L’Italia e la fiducia dei mercati: minuti contati

Il mondo ci chiede una prova di credibilità e noi rispondiamo con promesse a vuoto e operazioni dilettantesche. Ma ora il tempo è scaduto anche per noi

Federico Parmeggiani

Martedì è stata l’ennesima giornata nera per Piazza Affari e per le Borse Europee, che hanno visto il rendimento dei Btp toccare cifre record e lo spread tra questi e i Bund superare per l’ennesima volta i 400 punti base. Il momento è evidentemente drammatico, perché mai come in questi giorni il mercato appare quantomai umorale: si aspetta delle risposte che infondano fiducia, dei patti che vincolino i paesi ad un maggior rigore e delle strategie reali che portino uno stimolo per la crescita.

E’ cosa ormai nota che il mercato, specie quando le prospettive politico-economiche sono incerte e la volatilità è alle stelle, proceda secondo queste dinamiche emotive. Su queste tematiche, non solo due tra i maggiori economisti americani hanno recentemente scritto un eccellente libro (George A. Akerlof and Robert J. Shiller, Animal Spirits – How Human Psychology Drives the Economy, and Why It Matters for Global Capitalism, Princeton University Press, 2009) ma è perfino sorta una vera e propria letteratura economica che studia l’andamento dei mercati in condizioni di incertezza e mira a dimostrare come essi assumano dinamiche comportamentali che divergono in gran parte dall’azione razionale ad essi classicamente attribuita.

Pertanto, chiunque oggi è in grado di capire che ciò di cui abbiamo bisogno come Paese e come Europa è un’iniezione di fiducia, non fatta di parole ma fondata su impegni concreti e vincolanti e volta a perseguire un cambiamento profondo e sostanziale. Ogni minuto in più di attesa, ogni tentennamento, ogni proposta mal formulata o meramente cosmetica non fa altro che trasmettere sfiducia al mercato e ci trascina inesorabilmente a fondo rendendo più difficoltosa la risalita, come in una straziante discesa nelle sabbie mobili.

Rattrista e atterrisce realizzare come, in un contesto così grave, forse l’unica categoria umana che non avverte questa angoscia data dal pericolo imminente, sembra proprio costituita dai politici italiani e in particolare dal governo in carica. Non intendo in questa sede fare un’invettiva generale e generica contro l’operato del governo nel suo complesso, poiché si rischierebbe di uscire dal seminato e poiché ognuno credo in questi anni abbia avuto modo di farsi una propria opinione fondata in proposito,  ciò che intendo fare è invece giudicare più specificamente l’incoerenza mostrata finora di fronte a questa emergenza che ha davvero pochi precedenti.

In primo luogo va sottolineato come il mero fatto di farsi richiamare ai propri doveri dall’Unione Europea e da alcuni dei suoi Stati Membri costituisca di per sé non solo un’onta per il nostro Paese, ma anche un pericoloso sintomo dell’inconcludenza della nostra politica, un sintomo passibile di essere interpretato dai mercati come un segnale della perdurante debolezza dell’economia italiana, cosa che puntualmente è avvenuta a giudicare dalle vendite consistenti dei nostri titoli di debito nelle ultime settimane.

In secondo luogo, le misure messe nero su bianco all’ultimo momento hanno assunto la forma di una mera lettera d’intenti, che dilaziona o addirittura rinvia di anni le più importanti azioni dirette a rafforzare gli indicatori economici italiani. Ancora una volta, quante possibilità ha di apparire credibile ed efficace agli occhi del mercato una manovra che viene adottata fuori tempo massimo e che appare congegnata per prendersi un po’ di tempo e di aria, rimandando l’esecuzione di ogni politica incisiva? A rigor di logica io direi molto poca e infatti puntualmente i mercati mostrano di non crederci. Quello che forse chi siede a Palazzo Chigi non ha ancora ben capito è che questa volta il pericolo da fronteggiare è di un’entità tale da rendere non solo futile ma addirittura controproducente ogni risposta dilettantesca, ispirata da un continuo compromesso e inquinata dall’italica tendenza al “gattopardismo”, ossia al fingere di cambiare tutto per non cambiare nulla.

Oggi i mercati e il mondo ci chiedono un segnale forte che solo un cambiamento reale e profondo può dare. Oggi ci viene chiesto di prendere le distanze da ciò che è stato fatto negli ultimi dieci anni di politica italiana, in quanto – escludendo qualche vistosa eccezione – a conti fatti si è rivelato di qualità a dir poco scadente. Ci viene chiesto di voltare pagina, cambiare le facce di chi siede nei più altri scranni della politica e dell’economia italiana,

Per potere raggiungere questo obiettivo epocale appare essenziale realizzare finalmente operazioni che ricadono positivamente sulla nostra economia quali la liberalizzazione di numerosi servizi e la privatizzazione di alcuni famosi pachidermi statali, tuttora gestiti in modo palesemente inefficiente e clientelare. Portare a termine in tempi brevi queste operazioni significherebbe ridurre drasticamente alcune delle anomalie che ci rendono un Paese terribilmente poco competitivo e poco appetibile per gli investitori. E’ ovviamente sottinteso che simili operazioni vadano condotte seguendo le migliori pratiche sviluppate a livello internazionale, al fine di evitare con tutta la forza possibile il ripetersi di dinamiche già tristemente sperimentate in passato che hanno portato a liberalizzazioni addomesticate e a privatizzazioni solo apparenti che in realtà mascheravano vere e proprie lottizzazioni a beneficio dei soliti baroni della nostra economia.

In seguito occorrerà quindi adeguare il nostro sistema giudiziario e il nostro ordinamento processuale civile al mutato contesto economico che stiamo vivendo, ridisegnando le norme che lo compongono al fine di sveltire il contenzioso civile ed eliminare quelle lungaggini incomprensibili e dannose per gli attori economici, le quali disincentivano la maggior parte degli investitori o, peggio, attirano nel nostro Paese solo chi ha propositi di investimento scadenti o al limite della legalità. Queste riforme costituiscono certamente una medicina non facile da digerire, che richiederebbe anni per essere metabolizzata mentre noi a disposizione abbiamo solo mesi o settimane. Tuttavia, essa appare vitale e non ci sono vie alternative praticabili all’orizzonte.

Ora ciò che resta da fare a noi italiani è di passare in rassegna i volti (sarebbe bello dire i curricula ma in taluni casi sarebbe arduo…) di chi ha oggi in mano il potere decisionale nei  settori più rilevanti della politica, dell’economia, della finanza italiana e chiederci, anche se può sembrare scontato, se queste persone dispongano realmente di quella capacità di reazione e di quelle qualità che il momento storico ci richiede per affrontare un simile cambiamento epocale.

Rispondiamo a questa domanda con estrema e cruda onestà e agiamo di conseguenza facendo pressione su chi ci governa. Spingiamoli ad intervenire sui problemi della nostra economia con tutta la serietà possibile e partecipiamo in modo vigile e attivo a questo processo. Almeno questa volta nessuno potrà tacciarci di essere ipocriti e di raccontarci delle frottole. E chissà che questa stessa presa di coscienza, elevata a livello collettivo, non infonda di per sé anche un po’ di fiducia nei mercati.

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