Insomma, se ci è permessa una battuta: non si può fare… Monviso a cattiva sorte! Già, quella che è toccata a un Paese che, tra le tante crisi aspre e strutturali che deve fronteggiare, ha avuto in cattiva sorte anche la Lega che, secondo una vecchia concezione estetizzante della politica italiana, inventa simbologie – ma quei vecchi arnesi, estetizzatori veri, di Marinetti e di D’Annunzio, riconosciamolo, erano non solo più bravi e, sicuramente, più colti – e riscrive addirittura la geografia inventando non solo la Padania, ma anche il popolo padano che, secondo Umberto Bossi é pronto addirittura a scendere in armi per conquistare indipendenza e libertà.
Ci sarebbe da ridere, se la questione non fosse grave poiché un ministro della Repubblica, uno che ha giurato sulla Costituzione di essere fedele a quanto essa prevede, non può permettersi simili frasi, nemmeno per scherzo. Non crediamo di esagerare se diciamo che il tradimento della Costituzione ci sembra in piena regola e ci auguriamo che, questa volta, il Capo dello Stato invece della moral suasion, utile sì, senza tuttavia dimenticare che il nostro Paese non solo ha poca dimestichezza con la moralità, ma anche con il rendersi conto di come dovrebbero essere le cose, adotti qualche altro strumento perché il fatto, lo ribadiamo, non può essere passato sotto silenzio.
La Lega ha il diritto di condurre la politica che meglio crede compresa quella di perdere voti per permettere a Silvio Berlusconi di vincere, ma non di venire meno all’obbligo costituzionale dell’Italia “una e indivisibile”. Una cosa è perseguire il federalismo che è un modo diverso di concepire e organizzare l’unità di un Paese; un’altra la divisione dall’Italia su cosa poi? Sul fatto che essendo il Nord più ricco delle altre aree del Paese questo fattore giustifica la rottura dell’Italia. Ma via? E allora la Catalogna, che pure è la regione più ricca della Spagna, cosa dovrebbe fare? Anche i catalani talora mugugnano, ma in Spagna uno Stato federale sono riusciti a costruirlo, in Italia si è adombrato un impossibile e improbabile “federalismo fiscale” che è irrealizzabile, soprattutto considerato come siamo messi coi conti pubblici. E poi non vi può essere nessuna forma statuale vera di federalismo se prima non viene attuato quello politico che può avere varie forme da cui poi discendono le modalità della sua attuazione in vari campi; compreso quello fiscale.
La verità, o almeno una parte di essa, risiede nel fatto che verso la Lega si è avuta troppa indulgenza, sia culturale che morale nonché politica. Per D’Alema poi, era addirittura una costola della sinistra – forse in omaggio al passato comunista di Bossi – laddove sarebbe bastato conoscere un po’, solo un po’, la storia di questo nostro Paese, per vedere che la Lega si insedia in territori un tempo saldamente democristiani e nei quali certo vi erano pulsioni autonomistiche, ma non secessionistiche o razziste come quelle che esprime, con alta tonalità, quel nazista in camicia verde di Mario Borghezio. Tanto nauseanti che è stato, ma ci sembra un gioco per finta, sospeso dal movimento, ma è già rientrato al fronte tanto da non mancare nella platea che ha ascoltato le visioni minacciose, pietose e stanche di Umberto Bossi.
Alle dichiarazioni di Bossi non c’è giustificazione che tenga. Non vi sono né motivi tattici, né strategici, né culturali; gli inviti alla sedizione armata e alla secessione sono solo reati che vanno perseguiti e questa volta non si dirà che si è speso in intercettazioni; tutti gli italiani, infatti, hanno sentito e lui, per motivare il proprio popolo – così viene ipocritamente detto – ha dovuto, per forza, farsi sentire. Se quei toni fossero stati usati da uno di estrema sinistra si sarebbe parlato di guevarismo, guerriglia in atto e compagnia cantando; per un ministro registriamo anche ben poca indignazione o, se c’è, a noi pare di bassa intensità.
Dopo Venezia il giornale della Lega ha subito mobilitato i suoi improvvisati politologi per spiegare, pensiamo al “popolo padano”, che con il discorso di Bossi il Nord torna al centro della politica; per spiegare, con argomenti di un’insalata mista scondita e senza sale, che “un popolo non può vivere schiavo del centralismo.”
Ora abbiamo finalmente capito cos’è la Padania; una terra aliena dal centralismo poichè questo verrà sostituito dal dispotismo; un’entità territoriale che ha già un suo capo designato in quanto Repubblica ereditaria, come l’Egitto di Mubarak ,il cosiddetto “trota”. E poiché, come dice Garcia Lorca in una sua celebre poesia, “la luce dell’intendimento mi fa essere molto discreto”, qui ci fermiamo. Certo che oramai non si tratta più solo di seconda o terza Repubblica, di porcellum, mattarellum e via dicendo; la questione è veramente ben più insidiosa e profonda quella che cova sotto una politica opaca, talmente opaca che si fa fatica anche a definirla tale. La preoccupazione per la crisi trascende oramai tutto; la Repubblica comincia a scricchiolare in modo deciso.
Paolo Bagnoli, è professore ordinario di Storia delle Dottrine Politiche presso l’Università di Siena