L’insostenibile pesantezza di leggere

Da qualche parte, probabilmente, ci siamo persi quel filo diretto che unisce il tentativo di chiusa della conferenza di Italo Calvino sulla leggerezza (nelle sue Lezioni Americane) col risultato del processo di affinamento e selezione dello stile che ha portato a quanto leggiamo oggi. E adesso, non riusciamo più a venirne a capo. Il dubbio, in sintesi, è questo: esattamente, quale è stato il percorso che ha portato da “ (…) la letteratura come funzione esistenziale, la ricerca della leggerezza come reazione al peso di vivere (…) ” alla straordinaria gravità, nel senso propriamente della fisica, di quanto leggiamo oggi? Per quanto riguarda la letteratura propriamente detta, abbiamo assistito alla depauperazione progressiva di una narrativa anche favolistica, lieve, evocativa, per veder levitare i numeri a favore di thriller, noir, storie di vita vissuta (sempre a fatica, oppure a fatica ma coronata da incredibili successi); via i Calvini, i Buzzati, i Pederiali, dentro epigoni di scrittori pulp noir realizzati in copia carbone; via la sintesi, la chiarezza, la secchezza dei Moravia, dei Montanelli, dentro la prolissità, l’altissima glicemia dei Baricchi, dei Voli e dei De Carli.

Certo, che importa la narrazione quando in realtà l’esigenza è quella di allungare il brodo fin verso le 200, 300, 450 pagine? Eppure; a quanto pare, il lettore odierno poco si interessa alla storia in se stessa, purché vestita di un adeguato tulle tutto va bene. Discorso diverso per il mondo dell’informazione, per il quale non si può parlare a buon diritto né di letteratura, né di fiction – anche se i due mondi già da molto tempo collidono; e però, anche qui, senza voler fare a tutti i costi il lamento ciceroniano, come siamo passati dai Bocca, Goldoni, Gervaso, senza citare i già sopracitati, ai tanti Gramellini e Serra? E’ normale che un Brera per scherzo parli della coda dei vacanzieri come di un esodo, e da lì “esodo” diventa il termine di riferimento? Capiamo i tempi tecnici, la crisi del talento e la necessità di dare al lettore sempre e solo cose che potrà digerire senza sforzo, certo. Tuttavia. Forse c’è di meglio che non inventarsi nomi per i fenomeni atmosferici e per le leggi elettorali. Forse.

E i non professionisti lasciati a se stessi, anch’essi vanno ingrossando questo fiume di tanto parlare senza dire niente, e se qualcosa dicono, per carità che sia grave (piagnistei e catastrofi subito dimenticati), o greve (Littizzetto docet: “cacca” fa sempre ridere), che sia nei blog, sui social network o sulla pubblica piazza; approcciare alla Home Page di Facebook, è da farsi solo in favore di stomaco, e solo con pazienza. In sostanza; la pesantezza, come resa assoluta al peso di vivere, a quanto pare paga.

Carlo Vanni

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