L’Europa unita può passare solo dai valori condivisi di libertà e solidarietà

Stati Uniti d’Europa, il passaggio necessario è costruire partiti europei

Affinché si possa giungere ad una Europa unita è necessario che la stessa debba costruirsi come federazione. Perché il federalismo è in primo luogo teorica della libertà, poiché è lo strumento attraverso il quale i cittadini si rendono partecipi della politica e della società, partendo dalle realtà locali per fondersi poi, per mezzo di cerchi concentrici, nella realtà nazionale e di poi in quella sovranazionale.

E’ ovvio che un passaggio essenziale, per giungere agli Stati Uniti d’Europa, è la costruzione culturale dell’Europa. Per fare un esempio pratico di come si potrebbe allargare questa cultura europea, a partire dalle realtà locali, ed in particolare guardando ai giovani, si potrebbe ricordare l’iniziativa fatta sotto la giunta Primicerio quando fu istituito, dall’Avvocato Antonluigi Aiazzi, al Comune di Firenze, il Segretariato per le politiche europee. Iniziativa poi abbandonata, ma il cui obbiettivo era anche, ma soprattutto, quello di spiegare ai giovani l’Europa, affinché sviluppassero una nuova coscienza aggregativa che superasse le barriere nazionali. Tanto che, in tal senso, l’iniziativa aveva coinvolto le scuole. Solo in tal modo, peraltro, si potrebbe far nascere nei giovani il desiderio di impegnarsi e rendersi partecipi della società, in modo da allontanare lo spettro dell’”indefferentismo”, che è foriero di dominio e perdita della libertà (in ciò Calamandrei potrebbe insegnarci molto).

Un altro passaggio culturale necessario è cominciare a costruire i partiti europei, che ad oggi non esistono. Immaginare di aggregare i cittadini delle nazioni europee all’interno di contenitori sovranazionali, darebbe una forte spinta al superamento delle barriere nazionali, contro i protezionismi delle politiche populiste e nazionaliste. Queste operazioni generebbero una contaminazione positiva per la costruzione di un’Europa che non sia soltanto la realizzazione di un mercato in cui i Paesi conservano i loro poteri e utilizzano l’Europa come il pascolo per realizzare gli scambi economici utili, così, ché ognuno, a casa propria, continua a fare ciò che vuole.

Ma questa federazione europea può essere vissuta come un pericolo da qualcuno? Una domanda retorica per molti versi, in cui per un certo periodo di anni una certa parte di America, ha voluto costantemente ampliare lo scacchiere europeo, non tanto con l’obiettivo di creare un sistema federato, ma per aggravarne, al contrario, la pesantezza, aumentando il numero degli Stati e impedendo così un sistema di aggregazione federata.
E ciò, ritengo, nel timore che un’unione economica e politica forte, potesse mettere in crisi l’architettura del suo paese a confronto di paesi e popoli che si caratterizzano ancora come eccellenze e come uno dei maggiori spazi di consumo per la ricchezza prodotta. E questo è un dato da non sottovalutare.

Ci troviamo purtroppo in un passaggio storico in cui l’Europa è incapace di prendere decisioni in autonomia e come espressione di unità. E ciò emerge in modo assai cristallino al cospetto dei recenti conflitti: Dalla guerra in Ucraina a quella recente divampata in Medio Oriente. L’Europa non è stata in grado di esprimere una sua voce, né diplomatica, né altro. Al contrario le singole nazioni ed i loro leader di governo, così come le singole popolazioni, si sono divise in tifoserie fra chi è pro Israele e chi è pro Palestina. Ma è questo il modo di condurre un sistema politico che dovrebbe essere propedeutico alla costruzione di un’Europa come soggetto unitario sullo scenario internazionale? Tirando le fila, credo davvero che il passaggio imprescindibile per la costruzione reale dell’Europa sia quello culturale, con il necessario tassello della nascita concreta di partiti europei.

