Le liberalizzazioni creano nuovo lavoro e nuove attività

Coinvolge tanta parte della popolazione, tanti operatori piccoli e grandi e suscita suggestioni profonde su cosa sta diventando la nostra società e la nostra economia. Il commercio e le sue regole come metafora del nostro vivere futuro. Ecco perché non me la sento di fare il paladino di una tesi contro l’altra. Ci sono pro e contro che vanno valutati, magari sperimentati e quindi anche regolati secondo il principio che anche il “libero mercato” deve, per funzionare bene e non “fallire”, essere sottoposto a regole.
Ma prima di entrare nel merito vediamo alcune reazioni, così a caldo, che mi vengono rispetto al metodo e al valore politico della proposta.  Sul valore politico non posso che condividere, da sostenitore della prima e dell’ultima ora del Governo Monti, il senso generale dell’operazione.
La nostra società è ferma. E’ impiccata a regole, burocrazia e modalità di funzionamento arretrate, farraginose e, molto spesso, prive di alcuna utilità. Lo si dice tutti. Ma come si tocca un “mattoncino” di questa impalcatura si sollevano proteste e distinguo che hanno fatto sì che nonostante le “pagliacciate” di Calderoli tutto è rimasto fermo negli ultimi decenni. E quindi, la società, ha reagito nell’unico modo che era è possibile. A regole ferree e burocratiche si è risposto con atteggiamenti elusivi, evasivi, illegali e alcune volte anche criminali (si veda il settore ambientale e dei rifiuti!). Non giustifico questi comportamenti ma è andata così. Liberalizzare significa dare più spazio a inventiva, creatività e imprenditorialità. Significa immettere nuove energie in settori e aree economiche spesso statiche e chiuse. E quindi è un bene in sé e anche come “seme di cambiamento” di una economia ingessata. Magari affiancando a questa la “repressione” vera di comportamenti irregolari.

Dal punto di vista del metodo invece qualche rilievo mi sento di farlo. Ed in particolare uno. E cioè che avrei preferito parlare di liberalizzazioni multiple (taxi, farmacie, poste, etc) e quindi, insieme a queste, anche del commercio. E non invece arrivare al commercio dopo due o tre stop su settori altrettanto rilevanti. Ma sono fiducioso. Monti ha detto che il tema generale sta nell’Agenda del suo Governo. E io gli credo. E voglio sperare che questi provvedimenti sul commercio siano solo l’inizio. Parafrasando Cohen Bendit  dei nostri ricordi giovanili “ce n’est qu’un debout, continuons le combat!”.
Aspetto con ansia, dopo aver scritto due anni or sono all’Autorità della Concorrenza, che qualcuno mi dica come mai le operazioni “on line” di Poste e Banche costano al cittadino come quelle fatte allo sportello. Non sarà che c’è un cartello che frena l’abbattimento dei prezzi?  Oppure qualcuno è in grado di spiegarmi che l’operazione “on line” e quella allo sportello costa allo stesso modo? E se il sistema delle operazioni “on line” fosse liberalizzato? E così via. Ma era solo per fare un esempio.

E veniamo al merito della proposta di liberalizzazione degli orari dei negozi. La quale dovrebbe essere vista in un contesto in cui si liberalizza, davvero e senza “trucchi” autorizzativi vari, anche la nascita e la localizzazione di nuove attività commerciali, e quindi si toglie completamente qualsiasi vincolo che non sia urbanistico, ambientale e paesaggistico all’ingresso di nuovi soggetti.
Ma attenzione: limiti  urbanistici, paesaggistici e ambientali non intesi come una modalità per impedire di fatto  l’accesso nel settore e in aree significative e importanti come i centri storici, le aree turistiche e così via. Ma limiti gestiti in maniera adeguata per evitare lo stravolgimento delle nostre città e delle nostre località turistiche. E magari per consentire l’apertura di nuove attività innovative, di qualità, gestite da giovani e per impedire invece il proliferare di attività “compro oro”, “cambia valute” etc che stravolgono, queste sì, l’armonia e la bellezza delle aree paesaggisticamente sensibili.

