Letteratura: Grazia Deledda e Angelo de Gubernatis, storia di un carteggio

Le lettere rivelano come la scrittrice sarda si sia fatta conoscere

A metà dell’800 a Firenze si respirava un’aria di libertà di pensiero e senza limiti di frontiere. All’interno del Regio Istituto di Studi Superiori, un luogo di alta formazione di élite nell’Italia postunitaria, divenuto solo nel 1924 l’Università della città, s’insegnavano sanscrito, arabo, cinese, giapponese, ebraico, lingue semitiche, persiano e storia dell’Asia Orientale. L’ateneo stampava anche libri in lingue orientali, avvalendosi dei punzoni della tipografia medicea.

Angelo de Gubernatis, professore a Firenze di sanscrito e glottologia, orientalista di fama internazionale, storico della letteratura italiana, grande viaggiatore e fondatore di riviste quali la “ Rivista Europea”, decise di donare alla Biblioteca Nazionale di Firenze, un fondo personale. Lo fece in tre fasi: nel 1888, nel 1901 e nel 1907. Il fondo comprende un vastissimo carteggio, di oltre 26.000 autografi di scrittori, letterati, politici, intellettuali sia italiani che stranieri. Documenti, scritti e volumi ceduti insieme ai diari vincolati per 50 anni post mortem. Come si scoprirà leggendo il carteggio, l’intenzione di De Gubernatis di vincolare per cinquanta anni una parte del carteggio, era per mantenere l’integrità del nome delle donne che intrattenevano con lui una amicizia epistolare che in molti casi sfociò in una relazione passionale ed amorosa. Come con Evelyn Franceschi Marini, storica dell’arte, giornalista e scrittrice.

Nata in Francia da padre irlandese e madre inglese, la quale stabilitasi in Italia per scrivere, ebbe l’incontro con colui che divenne il marito, Piero de’ Franceschi Marini, discendente diretto di Piero della Francesca. Insieme a lui visse tra la bellissima villa di famiglia a San Sepolcro, oggi sede del Municipio e la Villa di Fiesole. Seguendo l’esempio di Enrico Nencioni, la Marini si impegnò a divulgare in Italia la letteratura inglese, a studiare e scrivere di Piero della Francesca, quale salvaguardia delle tradizioni rinascimentali di fronte all’insorgere del “ modernismo”. Ad aiutarla in questo importante scopo, era al suo fianco Angelo de Gubernatis; prima mentore e poi amante.

Siamo agli inizi del nuovo secolo e a Firenze soggiornavano molti intellettuali stranieri, tra questi la scrittrice e giornalista Violet Page, proprietaria di Villa il Palmerino, alla quale fu proprio Angelo de Gubernatis a suggerire di usare lo pseudonimo di Vernon Lee. È a Villa il Palmerino che si formò il londinese “Bloomsbury Group fiorentino”, un gruppo molto raffinato i cui componenti erano attivi in campo artistico e letterario senza tralasciare le scienze sociali e l’economia, quest’ultima animata da John Maynard Keynes il futuro padre della macroeconomia e uno dei più influenti economisti del XX secolo e Leonard Woolf, editore, giornalista e teorico politico, marito di Virginia Woolf.

Nel gruppo vi erano Telemaco Signorini pittore macchiaiolo e raffinatissimo intellettuale, John Singer Sargent, Henry James ed Enrico Nencioni. Angelo de Gubernatis, era il direttore della Rivista Europea, e con la dicitura: “considerazioni del “distinto collaboratore straniero” pubblicò una lettera di Vernon lee, nella quale sottolineava la necessità della condivisione della bellezza e della cultura estetica per la formazione della società di un popolo. Poco dopo la scrittrice edito’ il suo libro “ Genius Loci”.

La storia è piena della dimostrazione nei fatti delle parole di Mahatma Gandhi : “Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono, solo allora vinci.” Ed è anche la storia di Grazia Deledda, la prima e finora unica donna italiana che ha vinto il premio Nobel per la letteratura nel 1926. La domanda da porsi è come Grazia Deledda riuscì a farsi conoscere oltre il mare che divide la Sardegna dall’Italia. Fu grazie al suo scopritore e mentore, colui che le consenti’ di dare corpo alla speranza di mostrare al mondo intero le proprie potenzialità, ma sopratutto di andare oltre le mere lusinghe e vedere riconosciute per merito le sue capacità. Un’ambizione immensa e quasi impossibile per una donna di quei tempi: ma Grazia Deledda volle testardamente conoscere il Professore Angelo de Gubernatis.

Grazia Maria Cosima Damiana Deledda, era nata a Nuoro il 27 settembre 1871, in una numerosa famiglia alla quale non mancavano i problemi da risolvere: un padre laureato in legge che si occupava di commercio, una madre casalinga, due fratelli che avevano problemi con la giustizia e il dolore per la morte dell’amata sorella Giovanna. Grazia Deledda era una giovane accanita lettrice di libri, di storie di paese, di leggende e tradizioni. Amava ascoltare i racconti dei pastori e degli agricoltori che frequentavano la casa dei genitori, e magicamente riusciva a trasformarli in racconti che ammaliavano i lettori. Erano storie sui briganti e sulla giustizia della Sardegna: praticamente la sua prima scuola di letteratura. In futuro potrà essere definita la degna scolara di Giovanni Verga, ed è lei stessa a scriverlo nel 1891 al direttore della rivista romana “ La Nuova Antologia” Maggiorino Ferraris.