Né è da meno immaginare che l’Europa debba costruirsi anche come forma di governo. Negli USA c’è un sistema federale presidenzialista, in Svizzera c’è invece un modello peculiare, molto amato anche dalla tradizione repubblicana che ha, pur nella sua grande partecipazione, avuto momenti di crisi in particolare per il sistema di controbilanciamento dei sostegni ai Cantoni più in difficoltà. Un sistema che funziona anche se si tratta di realtà geografiche piuttosto contenute.

Nel panorama delle modalità presidenzialiste si abbatte ora l’idea meloniana di creare un premier e una squadra di ministri eletti dal popolo. La questione è molto tangente a quella dell’unità europea. Infatti si scelgono sistemi che spingono verso politiche verticistiche, e quindi contrarie, al principio democratico e libertario. Sistemi che si connotano per una volontà politica di avere più verticismo, fatalmente contraria all’idea di federalismo, all’interno del quale l’esercizio del potere è distribuito e la partecipazione è sempre più attiva, oppure si continua a conservare un premierato agganciato al voto popolare dentro la forma parlamentare. Ma questo crea dei problemi. A tal proposito la lezione di Calmandrei è fortemente attuale, tant’è vero che persino la premier lo richiama in quanto forte sostenitore del presidenzialismo, dimenticando però che Calamandrei riteneva indispensabile, a fronte del presidenzialismo, un forte e organizzato sistema federalista, poiché quello più adatto a contenere un sistema di bilanciamento di poteri, in grado di impedire un accentramento che, a volte può essere pernicioso.

Il fatto è che le scelte del nostro premier si riverberano nella stessa sua concezione di Europa che, per cultura, non potrebbe che essere confederata e non federata; ovvero concepita come sovrastruttura che non possa in alcun modo interferire con la realtà nazionale, se non per i soliti interessi economici, ma non per quelli giuridici, culturali e sociali. Ed ecco quindi che la scelta del premier eletto dal popolo si innesta nella generale idea confederata, in cui ciascuno Stato è libero di gestire la propria identità ed autonomia
per preservare le singole nazionalità, ed i singoli interessi economici, dalle ingerenze dello Stato “Confederato”, per poi anche all’interno remare contro ogni aggregazione federale, che è distribuzione e sistema di bilanciamento dei poteri, per anelare, con il pretesto di governi più stabili e forti, a forme di politica verticistica che, per paradosso, è negazione del pensiero critico e liberale, oltre che libertario. In alcun momento il nostro premier ha inteso condurre una campagna elettorale (ma neppure la sinistra) nel desiderio di spingere l’Europa a costruirsi come entità unitaria e federata.

Come emerge da quanto sopra scritto, purtroppo, il dibattito in Italia in questo momento non è neppure rivolto al presidenzialismo europeo, bensì all’elezione del presidente del consiglio e ministri al seguito, ingenerando problemi all’ossatura costituzionale del Paese, pricipalmente per l’assenza di bilanciamento di poteri e contrappesi.

Il sistema italiano anche in prospettiva, non guarda dunque il presidenzialismo così come presente anche in certo pensiero scaturito in sede Costituente, bensì configura un presidente del consiglio dei ministri, accompagnato a un regionalismo di bassa lega, che non crea una struttura “federata” ma una forma di autonomismo. Se riportiamo questo modello a livello europeo, rischiamo di frantumare il sistema  mondiale: le guerre si moltiplicheranno, in quanto i sistemi di protezione e di autonomismo, diventeranno sempre più sistemi di protezione identitari al grido di “dobbiamo conservare i valori” in primis quelli religiosi.

I valori europei, al di là di ogni credo politico, sono la libertà e la solidarietà, che fanno parte di un aspetto sì religioso, ma anche molto laico. In questo senso occorre che l’Europa sia costruita come espressione di volontà, e per fare questo serve in primis il passaggio culturale. Non si può calare nulla dall’alto. La libertà non cala dall’alto del cielo, ma nasce dalle viscere dei popoli, come dice Cattaneo. E anche l’Europa.

In Foto Piero Calamandrei

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