Ken Loach non smette mai di stupirci. A 87 anni riesce a sfornare film che appassionano come sempre, e lo fa con la sua ruvida classe e grande mestiere dove tutto torna : le inquadrature , i primi piani, la stupefacente fluidità e significanza di ogni dialogo ( grazie anche allo storico sceneggiatore Paul Laverty) , il ritmo, il montaggio delle scene, la loro trasformazione, da apparenti anonime occasioni, in colpi di scena soprattutto come deflagrazioni interiori, la naturalezza degli attori che sembrano vivere proprio solo quelle vite dei personaggi in scena. E in più ti scorre sempre davanti qualcosa di ineffabile per il quale tu senti di essere comunque testimone e responsabile di un qualcosa che ti riguarda e ti chiama all’appello ad ogni modo. Anche mille miglia lontano. Anche se sono rudi ex minatori britannici e profughi mediorientali. Bisognerà pure , a questo punto, fare davvero il punto su tutta l’ incredibile arte del suo cinema unico e sorprendente , dispiegatosi ormai lungo 57 anni. Perché Ken ha detto che questo, a 87 anni, è il suo ultimo film.
Siamo nel 2016 nella Contea di Durham , precisamente a Murton un villaggio sulla costa nord orientale dell’Inghilterra , che era stato un centro minerario e ha visto durante i governi Thatcher una strenua lotta dei minatori per difendere il posto di lavoro e migliorarne le condizioni economiche, normative e ambientali. La storia ci dice che ormai questa causa è stata sconfitta, la miniera, primaria fonte di reddito per il villaggio e Contea , è stata chiusa, Murton e Duhram si sono spopolate, e ora molte case vengono vendute a prezzi stracciati via internet da un’immobiliare fantasma. Anonimi venditori per anonimi compratori, che non hanno nemmeno mai visto le case. Chiare operazioni speculative. Il massimo del degrado e abbandono sociale. The Old Oak (La Vecchia Quercia) , che era stato un punto di riferimento della comunità , è l’unico pub della zona , frequentato comunque da pochi avventori soprattutto anziani e rancorosi. T.J. Ballantyne ( Dave Turner) è ancora il gestore di tale locale, ed è stato a sua volta minatore , come la tradizione della sua famiglia. Il locale ha una sala dove la leggenda-mito di questa comunità, è rappresentata da grandi foto che mostrano volti, manifestazioni, cartelli, luoghi minerari, scioperi : un’epopea cui T.J. è profondamente ancorato, e lui in qualche modo si sente il sacerdote di questa fiammella. In tale congiuntura nella zona vengono inviate numerose famiglie di profughi siriani fuggite dal sanguinoso conflitto civile in atto da un quinquennio nella loro terra.
Yara (Ebla Mari) , è una di questi profughi, arrivata lì con la madre e i due fratellini. Del padre, imprigionato in Siria dal regime di Assad, non si hanno notizie. Yara è una giovane che ha imparato la lingua inglese collaborando con le ong operanti nel campo profughi al confine dove erano stati dislocati prima di riparare in Inghilterra.
Yara ha una macchina fotografica regalatole dal padre , e questa fotocamera diviene il mc guffin del film. In essa c’è la memoria delle fasi cruciali del vissuto della ragazza , e con essa lei ha catturato e cattura come una reporter provetta , e tale vuol diventare, immagini significative, anche della sua famiglia e della sanguinosa guerra in atto nel suo paese . Scesa dal bus alla fermata davanti all’Old Oak , con in mano la reflex , questa le viene strappata di mano da un giovane balordo che , con un tentativo pesante di gioco , fa finta di scattare foto e quando la ragazza lo ferma, fa cadere intenzionalmente a terra la camera , guastandola in modo che sembra irreparabile. Yara piange silenziosamente.
