Abolire le Province? Non è questo il punto. Dimezzare il numero dei consigli comunali e delle comissioni? Il risparmio sarebbe minimo. Ridurre i gettoni di chi siede negli organi di rappresentanza degli enti locali e delle innumerevoli partecipate? Demagogia. Alleggerire la quantità degli assessori e sfalciare qualche dirigente di troppo? Populismo. Bonificare l’indecente rapporto che alimenta il sottobosco clientelar-elettorale tra amministrazione e consulenze sospette? Qualunquismo. La maggioranza di sala Tricolore ha recentemente bocciato con queste ed altre motivazioni ogni velleità risparmiatoria (naturalmente strumentale) avanzata dai gruppi a metà tra l’opposizione e la coabitazione. Scatenando una dicussione, anche sui social-network, inerente i massimi sistemi e i “beni comuni”, i costi della democrazia e i rischi del pressapochismo di chi spara nel mucchio. Tutte pagliuzze di fronte alle travi di chi non vuole vedere, apposta, i veri mali del sistema. Anche la classe più giovane di chi ci “governa”, i cosiddetti “under 40” (così appellati da anni) si è lanciata in difesa dei piccoli e giustissimi compensi, sale e cuore dell’attività amministrativa. Che mai, dicono mai, dovrebbe “degenerare” nel volontariato.
D’altronde il segretario del Pd locale, Roberto Ferrari, passata la tempesta ha chiosato lo sterile dibattito locale facendo rotolare un bel macigno sulla fossa dei risparmi mancati: “gli sprechi della politica hanno un nome e un cognome, Silvio Berlusconi”. Amen. Individuata la trave maxima, arrabattarsi per delle pagliuzze è inutile esercizio. Tutta colpa dell’Urbe insomma; da noi non ci sarebbe proprio nulla su cui fare un po’ d’economia. Cartellino giallo a posteriori poi (dopo il terrazzino è già il secondo) anche per il direttore generale del comune capoluogo Mauro Bonaretti che in tempi molto meno sospetti elencava già per il Sole 24 Ore una serie di inutili orpelli appesantenti la gioiosa macchina municipale. E che, nelle settimane calde della polemica sul suo appartamento, definì il consiglio comunale “tribunale del popolo autoconvocato” mettendo in indiretta discussione le proprietà dello stesso di rappresentare effettivamente istanze e bisogni della gente.
Orbene, tutti sappiamo che il sistema cellulare generale della classe politica italiana, e di riverbero degli altri poteri forti, è seriamente compromesso dall’orologio biologico la di cui sveglia suona già da un pezzo. Ma dai virgulti “under qualcosa”, teoricamente capaci di riflessioni e reazioni del tutto diverse da quelle dei loro padri-padroni della gerontocrazia, ci si aspetterebbe di più. E ribadiamo qui una speranza dal doppio significato: a parte pochissime eccezioni, la stragrande maggioranza di chi, avendo comunque una vita professionale altrove, svolge prestazione occasionale nel variegato (e variopinto) mondo della cosa pubblica reggiana, dovrebbe farlo GRATIS. Moralmente recupererebbe un briciolo di credibilità agli occhi disincantati e disgustati dei cittadini. Concretamente, un po’ di soldi da reinvestire nei servizi, quelli sì declassati da Roma. Se la reazione resterà quella stizzita e scandalizzata di chi non cede assolutamente il proprio anche piccolo privilegio (termine-categoria che muta in considerazione dei tempi) nemmeno davanti ad urgenze epocali, inserire tutti quanti nel novero della “casta” non sarà operazione di basso giustizialismo. Chi non vede i giganteschi segni di esigenze urgenti di radicale rinnovamento etico, non merita alcunché. Tantomeno la nostra stima