L’Europa della moneta ha fallito, ci vuole una politica europea

Mario Monti, colui che doveva ridimensionare il dannato spread, non c’è riuscito tanto che, dopo l’incontro con la cancelliera tedesca – anche questo, al pari dei numerosi incontri che i leader europei fanno tra loro, ha prodotto più chiacchiere che risultati – nel rituale ricevimento che il Pontefice riserva ai nuovi capi di governo italiani sembra che il presidente abbia interessato il Papa tedesco alla questione dello spread. Ossia, a mettere anche il Papa in campo per intervenire sulla signora Merkel che, seguitando così, avrà l’onore di depositare le macerie della potente Germania sopra quelle dell’Europa comunitaria tutta. Insomma, a lei l’onore di sigillare il cumulo.
Sulle assurdità di un’Europa burocratica, egoistica e ragionieristica potremmo disquisire all’infinito. Se l’Europa vorrà essere, in qualche forma, un soggetto politico dovrà necessariamente cambiare le proprie forme di relazione nonché le modalità organizzative. L’euro doveva essere il primo passo verso tutto ciò; ma è chiaro che, realizzato il miracolo di partire dal tetto, senza i muri e le scale poi arriva la frana. Tutto, infatti, sta franando essendo ben chiaro che, se l’euro va giù porta con sé  anche quanto c’è di Europa  e viceversa.
Di ciò non possiamo dare colpa alle agenzie di rating le quali, come i pirati del golfo somalo, fanno il lavoro di rapina in base agli interessi loro; c’è, caso mai, da meravigliarsi del perché nessuno Stato, da solo o con altri del vecchio continente, non abbia preso delle contromisure che sono possibili; esse dipendono esclusivamente da volontà politica. 
Si dice, ed è vero, che le agenzie non hanno risparmiato nemmeno l’America di Obama. Già, ma la sostanza è diversa poiché, mentre lì aprivano una questione di natura interna condizionata anche dalla scadenza presidenziale, di pari passo, facendo il tiro al piccione agli Stati e alle istituzioni creditizie e finanziarie europee, raggiungevano lo scopo di riconferire al dollaro quella supremazia mondiale che con l’euro aveva perso e, quindi, facevano un servizio al loro paese nel quale, peraltro, già si avvertono i primi segni di ripresa. Ora, poiché ciò che nasce in America dopo un anno arriva in Europa – è successo anche per la crisi finanziaria – basterà aspettare, ma il ribaltamento del rapporto tra euro e dollaro farà sì che, pur registrando la ripresa europea, si pagherà anche una quota del debito americano. Di fronte a tale scenario non crediamo che nemmeno l’auspicato intervento del Pontefice sulla cancelliera tedesca possa servire a molto!
Nelle condizioni attuali tutti parlano di crescita. E’ fondamentale per rimettere in piedi la baracca, ma la crescita non avviene, rimanendo all’Italia, aumentando scandalosamente le tasse dei soliti che pagano né tantomeno liberalizzando tassisti – sempre che ci riescano – o i notai oppure le farmacie perchè queste azioni sono false liberalizzazioni; lenzuolate – ci perdonerà Bersani – di facciata, come quelle che si mettevano un tempo alle finestre quando passava la processione.
Le liberalizzazioni vere stanno nella rottura dei monopoli e nella regolazione del mercato della zona comunitaria; se non si fa questo si parla, così, per puri slogan. Il fatto è che la crescita avviene tramite l’indebitamento che produce posti di lavoro, nuove possibilità economiche e ripresa dei consumi. La crescita, insomma, riparte dal concetto del debito quale strumento, fermo restando che un debito produttivo comporta che i conti siano in ordine.
Per quanto concerne l’Italia siamo pessimisti poiché, anche ammesso lo stracarico fiscale  rimetta i conti in ordine ciò non significa, automaticamente, che vi saranno ripresa e crescita. Se l’Italia si vorrà riprendere il governo dovrà, di necessità, lasciar andare il debito e lavorare in deficit di bilancio. Sul punto, però, non si capisce come il governo la pensi e crediamo che il dinamismo europeo del presidente Monti, dopo la stangata, sia dovuto all’indecisione circa la  politica  da seguire  per tentare di innestare la crescita per vedere di coniugare con gli altri paesi europei un qualcosa che crei una situazione che dia al Paese quella politica che oggi non ha. Finora sono state chiacchiere multilingue; diamo,tuttavia, tempo al tempo, anche se questo stringe.
Su tutto sovrasta, infine, una questione politica che non si capisce il perché nei tanti incontri avvenuti non sia stata sollevata o, più minimamente, accennata. E’ presto detto: la moneta unica, senza avere alle spalle un governo federale europeo, non poteva metterci molto a dimostrare la propria fragilità. Nell’anno appena iniziato vengono a scadenza 800 miliardi di bond pubblici di cui ben 320 riguardanti la Spagna e l’Italia. Se volessimo dare senso alle cose,dovremmo dire che ora l’Europa politica è una vera e urgente necessità. Naturalmente sarà impossibile, e forse non ci arriveremo mai, a un’Europa federale, ma tra l’insieme di debolezze e mancanza d’insieme di oggi e un livello più alto di ordine politico, corre una bella differenza. Dei sostanziali passi in avanti possono essere fatti. La realtà ci ha dimostrato che un’Europa solo revisore dei conti ha fallito e solo una “politica europea” può esserne il curatore fallimentare. In caso contrario non dobbiamo che ringraziare noi stessi, e dopo aver interessato anche il Papa, chi altro mai si pensa di coinvolgere?.


Paolo Bagnoli
 

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