Milano – Protagonista della vicenda è, ahimè, un giuslavorista: una studentessa lo ha denunciato per alcuni sms in cui lui le chiede insistentemente un video hard, in cambio di un voto più alto all’esame di laurea: donde l’arresto per ordine del P.M. di Torino. Che cosa fa l’Ateneo? Lo sospende dall’insegnamento per sei mesi. A nord delle Alpi od oltre Atlantico, in questi casi, l’Ateneo chiede al professore di presentare le proprie giustificazioni entro pochi giorni; se l’interessato non risponde o risponde in modo evasivo di fronte all’evidenza documentale, si procede al licenziamento in tronco. Da noi, invece, questo accade soltanto nel settore privato. Nel settore pubblico prevale sempre il principio dell’inamovibilità, che nel caso del professore di scuola o di università diventa una illicenziabilità assoluta. Si obietta: nel nostro Paese vige la presunzione di innocenza fino alla condanna definitiva.
Già, ma questo principio vale soltanto ai fini dell’esecuzione della sanzione penale. Se una scuola o università si trova di fronte all’evidenza di un comportamento inqualificabile di gravissima corruzione e incontinenza sessuale di un docente, questo costituisce giusta causa di cessazione immediata del rapporto anche prima della condanna penale definitiva (articolo 55-ter del T.U.). Si obietta, ancora: l’evidenza si potrà avere solo al termine dell’inchiesta penale. Ma non è così: il più delle volte – e anche in questo caso – la si può avere anche molto prima, con una indagine interna neanche tanto difficile. Il sospendere l’imputato dall’insegnamento serve solo a preparare la sua riammissione fra sei mesi o più, quando il clamore della vicenda si sarà placato e magari il procedimento sarà stato estinto per patteggiamento, o per prescrizione, o per qualche vizio formale. Con tanti saluti al principio costituzionale per cui la funzione pubblica deve essere svolta “con onore e disciplina” e alla credibilità dell’Ateneo come luogo di educazione.