L’Italia e la gestione del debito: più regali e regalini che infrastrutture

Patto di stabilità, mettiamoci per un momento nei panni di un cittadino tedesco

La discussione che l’Italia sta facendo in sede di Bruxelles sul “nuovo patto di stabilità” è aperta ai più diversi e alternativi esiti. Da una parte i “tedeschi” che vogliono “ingabbiare” i paesi indebitati nel rispetto di vincoli per un rientro verso la normalità e dall’altra gli “italiani” che vogliono trovare clausole “ad hoc” per continuare a gestire il proprio Bilancio fuori da vincoli ristretti. Utilizzando anche l’assist di Mario Monti che ha aggiunto il proprio autorevole nome agli economisti che vogliono aggiungere al concetto di stabilità anche quello di crescita. Ovviamente ricordando che il miglior modo di rientrare dai debiti è, oltre ovviamente una gestione oculata del Bilancio, la realizzazione di un medio lungo periodo di crescita. Senza il quale c’è il ritorno a quella “austerità” che ha creato non pochi danni all’economia e alla società europea oltre che alla credibilità dell’Istituzione Europa.

E’ evidente che chi crede nel rilancio economico, sociale e istituzionale dell’Europa non può che pensare ad un “nuovo Patto di stabilità e crescita” e non può non pensare sempre di più ad un ruolo attivo dell’Europa attraverso un proprio importante Bilancio e proprie risorse dedicate alla crescita e alla coesione fra stati diversi. Ma questa visione non deve coprire con un manto di “serietà” le posizioni un po’ cialtronesche dell’Italia che nell’ultimo decennio hanno gestito l’indebitamento del paese più come un mezzo per sostenere il consenso della popolazione, attraverso “regali e regalini” a fasce e gruppi di popolazione in qualche modo individuati, che come un mezzo per rafforzare l’infrastrutturazione del paese. Che è fatta di strutture materiali, di dotazione immateriale e, cosa importante per l’Italia, di regole, norme e procedure proattive per lo sviluppo di medio lungo periodo.

C’è un elemento importante in questa discussione sul debito buono e il debito cattivo che deve essere rilevata e approfondita. Senza fare troppe analisi e valutazioni specifiche si può dire che è debito buono quando è fatto a copertura di investimenti ed è invece debito cattivo quando è fatto a copertura di spese correnti o anche di spese in conto capitale come contributi al mondo privato, imprese e cittadini, a favore di funzioni che potevano essere coperte in tutto o in parte da risorse private in quanto non particolarmente “meritorie” in termini di sviluppo generale.

Ebbene l’analisi della spesa pubblica in conto capitale dell’ultimo decennio ci parla di questo elemento. Proviamo a pensare di essere un “tedesco” che in questa discussione sul “nuovo Patto” guarda ai conti dell’Italia e cerca di farsi un’idea sul grado di fiducia che deve esprimere il suo Governo in questa trattativa.

Veniamo ai dati. Come diceva Jordan Ellenberg nel suo libro: “I numeri non sbagliano mai”. Partiamo dall’anno-base il 2010. L’Italia spendeva il 3,0% del Pil in investimenti pubblici e l’1,1% in contributi in conto capitale. Diciamo che con gli investimenti si infrastruttura il paese e con i contributi, per lo più alle imprese, si sostiene lo sviluppo economico di medio lungo periodo.

Se il 3,0% può essere considerato il “giusto peso” degli investimenti sul Pil si può rilevare che tale quota si raggiunge di nuovo solo nel 2023 ma che nel mezzo c’è un abbassamento strutturale, con un minimo pari al 2,1% nel 2018, che porta ad una “perdita generale” di investimenti nell’intero periodo di circa 143 miliardi. Cioè se si fosse tenuta sempre la quota sul 3,0% del Pil in Italia ci sarebbero stati 143 miliardi in più di infrastrutture, manutenzioni e tecnologie a difesa del patrimonio pubblico. E così non è stato.

E veniamo ai contributi. Il loro peso “normale” sta intorno all’1,2% del pil fino al 2019 per poi arrivare negli ultimi anni al 5,1% del 2021 e al 4,9% del 2022. Cioè i contributi hanno quasi raddoppiato gli investimenti pubblici. Proprio in un momento in cui il climate change da una parte e i continui episodi di crisi di stabilità e di efficienza delle infrastrutture del Paese mettevano in evidenza il bisogno di mettere in campo un grande Piano di Adattamento e di Manutenzione del paese.

Rispetto all’andamento medio dei contributi, il maggiore esborso degli ultimi quattro anni ha raggiunto la folla cifra di 235 miliardi. Una cifra al di fuori di ogni ragionevole gestione di Bilancio. Ancora di più se si tiene a mente che per gran parte è stata finanziata dall’aumento del debito del paese. E’ facile comprendere a questo punto l’atteggiamento di sfiducia del tedesco medio e del suo Governo nella trattativa in corso sul nuovo Patto di stabilità.

Ma al di là dell’aspetto relativo alle relazioni internazionali dentro l’Europa e alla credibilità del paese nella gestione attenta del proprio Bilancio e quindi del proprio debito lascio solo immaginare al lettore cosa avrebbe significato aver messo negli investimenti del paese nell’ultimo decennio “un di più” di 200/300 miliardi a sostegno delle infrastrutture. L’Italia sarebbe oggi, e non domani, un paese più resiliente e avrebbe davvero iniziato la grande opera di ammodernamento e adattamento alle sfide già in atto ma che diventeranno sempre più incisive nel prossimo futuro.

Ed invece non è andata così. Caro cittadino tedesco ti chiediamo ancora una volta scusa e ti promettiamo di non farlo più. Saremo credibili?

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