Libano: Assad e iraniani bloccano il rinnovamento

Pisa – La piazza di Beirut affonda il primo ministro Saad Hariri e ora chiede di più. Il premier incapace di gestire il caos politico di un Paese sul baratro del default finanziario (il debito nazionale è al 150% del PIL con un quarto della popolazione sotto la soglia di povertà) e con lo spettro del continuo rischio del deflagrare di una nuova guerra civile ha alzato bandiera bianca: “sono in un vicolo cieco” ha ammesso nel messaggio trasmesso alla nazione.

Legato a triplo filo alle monarchie saudite, appoggiato dall’Eliseo di Macron e spalleggiato dalla Casa Bianca di Trump. Per ora Hariri, di religione sunnita, miliardario e discendente di una delle famiglie più potenti del Libano, rimane in carica, in attesa della decisione presidenziale.

L’analisi è che si è lasciato trascinare dall’onda di cambiamento, che ha considerato maggioritaria, e tratte le dovute conseguenze ha dato le dimissioni, aprendo una crisi politica già acuta. Le grandi proteste che hanno attraversato il Libano, in queste due settimane, chiedono “rivoluzione”; rivendicano un cambiamento totale a livello istituzionale: la fine di un sistema “corrotto e dispotico”.

Manifestano accusando i vertici dei partiti al potere: cristiano maroniti, islamico sunniti e affiliati ad hezbollah. È una rivolta pacifica, transreligiosa, che fa paura alle oligarchie, anche queste trasversali, che governano e destabilizzano da anni questo lembo di terra. Sono voci di malcontento inaccettabili tanto dal leader politico e spirituale, filo iraniano e sciita, Hassan Nasrallah quanto dai maroniti, non falangisti e pro siriani, del presidente cristiano ed ex generale Michel Aoun.

È un movimento che monta di giorno in giorno, composto da tanti giovani, aggregato dalla comune lotta alla finanziaria e che trova nel diniego all’introduzione di una tassa per le chiamate di Whatsapp la sua icona di battaglia social.

Non chiamatela “rivoluzione dei cedri” e tantomeno “primavera araba”, siamo difronte a qualcosa di diverso, meno politicizzato e più pragmatico nelle richieste, che guarda alla libertà di comunicazione e allo stesso tempo al proprio portafoglio, un dissenso di cui è difficile predire il destino.

Come prima vittoria, e forse unica, la gente nelle strade ha fatto cadere la pedina più fragile dello scacchiere di quella che è stata la Svizzera del Medioriente, Hariri. Il “debole” politico era l’unico elemento che potenzialmente destabilizzava l’alleanza tra Damasco e Beirut, accordo che di fatto lascia mano libera ai terroristi di Hezbollah sul controllo del Paese in cambio della tacita presidenza di Aoun.

Dietro gli squadristi mandati alla caccia dei manifestanti, milizie che impunite sotto lo sguardo delle forze di polizia in queste ore hanno picchiato e incendiato mettendo a ferro e fuoco interi quartieri della capitale, c’è ovviamente la lunga mano di Damasco, di Assad e degli iraniani. Mentre, il braccio armato è sempre quello riconoscibile di Hezbollah. Sono loro, a questo punto, il vero ostacolo al rinnovamento.

Foto Saad Hariri

 

Alfredo De Girolamo

Enrico Catassi

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