L’Europa del soft power di fronte alle sfide del multipolarismo instabile

Il Presidente dell’IAI Nelli Feroci: l’Ue può avere ancora un ruolo pacificatore
Da sinistra: Roberto Boschi, Ferdinando Nelli Feroci, Beatrice Covassi, Valdo Spini, Marco Buti, Sergio Fabrini

La crisi economica finanziaria, la Brexit, la crisi migratoria del 2015, il Covid, la guerra in Ucraina, per non parlare del Medio Oriente. La domanda che sorge naturalmente a valle di questi accadimenti, è senz’altro una: quale ruolo ha, o dovrebbe avere, l’Europa in tutto questo?

E’ stato questo il tema oggetto dell’intervento di Ferdinando Nelli Feroci, tenuto nel corso del convegno “Europa 2024” che si è tenuto il 12 gennaio a Firenze, presso la sede della Fondazione circolo Rosselli. “L’Unione è riuscita, nonostante tutto a dare risposte”, dice il presidente dell’Istituto Affari Internazionali, docente della Luiss, nonostante carenze anche discutibili, “grazie al metodo funzionalista che comunque ha funzionato finora. Grazie alla capacità di adattamento e a una certa flessibilità nel funzionamento, l’Unione Europea è riuscita a superare crisi inimmaginabili uscendone in qualche modo rinforzata”.

Tuttavia,  secondo Nelli Feroci,  è sulla politica estera che l’Europa è debole, dove “l’UE non solo non è all’altezza delle aspettative” diciamo generali, ma neppure “all’altezza della sommatoria delle potenzialità dei singoli stati membri”.

E’ necessario però tenere presenti alcuni elementi. In primo luogo, ricorda Nelli Feroci, “ il tema della proiezione internazionale e della politica estera erano estranei al progetto originario di integrazione europea così come concepito con il Trattato di Roma”. Storicamente, in tema di politica estera, qualcosa comincia a muoversi verso la fina degli anni ‘70,  “quando attraverso una collaborazione tra governi tipicamente intergovernativa, si comincia a realizzare l’obiettivo di promuovere maggiori convergenze fra gli Stati membri su questioni di politica estera”. Il Trattato di Maastricht è poi fondamentale, perché con questo Trattato per la prima volta la politica estera viene inserita fra le politiche comuni dell’Unione europea.

Le modalità con cui si esercita questa politica rimangono, tuttavia, come sottolinea Nelli Feroci,  “diverse da quelle con cui l’unione avrebbe affrontato  in futuro le altre politiche settoriali comuni”. Le caratteristiche di queste modalità di funzionamento sono proprie del metodo intergovernativo, ovvero “la  regola dell’unanimità, un ruolo prevalente degli Governi nazionali, e  un ruolo molto ridotto della Commissione”. Il dato fattuale è che mentre per quanto riguarda la politica monetaria e la gestione di una moneta comune i Paesi membri hanno avuto il coraggio di delegare la gestione  a un’entità sovranazionale,  sulla politica estera si sono arenati, “perché la politica estera, piaccia o non piaccia, è ancora considerata da tutti un’espressione inalienabile della sovranità nazionale”.

Un’ottima ragione per piegare la debolezza dell’Europa sulla scena estera. Le stesse carenze ma forse in modo più grave, “si riscontrano nel campo della Difesa – continua Nelli Feroci – e anche su questo punto non dimentichiamo che quando il progetto europeo viene concepito è essenzialmente un progetto di integrazione economica”. Del resto, nel ’54, ricorda il Presidente dell’IAI, era stata bocciata la CED, il progetto di difesa comune europea, mentre i tentativi messi in campo a partire dal ’99, faticosi, di .”dotare l’Unione europea di una qualche capacità anche di tipo militare, erano unicamente riservati alla gestione di crisi fuori area per interventi o missioni internazionali di gestione di crisi fuori dai confini della UE”.

Tuttavia, se la prospettiva si allarga, ci si accorge che “la proiezione internazionale dell’UE non è fatta soltanto della tradizionale politica estera”, ma riguarda anche altre politiche, fra cui, ad esempio l’allargamento. “Mentre qualcuno lo vede come fattore di debolezza, personalmente lo considero come un processo grazie al quale l’UE è stata in grado di garantire al continente intero delle condizioni di stabilità, pace, benessere diffuso”. Considerandolo sotto questo profilo, il fatto che abbia rallentato il passo dell’integrazione è però ben controbilanciato dal fatto che “siamo riusciti a integrare a livello continentale quasi tutti i paesi europei. Mancano i Balcani, l’Ucraina e la Moldova, ma a questi paesi abbiamo promesso una prospettiva di adesione che dovrebbe a sua volta garantire  stabilità,  benessere economico, e pace a livello continentale”.

