Marchi,  glielo invierò tramite mail.

No, caro Marchi, non ci siamo. Qui non si tratta di sottili elucubrazioni sul rapporto media-società o di discettare amabilmente sull’ultima trovata tecnologica che possa rivoluzionare la comunicazione virtuale. Si tratta semplicemente, come un navigato politico come lei dovrebbe intuire, di leggere i segni dei tempi, in questo caso di un potenziale elettorato che esige d’ora in poi da parte vostra la più totale trasparenza. Nell’immediatezza del reperimento, hic et nunc, delle notizie utili alla democrazia e verificabili dal singolo. L’essere pronti, sempre e comunque, a concedersi alla piazza popolare perché la campanella della ricreazione è finita.

Il crescente esercito degli indignati, perlopiù argomentando con serietà e implacabili analisi storiche il suo distacco, il suo più amareggiato disincanto verso la politica, non più o non solo con l’immarcescibile qualunquismo che bollava i demagoghi, non si riduce a questioni di “moda” o di “pensiero unico”. A gridare il desiderio di trasformazione sono proprio le persone che lei dice di incontrare quotidianamente nel suo “piccolo (o grande) mondo antico” (che non siano però, per l’amor di Dio, le ultime Repubbliche, prima e seconda) fatto di carne tridimensionale e sagome visive. Ma come, non se n’è accorto? Ma che bar frequenta, oltre alla buvette della Camera?

Marchi, volente o nolente, lei fa parte da anni di quella dimensione oggi grandemente additata come la principale responsabile (assieme ad altri pingui commensali) della quasi bancarotta di un Paese e della riduzione a forme (occidentali) di simil-povertà di una crescente fetta della popolazione. Anzi, dell’arricchimento ingiustificato e privilegiato degli attori della politica quasi a scapito dei cittadini governati. Oggi la lancetta dei pesi e contrappesi sociali nell’orologio democratico, si è giocoforza spostata sui comportamenti pubblici rispetto alla iper tutela dei diritti privati. Perciò faccia come i suoi colleghi, che non sono meno democratici di lei e sbatta on-line la sua dichiarazione dei redditi. Il suo compenso reale non si assottiglierà, né di valore né di peso, diventando “virtuale”. Con simpatia

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