Firenze – Il recente libro di Vannino Chiti Il destino di un’idea e il futuro della sinistra (ed. Guerini e Associati) si presenta con una copertina già, in sé, significativa. Una copertina che va forse letta a partire dal basso, cioè dall’esplicativo sottotitolo (o secondo titolo): Pci e cattolici: una radice della diversità. Stanno qui la chiave di comprensione e il vero oggetto di questo lavoro e della riflessione che esso ci propone. Un libro parla sempre anche del suo autore, che, in questo caso, ha rivestito con competenza importanti ruoli di dirigente politico (presidente della Regione Toscana, ministro, vicepresidente del Senato) senza mai trascurare lo studio, la preparazione, la cultura e la passione per la scrittura.
Libri come quello di Chiti che ricostruiscono pagine e vicende della nostra storia assumono un valore particolare in un tempo come il nostro, in cui la memoria è labile e in cui spesso sembra dominare l’ignoranza, o la scarsa conoscenza, perfino del passato prossimo. L’autore parte da lontano. Da un’antica dicotomia. Con la Chiesa ancorata a posizioni conservatrici e il socialismo che riteneva la fede religiosa incompatibile con l’adesione al movimento operaio. O si era credenti o si era socialisti, insomma. Questa era la posizione sia dei massimalisti sia dei riformisti (che si rifacevano alla tradizione risorgimentale e alle battaglie contro il potere temporale e le ingerenze ecclesiali nella sfera pubblica).
Ma né gli esponenti del mondo ecclesiale né i socialisti di allora tenevano presente la vera realtà del popolo, sfumata articolata e complessa, che faceva convivere istanze anticlericali con la permanenza di credenze religiose (e talora anche superstiziose), atteggiamenti devozionali e attaccamento a tradizioni e cerimonie apprese ed ereditate dai padri. Le opposte rigidità (delle posizioni cattoliche e di quelle socialiste) ebbero con il tempo. anche evidenti e pesanti conseguenze politiche. Il fascismo passerà e si affermerà, sopprimendo le libertà fondamentali, anche per la mancata convergenza di popolari (cattolici) e socialisti.
Una storia su cui molto ci sarebbe stato da riflettere. Come avrebbe poi fatto Antonio Gramsci. Che si confronta a fondo con la questione cattolica nel nostro Paese. Gramsci, come è ormai noto, vive momenti di grande difficoltà in quel carcere cui il fascismo l’aveva condannato per impedire «per venti anni a quel cervello di funzionare». Ma il cervello del grande dirigente e pensatore sardo funziona benissimo, nonostante la condizione particolarissima in cui deve operare, non solo per le sofferenze fisiche e la ristrettezza legate alla prigionia, ma anche per il sostanziale isolamento umano e politico in cui Gramsci si viene a trovare per le divergenze con Togliatti sulla politica dell’Internazionale comunista e sulle valutazioni delle posizioni del gruppo dirigente staliniano di Mosca.
Il pensiero che egli sviluppa e a cui dà forma nei suoi scritti si confronta a fondo con la complessità della realtà cattolica e del fenomeno religioso (come Vannino Chiti ben ricostruisce in alcuni passaggi chiave del suo libro). Gramsci, pur nella sua ferma posizione di non credente, capisce benissimo, superando il tradizionale anticlericalismo del socialismo, che il mondo cattolico e la sua storia rimandano ad una realtà variegata ed articolata fatta di istituzioni, associazionismo religioso, strutture di potere e popolo. Impossibile prescinderne in un paese come l’Italia in cui, tra l’altro, così importante è la «questione vaticana».
Capisce benissimo soprattutto che il cristianesimo e il cattolicesimo, che certo hanno dato vita ad una cultura della dominazione, sono però originati da un messaggio di riscatto, di fraternità e attenzione agli ultimi che ha continuato ad attraversarne ed a permearne la storia. Si potrebbe anche dire che qualcosa del genere doveva aver intuito anche Marx. Il quale parlando dell’essenza stessa della religione (come talora ricordava anche Ernesto Balducci) sosteneva che essa è, certo, l’«oppio del popolo», ma è anche il «gemito della creatura oppressa».
Chiti ricostruisce, poi, e analizza, la vicenda storica del tutto peculiare che si apre con la nascita e con lo sviluppo del «partito nuovo» di Palmiro Togliatti. Condivisibile è la tesi secondo cui nell’inedito atteggiamento verso i cattolici risieda il vero elemento di diversità e di specificità del Pci rispetto agli altri partiti comunisti. Certo, il comunismo italiano e il togliattismo non erano esenti da ambiguità e da contraddizioni, per il ribadito legame con la (ancora staliniana) Unione Sovietica. Ma la «via italiana al socialismo» ha una sua indubbia originalità. Il riferimento al marxismo leninismo, che pure resta (fino al XV Congresso del partito, nel 1979), non è più un dogma.
E con sempre maggiore chiarezza verrà affermato che al partito si aderisce non a partire da principi ideologici o filosofici, ma sulla base della condivisione del programma politico (che, dunque, può essere fatto proprio da non credenti e da credenti). E’ a partire da tali acquisizioni che si sviluppa un importante percorso di apertura verso il mondo cattolico di cui vengono ricordate tappe di grande significato. Come il X Congresso del Pci (l’ultimo a cui partecipa Togliatti, la cui scomparsa è del 1964). E in tale ambito che si verrà affermando la tesi secondo cui «l’aspirazione a una società socialista» può trovare uno stimolo e nascere anche da «una sofferta coscienza religiosa», sensibile ai problemi, e al bisogno di pace e di giustizia del mondo contemporaneo. Sono temi a cui Togliatti darà più compiuta espressione nella celebre conferenza di Bergamo del 1963 in cui parlerà del «destino dell’uomo» in un mondo dominato dagli sprechi dei ricchi e dalla povertà dei più e in cui grandi sono le minacce per la pace.