Sugli orari invece mi sembra che il dibattito vada diviso fra due comparti diversi e che, di fatto,  svolgono servizi differenziati. Dico subito che per quanto riguarda la grande distribuzione, per la quale, si dice, sarebbe fatta la liberalizzazione, io sono anche per lasciare lo “status quo”. Diciamo che mi interessa meno. Vedo difficile inserire innovatività in questo tipo di attività. Le possibilità di apertura sono tante e penso che siano in grado, già oggi, di soddisfare il grosso delle esigenze dei cittadini. Qualche piccolo ritocco sarebbe ampiamente sufficiente. Raggiungendo l’ottimo fra servizi ai cittadini, condizioni di vita e di lavoro del personale dipendente e operatività delle imprese. Quello che dice Campaini di Lega Coop è nella sostanza condivisibile. Io penso, in più, che dobbiamo smettere di pensare ai grandi centri commerciali come “luogo di aggregazione” per il tempo libero della popolazione. Ma non proibendo. Ma creando alternative, urbanistiche e di servizio, nelle città e nei mille luoghi di possibile aggregazione che si possono creare in un paese ricco di suggestioni e di amenità come il nostro.

Quello che invece mi sembra più interessante è la liberalizzazione nei piccoli negozi, nelle attività dei centri storici, dei luoghi turistici, delle zone periferic he e delle aree rurali delle nostre realtà territoriali. E questo perché l’allargamento dell’orario può voler dire in questo tipo di attività, spesso gestita in maniera familiare, l’ingresso di nuove leve di lavoro e lo sviluppo di servizi innovativi e creativi che magari non riescono ad affermarsi nella gestione tradizionale dell’orario canonico.
Penso ai tanti giovani studenti, alle donne senza lavoro che sono segnate come “casalinghe”, alle persone ritirate dal lavoro , insomma a quella vasta platea di “non attivi” (ben oltre la metà della popolazione in alcune fasce di età e di condizione), che con l’allargamento dell’orario dei negozi potrebbe essere inserito in una attività non per svolgere il “lavoro principale” ma per svolgere attività complementari. E questo sia attivando le risorse della “grande famiglia italiana” (figli, nipoti, zie, nonni, mamme, etc), sia , con contratti di tipo flessibile, quelle del mondo giovanile, e non solo, che può trovare giovamento economico e formativo in queste attività

Non solo. Ma se accanto alla liberalizzazione degli orari si aggiunge una più vasta liberalizzazione delle attività si potrebbero avere gestioni multiple dei negozi che svolgono nell’orario tradizionale una attività tradizionale (che so una bottega di alimentari) e che invece nell’orario serale potrebbe trasformarsi, con una gestione giovanile più creativa, in locali di somministrazione di servizi alimentari (pasti, panini, etc) e di servizi di tempo libero. Insomma penso a città che hanno volti diversi fra il giorno e la notte per rispondere in maniera più adeguata alle diverse popolazioni che vivono la città nelle diverse ore della giornata. E , perchè no, che riescono a calmierare i prezzi della vita della notte dove un bicchiere d’acqua viene venduto neii pochi locali aperti al prezzo di un brunello di montalcino!

Insomma la visione di un consumo dato che non cambia col cambiare delle forme e delle tipologie di gestione delle attività commerciali è una “visione fordista” del settore commerciale. Che forse vale in parte per le grandi corazzate del commercio ma che non vale per quella multiforme attività diffusa nelle città, nei borghi e nelle località turistiche del paese. Lo stesso vale quando diciamo che l’apertura più ampia non crea lavoro. Si continua ad avere un’idea dell’impresa, del lavoro e del consumo di tipo aggregato. Ed invece la liberalizzazione può e deve entrare nell’aggregato per disaggregarlo e far nascere lavori nuovi, idee nuove e nuove attività. Solo così questa e altre liberalizzazioni possono rappresentare uno strumento per lo sviluppo e la crescita.

Altrimenti davvero le liberalizzazioni sono soltanto una provocazione. Solo un “ballon d’essai” posizionato nell’Agenda della politica per parlare d’altro in un momento in cui il paese non cresce. Liberalizzare significa invece fare altro, fare di nuovo, fare anche con soggetti diversi. E rivolgersi a bisogni e pubblici diversi. Ecco, se vista in questa accezione, ben venga la liberalizzazione degli orari e porti con se un po’ di aria nuova nell’economia , certo, ma anche nel dibattito sulla crisi del paese che non sarà certamente superato se ognuno di noi, individui, collettività, organizzazioni e istituzioni continuiamo pervicacemente a fare quello che si è fatto fino ad oggi, negli stessi modi, con le stesse regole e , ahimè, con gli stessi risultati.
 

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