Dopo che il giorno dopo ha tentato inutilmente di farsi risarcire dal balordo, T.J si offre infine in cambio di tentare di far riparare la camera , altrimenti le regalerà alcune fotocamere di famiglia da lui ben conservate . Così avviene . La telecamera è ben riparata: “ Sembra come nuova!”. Da qui nasce fiducia e vera amicizia, che rimarrà solo tale, con l’uomo, di mezz’età , divorziato dalla moglie, un figlio che non vede mai, laconico, ma di buon cuore. E soprattutto oste. Di vocazione: hospes. Anche questo farà la differenza nel plot della storia. Laura, la compagna inglese di volontariato ( Claire Rodgerson) che l’affianca nelle varie ronde quotidiane di aiuto ai più indigenti (soprattutto i nuovi venuti siriani) gli propone con Yara di riaprire il locale come mensa per vecchi e nuovi abitanti , e di dargli nuova vita. T.J. dapprima oppone un’ umanissima ragionevole resistenza ( “Ma allora mi vuoi davvero in mezzo a una strada?” : ed enumera i rischi e i costi per ristrutturare il locale, i mille problemi per avere l’agibilità, il fatto che il locale non può essere assicurato adeguatamente in toto. E soprattutto T.J. sente alitare attorno all’Old Oak la malmostosità e l’ opposizione del nocciolo duro della clientela che frequenta al locale : “Noi abitiamo questo luogo da sempre, che cosa abbiamo da spartire con questi beduini?” ; “Perché danno tutti questi aiuti a loro , e a noi invece niente ?”. Questo sentimento di ostilità verso i nuovi venuti stranieri mediorientali, si traduce crudamente anche nel pestaggio di alcuni ragazzi verso il fratello di Yara , che sta tornando da scuola (“Bastardo islamico tornatene a casa tua !”).
Ad un certo momento T.J. vede morire la sua amata cagnolina Marra, azzannata da due molossi lasciati liberi sbadatamente dai padroni. Marra per T.J. era divenuta una presenza estremamente importante nella sua vita. Si è come miracolosamente materializzata un giorno in cui , morto il padre, persa la moglie, perse le battaglie per la miniera, soverchiato dai debiti, egli stava pensando di farla finita ed era entrato in mare per annegarsi.
Ma i latrati insistenti della cagnolina con una medaglietta ( “Marra”) sulla riva del mare l’avevano fermato : un essere vivente gli stava chiedendo disperatamente , irresistibilmente, di prendersi cura di lei, e mostrava a sua volta un’ infinita offerta di cura per lui con la sua presenza palpitante.
Questa storia , che correva il rischio di essere facilmente didascalica, retorica e gonfia, in mano a Ken Loach diventa un emozionante plot in cui a un certo punto lo spettatore dice : in questa storia ci sono anch’io.
T.J. è ora da solo nella sua misera abitazione. E’ distrutto dalla perdita di Marra che ha appena seppellita in riva al mare nel punto in cui si era, 2 anni prima, appalesata come un ‘miracolo’ a salvargli la vita. Alla sua porta, apprese del fatto, bussano delicatamente Yara e la madre. Hanno due capienti contenitori di cibo appena cucinato per lui. La madre di Yara lo invita a mangiare qualcosa, ne ha bisogno insiste, e aggiunge che “non bisogna vergognarsi di amare , e di soffrire per questo”. Allora T.J. , inondato da una così avvolgente e calorosamente delicata offerta di cibo, piena di amore puro e accudente – come è usuale nelle famiglie arabe– ha come una seconda illuminazione dopo quella con Marra : capisce che la chiave della convivialità è tutto : “ se tu mangi insieme , ti unisci forte insieme” , come recita l’antico slogan che campeggia nella sala dell’Old Oak su un poster del solidarismo delle antiche lotte della sua gente. Il giorno dopo rompe gli indugi, la mensa all’Old Oak si farà, e tornerà ad essere un mondo vitale, anzi molto più arricchito dall’apporto di un’altra cultura.
Si mette in moto da quella mattina una corrente di solidarietà fortissima tra i vecchi e i nuovi abitanti per far sorgere questa realtà. Tutti danno qualcosa di loro, i siriani, oltre al resto, regalano un gonfalone intarsiato , espressione della loro antica cultura, e cucito a mano dalle loro donne, in cui a caratteri dorati campeggiano in arabo le parole Forza , Solidarietà, Resistenza. I sindacati trovano uno spremiagrumi industriale in ottimo stato, i pompieri altre attrezzature preziose.
Da questo punto in poi Loach ci rende scene di grande cinema. Per esempio quando con Yara vanno alla Cattedrale di Duhram per ritirare un primo concreto aiuto della Diocesi all’iniziativa di T.J. & Co. Di fronte alla meraviglia del tempio , eretto nell’XI° sec., ritenuto dall’Unesco la migliore espressione dell’architettura romanica, Yara ha un’emozione fortissima, e Loach coglie in quei primi piani della ragazza , di fronte alle navate, gli affreschi e i cori, quanto – al di là dello scontro di civiltà e religioni – la dimensione del sacro , se non imposta e ossificata, possa parlare intensamente anche a persone che professano un’altra religione, sia in una chiesa o moschea , o anche tempio indù o buddista ; e la ragazza infatti riflette amaramente con T.J. che non potrà mai più visitare l’antico tempio greco-romano di Palmira , distrutto dall’Isis.
