Andrea Canova intervista Emanuele Aldrovandi
Interviste che intendono far conoscere qualcuno a qualcun altro, come se due sconosciuti si incontrassero per la prima volta. L’intervistato ha la più assoluta libertà di dire o non dire ciò che vuole di se stesso. In queste interviste non si cerca il clamore, il gossip, lo shock.
Si tratta di interviste scritte dall’intervistato, dunque non orali, per ovviare al brutto costume italiano di “modificare” il detto dell’intervistato, a volte con scopi non ben chiari, o fin troppo.
Rispetto alle specificità professionali dell’intervistato, le novità professionali non saranno dimenticate.
Due date reggiane, anzi correggesi, per il drammaturgo Emanuele Aldrovandi. Sarà infatti al Teatro Asioli di Correggio venerdì 16 e sabato 17 dicembre 2022 ore 20.30.
Chi è Emanuele Aldrovandi?
Sei partito con una domandina facile. Me lo chiedo tutti i giorni e mi do sempre risposte diverse. Credo che ogni persona sia un coacervo di forze, pulsioni e personalità differenti, che facciamo sempre fatica a definire o racchiudere. Dentro di me di sicuro ci sono un ragazzino “impunito” (come diceva la mia prof di matematica del liceo) che fa sempre di testa sua, un vecchio malinconico che sta sveglio di notte a pensare alla morte, un permaloso che si nasconde dietro l’ironia, un giocatore di basket che non sopporta gli arbitri, un figlio unico egoista che però sa ascoltare e uno scrittore che si diverte a giocare con tutti gli altri facendoli incarnare nei suoi personaggi. Ma queste sono solo le prime personalità che mi sono venute in mente. Chissà quante altre ce ne sono, che il filtro dell’autoindulgenza non mi permette di vedere.
Che tipo di formazione hai? Studi, letture, mentori.
Dopo il liceo scientifico ho studiato Filosofia, perché volevo “sapere”. Ma la tesi triennale l’ho fatta su Richard Rorty, cacciato dalla facoltà di Princeton dopo aver scritto che “non si può sapere” e aver sostenuto che i libri di Filosofia andrebbero spostati dagli scaffali della “scienza” e messi in quella della “letteratura”, perché non esistono verità, ma solo narrazioni.
Durante la discussione della tesi il professore mi ha chiesto “Lei quindi si sta laureando in Filosofia con una tesi che dice che la Filosofia è solo una forma di letteratura… e quindi adesso cosa pensa di fare?”
E io: “Beh, mi iscrivo a Lettere”.
Hanno riso tutti. È stato il mio primo momento di teatro.
A quel punto il mio obiettivo non era più “sapere”, ma “scrivere di ciò che non sapevo”. Mi divertivo già a farlo, ma volevo imparare a farlo bene. E la specialistica in Lettere, da questo punto di vista, è stata una delusione. Perché si studiavano le opere in modo troppo “derivato”, cioè ci si focalizzava sui rimandi e sulle interpretazioni, non sul loro funzionamento e su “come erano scritte”. Era uno studio “teorico”, ma io volevo essere un giocatore, non un commentatore.
Durante l’ultimo anno di Università mi sono iscritto all’Accademia d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano. È stato un periodo difficile perché dopo otto ore al giorno tutti i giorni prendevo il treno, andavo a Bologna per finire gli esami e fare la tesi. Ma l’Accademia è stata la formazione più importante, perché mi ha insegnato artigianalmente “come funzionano le storie” e mi ha permesso poi di trasformare una passione – o forse sarebbe meglio dire un’inclinazione – in un lavoro.
Qual è la poetica drammaturgica di Emanuele Aldrovandi?
Beh, definire la “poetica” è una cosa che di solito fanno gli altri – i commentatori – quando sei morto. Quando sei vivo e scrivi cose nuove secondo me non ti preoccupi della poetica, ma di quello che ti interessa raccontare. E cerchi il modo più efficace per farlo. Almeno, per me è così.
Poi mi dicono spesso che le cose che scrivo sono riconoscibili, che si capirebbe che le ho scritte io anche se non ci fosse il mio nome, e questa è sicuramente una spia che da qualche parte esiste una “mia poetica”, e probabilmente è anche abbastanza definita, ma io non sono interessato a definirla.
Direi che la cosa più importante però è l’approccio: cerco sempre di parlare di argomenti sui quali non so cosa pensare, oppure sui quali ho pensieri opposti. E mi viene da farlo in modo un po’ estremizzato, ma cercando anche di divertirmi, quindi capita spesso di sfociare nei paradossi, però non è tanto una poetica, è più che altro un’aderenza a come sono io come persona. Ecco, cerco di scrivere cose che vorrei leggere. O vedere.
Tra tutti i tuoi testi qual è quello che contiene le parole che più ti raccontano o che raccontano il tuo teatro? E perché?
Mi capita spesso di sentirmi più “vicino” all’ultima cosa che ho scritto. Forse perché temporalmente è quella più prossima, quindi rispondendo a questa domanda oggi, a fine 2022, ti direi L’ESTINZIONE DELLA RAZZA UMANA.
Ma se me la rifacessi fra due anni, probabilmente ti darei un’altra risposta.