“L’indole di questo mio libro a me pare sia tanto drammatica quanto sentimentale e anche un pochino veristica se per ‘verismo’ intendiamo il ritrarre la vita e gli uomini come sono, o meglio come li conosco io» L’istinto di scrivere era più forte di qualsiasi ragione, erano racconti di paesaggi, di luoghi dove la terra è arsa dal sole, dura e aspra, ma è la terra della sua amata Sardegna: amata fino al punto di usare volontariamente parole in dialetto sardo. Nel 1888 a soli sedici anni, e con suo grande stupore, furono pubblicati i primi racconti e il romanzo “Memorie di Fernanda” che divenne una pubblicazione a puntate. Era la fine dell’Ottocento, Grazia era giovanissima, era donna e viveva lontano dal continente, era isolana, era sarda ma desiderava ardentemente poter pubblicare le sue storie su riviste a tiratura nazionale. Le sue condizioni non la favorivano, ma la sua bravura, passione, testardaggine ed ambizione sicuramente si, tanto da portarla in futuro al Premio Nobel.

La Deledda non aveva ancora venti anni, quando la famiglia e l’intero paese natale, capeggiato dal prete, l’additarono come una scostumata ambiziosa, Grazia rimanendo fedele e caparbia verso “ l’isola nell’isola” come amava chiamare la sua terra, prese il coraggio a quattro mani, e scrisse ad Angelo de Gubernatis, del quale conosceva la fama e il suo lato di essere attento alle persone escluse ed emarginate, in particolare di tenere in considerazione la condizione femminile dei tempi. Grazia Deledda si descriveva“piccina piccina, sa, sono piccola anche in confronto alle donne sarde, ma sono ardita e coraggiosa come un gigante».

La sua prima lettera a de Gubernatis è dell’aprile 1892:

Egregio Signor Direttore,

Leggo sempre con piacere la sua Rivista’, e deside«re›rei vederne il mio nome fra i collaboratori; ma non oso mandarle qualche mio scritto, prima d’esser certa ch’Ella vorrà farmi l’onore di pubblicarlo. Perciò mi azzardo a scriverle questa, pregandola di dirmi se posso aspirare a tal favore, e se la mia modesta collaborazione può riuscirle gradita. In attesa di un suo gentile riscontro La ringrazia anticipatamente la sua Dev.ma Grazia Deledda.

La risposta non si fece attendere e un’altra lettera della Deledda è del 1 maggio 1892

Egregio Signor Direttore,
A suo tempo ho ricevuto la sua cortese risposta alla mia cartolina: e, adottando il suo consiglio, Le invio un racconto sardo, puramente sardo, anzi davvero accaduto. Si degni leggerlo e giudicarlo e, se crede, lo pubblichi nella sua Rivista’.
Intanto mi permetto dirle che sono una giovanissima signorina sarda; che sono la sola scrittrice che conti attualmente la Sardegna; che collaboro in molti giornali letterari italiani, e che… sarei felicissima se anch’Ella volesse annoverarmi fra i collaboratori della sua “Natura ed Arte”. Spero di sì. Tanto che, La ringrazio sin da ora, e, salutandola rispettosamente mi dico sua Devo.ma
Grazia Deledda.

Le lettere sulle quali possiamo ricostruire ma sopratutto capire come Grazia Deledda si sia fatta conoscere a livello nazionale, è racchiusa in quel carteggio con Angelo de Gubernatis, sconosciuto fino al 2008, quando Roberta Masini, bibliotecaria della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, ha curato la prima edizione completa del carteggio. La parte separata e vincolata era formata dal carteggio privato e intimo, volutamente protetto da de Gubernatis per la tutela delle lettere, che con alcune donne divennero reali passioni amorose: erano scrittrici, giornaliste, traduttrici e artiste. Ed è tra queste lettere che si trovano le missive della Grazia Deledda. Con la quale, nonostante la passione intellettuale fosse divenuta molto forte, si era creata una vicinanza solo spirituale di «due anime tanto diverse eppur tanto unite».

Nel 1900, poco dopo il matrimonio, Grazia Deledda si trasferì a Roma, il carteggio con de Gubernatis continuo’, cambiò solo la sua firma alla quale aggiunse il cognome del marito, Madesani. I suoi numerosissimi scritti, ispirati alla vita agropastorale della Barbagia, le diedero sempre più notorietà, la sua fama non rimase circoscritta all’Italia ma apprezzata all’estero. Nel 1909, nonostante le donne non potessero votare, il nome di Grazia Deledda comparve al collegio di Nuoro del Partito Radicale Italiano, una provocazione verso il suo antagonista Ministeriale, l’avvocato Antonio Luigi Are, scatenando una grande polemica. I voti a favore della Deledda furono 34 dei quali 31 contestati. Vinse il suo avversario, ma l’elezione dovette essere ripetuta una seconda volta.

Grazia Deledda morì a Roma il 15 agosto 1936 per una caduta accidentale, lasciò incompiuta la sua ultima opera, “Cosima, quasi Grazia”, autobiografia che nello stesso anno sarà pubblicata sulla rivista Nuova Antologia a cura di Antonino Baldini, e successivamente edita solo con il titolo “ Cosima”.

La conoscenza non poteva che manifestarsi in due grandi figure quali Grazia Deledda e Angelo de Gubernatis, da Socrate a don Milani, Educare è Educere: solo l’insegnante mediocre racconta, il bravo insegnante riesce a spiegare, l’insegnante eccellente dimostra ma solo il maestro può ispirare, tirando fuori il meglio dalle menti predisposte.

Nella foto: Grazia Deledda

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