E’ proprio dalla premura per la pace e per la lotta alla povertà che, pur evitando confusioni di identità e di principi, possono nascere la condivisione di finalità e obiettivi e l’impegno comune di credenti e non credenti. Un discorso che vuole porsi in sintonia evidentemente con i messaggi di apertura, di dialogo e di speranza che vengono, con accenti di forte novità, dal vertice stesso della Chiesa cattolica, dal «papa buono» Giovanni XXIII e dalla sua enciclica Pacem in terris.
Fa passi avanti il tema del dialogo fra cattolici e comunisti, anzi fra cattolici e sinistra. C’è un libro-simbolo che testimonia la fecondità di idee di quel periodo: Il dialogo alla prova (a cura di Mario Gozzini), in cui sono pubblicati interventi di intellettuali cattolici e marxisti. Sul pluralismo delle scelte dei credenti (che fino ad allora si presumeva dovessero mantenere una loro unità politica attorno alla DC) ci saranno intellettuali cattolici (come lo stesso Gozzini, Giampaolo Meucci, Raniero la Valle) che si impegneranno a fondo. C’è una stagione che cambia: non pochi cattolici (al di là di quelli che già votavano a sinistra, nonostante le indicazioni delle gerarchie ecclesiastiche) troveranno una loro aperta collocazione nel Pci o in altri partiti e movimenti della sinistra.
E’ una stagione di cui il libro di Vannino Chiti dà conto in riferimento anche agli elementi di novità che nell’indirizzo del suo partito e nella politica italiana avrebbe, poi, introdotto la leadership di Enrico Berlinguer. Particolare rilievo viene dato giustamente al carteggio fra il vescovo di Ivrea Luigi Bettazzi (adesso, un lucidissimo novantottenne che ha rilasciato a chi scrive un’intervista pubblicata sull’ultimo volume della rivista «Testimonianze» dedicato a Cattolici, Sinistra, Pci: memoria e lezione di «un dialogo alla prova») e lo stesso Berlinguer. I temi che in tale scambio epistolare vengono affrontati sono di grande valore. Al centro, c’è la questione della laicità della politica. Su questo Berlinguer esprime posizioni inequivoche (e dirompenti, in un certo senso, per un partito che ha una matrice ideologica come quella del PCI).
Il partito, viene affermato con nettezza, non deve essere «né ateista, né teista, né anti-teista». D’altra parte, di Berlinguer vengono richiamate anche, in senso generale, posizioni di grande e innovativa portata. Come quella (talora derisa e incompresa) relativa alla scelta dell’austerità in contrasto con la logica della società consumistica e quella (veramente «rivoluzionaria» per il segretario di un partito di matrice leninista) del valore storicamente universale della democrazia.
Frammenti e ricordi importanti di una storia. La storia di un mondo, si potrebbe però obiettare, che non c’è più. Il crollo del Muro di Berlino rappresenta infatti anche la fine di quel mondo. Il PCI scioglie il nodo delle sue contraddizioni sciogliendo anche sé stesso e imboccando la strada di un «nuovo inizio». Ma, come il libro di cui stiamo parlando ci ricorda, ci sono vicende che lasciano un’importante eredità. Così è anche in questo caso. Si tratta di riscoprire, ricordare e far rivivere il valore e il senso di una certa radice della diversità. Il dialogo fra cattolici e sinistra, così come viene ricostruito, è consegnato agli archivi della memoria. Ma ha ancora qualcosa da insegnarci di fronte alle sfide che credenti e non credenti devono affrontare nell’inedito contesto del «mondo globale».
E’ un tema che vale naturalmente non solo per la nostra società e per il nostro Paese. C’è un giusto richiamo di Vannino Chiti in questo senso che rileva i ritardi della sinistra europea rispetto alla messa a fuoco della questione. C’ è, infatti, una sostanziale sottovalutazione del ruolo delle religioni nel mondo contemporaneo a causa di una concezione che relega la dimensione spirituale nell’ambito del privato. Si tratta del prodotto storico (anche comprensibile) della secolarizzazione, che è l’approdo di vicende, fatte di aspre contrapposizioni, che hanno portato alla fine del potere temporale e alla perdurante diffidenza per ogni possibile ingerenza ecclesiale nell’ambito politico e civile.
Una mentalità che però induce spesso ad eludere pregiudizialmente, in maniera poco lungimirante, un serio dibattito sul ruolo, anche pubblico, delle religioni nello spazio comune che tutti, credenti e non credenti, ci comprende. Quello della laicità. Un dibattito che invece sarebbe importante sviluppare in una società come quella attuale che si configura come un vero «pluriverso» di identità culturali e religiose. Come è evidente anche nel nostro Paese in cui, accanto alla comunità dei cattolici e alle tradizionali minoranze dei protestanti e degli ebrei, vivono porzioni, più o meno consistenti, di popolazione di fede musulmana, induista, sikh, buddista. E’ una caratteristica di fondo del nostro tempo della complessità con cui tutti, ma soprattutto coloro che si rifanno alle forze democratiche e progressiste, sono chiamati a confrontarsi con mentalità aperta. E’ quanto ci ricorda e ci invita convintamente a fare questo libro che rimanda alle vicende importanti di una storia anche e soprattutto per ricavarne indicazioni per il futuro che credenti e non credenti sono, insieme, chiamati a costruire.
Severino Saccardi