Sempre con riguardo alla proiezione esterna dell’Unione, un terzo elemento è la politica commerciale. “Il suo successo è dovuto al fatto che si tratta di una delle pochissime politiche di competenza esclusiva dell’Unione e questo fa la differenza – sottolinea Nelli Feroci – In questo caso l’Unione attraverso la Commissione opera in condizioni di straordinario privilegio rispetto ad altre politiche; e proprio grazie a questa competenza esclusiva  l’Unione ha realizzato nel corso degli anni una rete di accordi commerciali con Paesi terzi o gruppi di paesi terzi che hanno contribuito a loro volta a definire un regime del commercio internazionale di cui l’Unione è tutt’ora in qualche modo garante”.

Un quarto aspetto, piuttosto negletto, e sempre per quanto riguarda la proiezione internazionale dell’Europa, comprende “tutta l’attività di cooperazione allo sviluppo, di cooperazione finanziaria economica e tecnica che l’UE grazie a una serie di strumenti sviluppa con paesi terzi”. Ma c’è anche un altro tema che riguarda la proiezione esterna dell’Unione, vale a dire la diplomazia del clima. “L’UE per sua scelta ha deciso di puntare sulla  transizione energetica e sul contrasto del cambiamento climatico come delle priorità di azione strategiche”. Ciò ha messo l’Unione, anche tramite misure come il Green Deal, il Repower EU, e la serie di ambiziosi obiettivi posti, come leader della diplomazia del clima.

Ultimo punto che Nelli Feroci sottolinea  è la politica migratoria, che per quanto “discutibile, insufficiente e inadeguata” ha una componente esterna  “che ha un suo peso nel definire la dimensione internazionale dell’Unione”. In conclusione dunque, per dare un giudizio complessivo sulla proiezione internazionale della UE, è necessario ampliare lo sguardo al complesso delle attività che hanno a che fare con la sua dimensione internazionale. Ovviamente, senza dimenticare le nuove  e immense sfide che la UE è chiamata “con mezzi limitati” ad affrontare. Ciò che è cambiato, nel panorama internazionale, è l’assetto precedente, “che ci aveva abituati a crescere e proliferare e svilupparci in un contesto internazionale ordinato,  in cui c’erano  regole del gioco rispettate,  istituzioni multilaterali che venivano ugualmente rispettate, che funzionavano, che garantivano un certo ordine”.

Ciò che si sta di fronte oggi “è un mondo disordinato, imprevedibile, instabile, quello che si definisce come un multipolarismo instabile, che non è certamente il contesto migliore ma è una sfida costante e quotidiana”. Oltre a ciò, conta anche il fatto che “il peso specifico dell’Unione si è molto  ridotto nel mondo. Abbiamo perso in termini di quota di popolazione mondiale, del Pil mondiale, del commercio internazionale e si tratta di dati che in qualche modo incidono sulla capacità di porsi dell’Unione come protagonista sulla scena internazionale”.

Sarà possibile, in questo contesto mutato, per  L’Europa del soft power, l’Europa potenza gentile, tornare a incidere in modo efficace sulla scienza internazionale? “Forse non dobbiamo aspettarci sotto questo profilo salti di qualità straordinari;  però la potenza gentile ha straordinari mezzi per sviluppare, attraverso il suo soft power, un’influenza importante, naturalmente soprattutto in quei settori in cui non è necessario ad esempio l’uso della forza o lo strumento militare di cui ancora non disponiamo”. Senza dimenticare che le sfide che attendono l’Europa sono enormi, dalla guerra ucraina che, una volta finita, porrà fra gli altri il problema di riallacciare in qualche modo i rapporti con la Federazione russa, alla presenza, ruolo e rapporti con la Cina, fino alle relazioni con “i nostri amici americani”.

Punto particolarmente delicato quest’ultimo, dal momento che, se, come sembra dagli ultimi dati, proiezioni e sondaggi, “avremo di nuovo Trump alla Casa Bianca, sarà un risveglio complicato per l’Europa che la costringerà a fare i conti con le proprie debolezze e con le proprie carenze, compreso il piano della difesa ma non solo”. E poi c’è un altro grande tema ineludibile,  “quello di contribuire alla riduzione del gap che si è prodotto in questi anni tra il mondo occidentale e un resto del mondo che chiede di partecipare alla riscrittura delle regole del gioco insieme all’Occidente. Credo – conclude Nelli Feroci – che su questo l’Europa potrebbe svolgere un ruolo importante”.   

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