Da qui in poi , all’Old Oak è tutto un crescendo frenetico di interscambi tra due culture, che ne trascinano molte altre, attraverso il miracolo del cibo , come rigeneratore spirituale per interagire con l’altro, e comunicarsi vari modi di vivere, e così tra i tavoli è una rutilanza multicolore : la cucina del Nordest inglese coi suoi stotties , il pease pudding, il fish ‘n’ chips con piselli cotti con l’aceto e non col sale, si alternano al pane arabo pitta ripieno di sesami ; e le pinte di birra Old England si danno il cambio con l’arak, aromatizzato all’anice. E all’iconica meze, e al mansaf, a base di riso e carne di agnello con salsa di yogurt , e ai dolci di influenza ottomana come baklava, kadhayf e kanafi, halwa . Scorre una corrente di psichismo collettivo di unione , di energia ritrovata, Yara coglie con la sua reflex i volti di signore dalle permanenti old style che dialogano con vicine velate, e bambini , con occhi azzurri, biondi o rossi di pelo, che mangiano e scherzano con i loro coetanei dalla pelle olivastra e i grandi occhi scuri.
Queste scene, la sera dopo cena , sono tradotte in diapositive dove , sullo schermo del locale, al suono di un banjo che accompagna le immagini sapientemente, un pubblico fatto delle stesse persone ivi proiettate, guarda incantato come in un Nuovo Cinema Paradisola meraviglia multietnica che hanno tutti insieme generato con naturalezza : “When you eat together, you stick together”.
Poi, come è nella natura della nostra specie, si manifesta residuale quel recesso ineliminabile del rancore, dell’invidia, dell’intolleranza che non risparmia anche quell’isola di socialità allo statu nascenti. Dapprima , on line scritte e video oltraggiosi e irridenti verso T.J.; poi il l’allagamento del locale e il disastro all’impianto elettrico. I danni sono irreversibili, non sono coperti da assicurazione, e l’evento è di natura dolosa, come poi si scoprirà. E’ la fine della mensa all’ Old Oak . E , tanto per piovere sul bagnato, arriva alla famiglia di Yara la notizia che il padre è deceduto nelle carceri di Assad. T.J. è ora di nuovo davanti a quella casa che è attraversata da questo nuovo dolore. Tutto è perduto, tutto è desolazione. Ma a poco a poco accade un altro ‘miracolo’ . Spontaneamente la notizia della morte di questo sconosciuto oppositore arabo si sparge per il borgo e cominciano ad arrivare alla casa di Yara decine e decine di abitanti di ogni genere che non si erano nemmeno viste alla mensa, gente di tutte le età, bambini, anziani, ragazzi e ragazze , quasi tutti inglesi, diventano una folla, e ognuno porta fiori d’ugni genere, o un dolce, o un pupazzo , quasi tutti cristiani del luogo , che rendono omaggio e solidarietà al lutto d’una famiglia islamica. Tutti stanno calcando adesso lo stesso tempio, la stessa moschea. Un’intera comunità, che sembrava irrimediabilmente disgregata, si riunisce più salda come mai era stata. E ai titoli di coda si vede sfilare per Duhram uno strano multicolore enorme corteo al suono trascinante delle chitarre di Whatever you want : il vescovo con le insegne cristiane, il gonfalone dei siriani con la scritta in arabo, le bandiere rosse e le insegne dei minatori. Tutti assieme per mano. Sembrerebbe solo un sogno di Loach, al modo in cui Marco Tullio Giordana ne I cento passi, immaginava la sfilata dei compagni di Peppino Impastato al suo corteo funebre , al suono di A Wither Shade of Pale.
Ma in fondo la Vecchia Quercia non muore mai nei suoi semi sparsi ovunque : è in T.J., in Yara, in un villaggio inglese di ex minatori che si ritrova unito nel suo popolo, ora multietnico , anche per la morte di un profugo siriano che non ha fatto in tempo a raggiungere la sua famiglia , perché ucciso prima nelle carceri di Assad. In fondo la Vecchia Quercia, The Old Oak , è Ken Loach stesso, che trova sempre il modo di emozionarci e lasciarci qualcosa di potentemente epico, con le sue storie sulle tante working class del mondo, coll’arte del suo cinema , non retorico, asciutto ma sempre avvincente , ricco di peripezie e sequenze di immagini che ci mostrano come è possibile non mollare mai e cercare di fare ognuno la propria parte per la cosa giusta , sempre e comunque, anche se arduo e rischioso. Senza moralismi, né sentimentalismi : solo una grande autentica passione a la Ken Loach.