Però, se vediamo lo scenario, invero tanto agitato quanto grigio e triste della politica che giorno dopo giorno si svolge sotto i nostri occhi, non si può non riconoscere a Salvemini qualche serio motivo a sostegno della sua definizione.
Tutto oramai è dentro una specie di bolla magica frutto dell’euforia per Mario Monti cui segue, inevitabilmente, il richiamo all’Europa che, da vecchi europeisti, oggi non sappiamo cosa sia. Ma basta al presidente del consiglio dire che lo chiede l’Europa che tutto sembra trovare ragione. A nessuno viene in mente che, al di là del fatto contabile generale del continente – questione certo di non poca rilevanza – una politica che può definirsi europea non c’è poiché non c’è l’Europa politica e “fare i compiti” su commissione è come studiare in collegio ove i canoni sono diversi da quelli dell’ambito pubblico.
L’Italia è scombinata perché non ha il senso della misura; ma l’esserlo in presenza della politica è un conto, senza invece un altro, come ci dimostra il quadro istituzionale, con un governo che soffre il confronto sociale, fa dichiarazioni di arroganza sulla validità delle proprie intenzioni, un Parlamento silente, le apicalità della Repubblica che vanno oltre il cantare fuori dal coro, ma fanno un loro coro solitario e partiti che abusano di questa definizione.
Un tale scenario fa emergere taluni dei mali atavici della nazione: il ricorso all’uomo che risolve e il richiamo alla virtuosità che è sempre esterna. Ciò significa, in altri termini, rinuncia alla politica quale azione collettiva e ritenere che gli atteggiamenti virtuosi li possiamo trovare da soli senza tirare sempre in ballo, a mò di donna dello schermo di dantesca memoria, l’Europa sulla quale pesa la negativa ipoteca della cancelliera tedesca.
In tale contesto si inserisce tutto il resto:i fremiti di Bersani, le dichiarazioni di Berlusconi, le narrazioni di Vendola, il futuro possibile di Monti e quant’altro, come si dice oggi con un’espressione di pessimo gusto, ma è come fare la lepre in salmì senza la lepre visto che la politica non c’è. L’azione di Monti e il sostegno che gli viene profuso al di là di ogni ragionevole umana misura – peccato che la definizione di “uomo della Provvidenza” non possa essere più usata mentre, per la Fornero, quella di “donna della Previdenza” lo potrebbe, considerato che la prima attenzione, si fa per dire, è stata rivolta ai pensionati per giungere, poi, alla “flessibilità in entrata” ossia alla conquista del diritto al licenziamento appena si prospetta l’arrivo dell’agognato posto stabile – avrà una preminente ragione contabile, i dati positivi dello spread lo confermano, ma non quella di rigenerare un minimo di tessuto politico dopo venti anni di un bipolarismo che ha fatto più danni del cavallo di Attila. Il ricorrente richiamo all’Europa, inoltre, altro non è se non il paravento della politica che non c’è. Tuttavia, ricorrendovi, la destra neo-liberalista attua una riforma tatcheriana al posto della sempre tanto invocata “rivoluzione liberale”senza sapere a cosa ci si riferiva e mancando, di conseguenza, pure di rispetto ad uno degli italiani che hanno più onorato l’Italia: vale a dire Piero Gobetti cui l’espressione appartiene.
I partiti, dal canto loro, sembrano il coro mugolato della Butterfly e, dai due maggiori, non viene quello che dovrebbe venire. Gli altri curano la bottega loro. Siamo in un realistico – e quindi contraddittorio – pensiero ipotetico del terzo tipo. Basta vedere il recente congresso del Pdl che si svolge addirittura senza mozioni o documenti d’indirizzo lasciando a gruppi territoriali l’un contro l’altro armati il campo dell’affermazione in un quadro di numerosissime situazioni gestite da “commissari”, tanto da pensare che ce ne siano più a disposizione di Berlusconi di quanti ne abbia il ministro Cancellieri!
Intanto i giorni passano, la ripresa non c’è, la politica latita, le liberalizzazioni come tali sono una farsa essendo solo l’affermazione del principio di legittimità per la destrutturazione sociale, il Paese è più povero e la condizione funzionale delle grandi reti che si giustificano per il servizio al pubblico sempre più in ritardo: ferrovie, autostrade, sanità, poste ove se fai un vaglia ti senti chiedere se vuoi un “gratta e vinci”, ma potremmo continuare, sono una parte dello specchio generale; perché, per esempio, in merito a tali settori di Europa non si parla mai? La stessa questione della Val Susa, non entrando nel merito della ragione o del torto, una cosa la dice, e da tempo: che non solo la politica non ha autorevolezza, ma che sedicenti partiti cui è estranea la gente, come avviene oggi, non hanno più alcun mandato di ruolo nel governo reale ed effettuale delle questioni. Così, saltando il filo connettivo della politica democratica, è normale che le tessere del puzzle vadano ognuna per conto loro.
Gli uomini della Provvidenza, di solito, finiscono nel buco nero della storia e le illusioni sono come i sogni, l’alba se li porta via con sé.
Se si deve parlare di ragioneria dello Stato facciamolo, siano presi i provvedimenti dovuti – magari più equi rispetto a quelli adottati – ma non sono certo le dichiarazioni tattiche con evidente intenzione mediatica le ricette per la ripresa nazionale. Essa, infatti, pone una questione morale che non è quella agitata da Di Pietro, un misto di dannunzianesimo e futurismo intellettuale che, però, gli porta frutti a sinistra.
Qui è in gioco il Paese nel suo essere profondo, quello riguardante la sua conformazione valoriale; la natura della sua politica democratica dipende da ciò e il vivere dello “spirito della Repubblica”, quale legge non scritta che ci motiva tutti.
E’ da qui che bisognerebbe ripartire, ma il treno è fermo e la biglietteria della stazione chiusa. Seguitando così, alla fine, la stazione chiuderà del tutto e il treno lasciato lì, abbandonato su binari morti. E’ notorio, infatti, che la Provvidenza si occupa di tante cose, ma, almeno in Italia, non certo di questioni ferroviarie..
Riconosciamolo: rispetto allo scombinamento denunciato da Salvemini mai il vecchio professore pugliese avrebbe potuto immaginare tanto.
Paolo Bagnoli