A questo testo comunque tengo molto perché ha avuto una lunga genesi in un momento particolare della mia vita. Poi ne ho curato anche la regia, con in scena un gruppo di amici che conosco dagli anni dell’Accademia, quindi la realizzazione è stata a sua volta un bel momento che ricordo con piacere.
Molti anni fa, a Castelnovo di Sotto, se non ricordo male mentre recuperavo l’auto in via Claudia, il nostro comune amico Andrea Scazza mi chiese di leggere quello che forse è stato il tuo primo testo teatrale e credo di essere stato uno dei tuoi primi lettori. Ricordo che il testo letteralmente grondava di filosofia, di studi e letture filosofiche e mi sembra che tale “cifra” sia ancora molto forte nella tua drammaturgia. Che rapporto c’è tra la filosofia (e quale filosofia) e il tuo teatro?
Quel testo probabilmente grondava anche dei dialoghi fra me e lui. Ho sempre attinto tantissimo alle conversazioni con le persone care e ad Andrea dovrei pagare almeno tre o quattro cene.
Come dicevo prima, della filosofia a me è sempre piaciuta tanto la parte “interrogativa” – quando si fanno le domande, e invece ho sempre mal sopportato quella “assertiva” – quando si danno le risposte. Il teatro è adatto a questa inclinazione naturale perché mi permette di nutrirmi delle domande per far vivere dei personaggi che poi rispondono ognuno con le proprie scelte. Ma quando un testo è scritto bene, le scelte smettono di essere filosofia e diventano azione.
Quello che hai letto tu (quindici anni fa ormai, credo) probabilmente grondava così tanto perché io non ero in grado di gestire quello che stavo facendo. Adesso la filosofia è il concime, ma poi quello che si vede sono – dovrebbero essere – solo le piante.
A cosa stai lavorando?
Un nuovo testo che debutterà e andrà in tournée nella stagione 2023/24. Un gioco-spettacolo prodotto da I Teatri di Reggio Emilia che svilupperemo insieme a gruppi di cittadini e che prenderà vita la prossima estate ai Chiostri di San Pietro. Poi dopo tre cortometraggi, sto lavorando al mio primo film lungo, ho già finito la sceneggiatura e la speranza della produzione è di iniziare a girarlo in autunno 2023. Vedremo.
Qual è il tuo più grande sogno?
Morire senza avere troppi rimpianti.
Qual è la tua più grande paura?
La morte. L’idea di sparire nel nulla.
Che cosa vorresti lasciare dopo la tua morte?
Fino a tre anni fa avrei risposto che la domanda non m’interessava, perché tanto da morto non mi sarei reso conto di quello che avevo o non avevo lasciato.
Adesso invece rispondo mia figlia. E aggiungo che vorrei lasciarla in un pianeta in cui si può ancora vivere. Ma la vedo dura.
FINE
Biografia
Emanuele Aldrovandi (Reggio Emilia, 1985) è autore e regista per il teatro e per il cinema. I suoi testi teatrali hanno ricevuto numerosi riconoscimenti fra cui Premio Riccione/Tondelli, Premio Hystrio e Premio Pirandello, sono stati messi in scena in alcuni dei principali teatri italiani e sono stati tradotti e pubblicati in inglese, tedesco, francese, spagnolo, polacco, sloveno, ceco, rumeno, catalano e arabo.
È fondatore e direttore artistico dell’Associazione Teatrale Autori Vivi, ha lavorato con Teatri Nazionali come ERT e Teatro Stabile di Torino, col Teatro Elfo Puccini di Milano, Teatro Carcano, Teatro Stabile del Veneto, Teatro dei Filodrammatici, Teatro del Buratto e con compagnie come MaMiMò e ATIR. È uno degli autori italiani selezionati da Fabulamundi Playwriting Europe e ha partecipato a progetti internazionali, fra gli altri, con Opera di Pechino, LAC Lugano, Sala Beckett Barcellona e The Tank Theater New York.
Nel 2021 ha esordito alla regia, dirigendo il suo testo Farfalle, e nel 2022 ha diretto L’estinzione della razza umana.
Si è occupato anche di traduzioni, adattamenti, installazioni museali e progetti site specific.
Per il cinema ha scritto e diretto vari cortometraggi fra cui Un tipico nome da bambino povero e Bataclan (Premio speciale RAI Cinema alla Festa del Cinema di Roma e Nastro d’argento 2021 come miglior cortometraggio italiano), presentati in numerosi festival nazionali e internazionali. Sta lavorando al suo primo lungometraggio.
Insegna all’Accademia Paolo Grassi di Milano e alla Scuola Holden di Torino.
Bibliografia/drammaturgia
Testi teatrali originali
2021 L’estinzione della razza umana
2018 La donna più grassa del mondo
2017 Isabel Green
2016 Nessuna pietà per l’arbitro
2015 Scusate se non siamo morti in mare
2015 Allarmi!
2013 Farfalle
2013 Homicide House
2012 Qualcosa a cui pensare
2011 Felicità
2010 Il generale
Cortometraggi
2020 Bataclan
2019 Un tipico nome da bambino povero
2018 Il progresso
Sitografia
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