L’Età della Sovrabbondanza

zombiesE’ un po’ buffo accorgersi di come, nonostante il susseguirsi di tante Età dell’Oro, quasi nessuno pensi mai a quello che comporta la metafora metallica se portata allo svolgimento naturale delle sue conseguenze. Vale a dire: un po’ di oro, è bello. Di più, meglio. Molto oro, fantastico, Zio Paperone approverebbe incondizionatamente. Ancora di più :lo sfacelo assoluto, per inflazione del bene aureo e conseguente perdita di valore, col risultato che tutta la ricchezza creata in precedenza non varrebbe più un fico secco. Detto tra noi, è esattamente la situazione in cui versano i mercati contemporanei quanto agli investimenti in preziosi, con De Beers che possiede tante riserve da tenere per le palle gli investitori tutti, con la minaccia sempre pendente di ridurre il loro deposito in stracci per poi ricomprarselo per un tozzo di pane.

Ma fuori di metafora tecnica, non si capisce come mai tutti celebrino di volta in volta le varie Età dell’Abbondanza e pochi, pochissimi non scorgano la pienezza del pericolo di una Età della Sovrabbondanza. Strano: perché ce l’abbiamo proprio sotto agli occhi. Ci vengono in mente quei tesori di documentari in cui, negli anni ’60, gli operatori riprendevano gli occhi sgranati delle massaie mentre, mani strette al carrello della spesa, traguardavano le file e file di polli già puliti, decapitati, eviscerati, pronti da mettere in casseruola o in pentola; sembrava un po’ forse quello che sarebbe stato, diversi anni più tardi, il grande topos letterario popolare della tavola di Obelix e Asterix, processione di carni arrosto che Goscinny e Uderzo facevano piombare sul capo dei lettori di fumetti direttamente dalle pagine di Rabelais che avrebbero coniato il termine “pantagruelico”.

Se oggi fate un salto al supermercato con occhi disincantati e vi rifiutate di farvi trascinare nella smania dell’acquisto, guardando con occhi sfocati – tra un battito e l’altro, come si dice si debba fare per poter vedere gli Elfi – vi salterà agli occhi il comportamento dei consumatori. Essi non comprano: visitano. Costeggiano i banchi frigo e le scansie, gli scaffali e le piramidi delle offerte (chiaro retaggio azteco nei quali al sacrificio umano tributato è formato da tempo e danaro anziché da cuori pulsanti), in un continuo sciamare durante il quale, come cacciatori/raccoglitori di milioni di anni fa, di tanto in tanto allungano una mano e gettano quasi con fare assente qualche cibaria nel carrello. Non fanno la spesa: sono turisti. E il biglietto per l’ingresso è il prezzo che si paga alla cassa.

La cosa stupefacente è il momento in cui si sbandierano le statistiche sugli sprechi alimentari con toni stupefatti: nel momento in cui chi compra neppure sa perché lo fa è ovvio che qualcosa sarà dimenticato in dispensa. E prima ancora, è l’offerta stessa ad essere asfissiante, sommergente, ipnotica: guardate i banchi frigo. Con tutto l’amore per i diversi gusti possibili, ma cosa cazzo potrà mai giustificare una esposizione di 25, 30 metri quadri di sole salsicce, in infinite varietà, combinazioni e misure? Si sa di mostre di Picasso con meno spazio a disposizione. Del resto, non è che il problema sia del supermercato, o esclusivamente alimentare. Fatevi un giro all’Ikea e date un’occhiata all’incedere erratico di migliaia di coppie appena formate e già sul punto di separarsi – cosa che nella loro mente avverrà tra il settore degli utensili da cucina e quello delle piante in vaso. Migliaia e migliaia di referenze che non servono assolutamente a nulla; entri per comprare una Billy per cinquanta Euro, esci rovinato di piccoli infingardi balocchi da 2,99 Euro cadauno e dai nomi esotici, con uno scontrino che ti risucchia il portafogli peggio di un night club e ti fa inveire contro Prodi che ci ha portato nell’Euro, come se alla cassa o al comando del carrello ci fosse lui.

Oppure, fate un salto in edicola. E guardate gli occhi cerchiati dell’edicolante, sveglio dalle 4 e impegnato fino alle 22.30 per i resi di tante di quelle referenze che neppure lui ormai lo sa più. La gente non compra più il giornale cartaceo, dice. Forse; ma forse anche dover scegliere tra non meno di 20 alternative apparentemente diverse (in realtà quasi uguali) ogni volta che si vuole leggere un oroscopo, sapere i programmi TV della settimana o leggere dei cavoli degli amorazzi estivi altrui tende un po’ a spiazzare. Non parliamo delle librerie, un settore in cui per ogni mille libri che transitano al massimo dieci avranno l’onore di finire nelle tasche di qualcuno; gli altri vedranno lo scatolone della consegna e quello del ritiro dopo aver visto la luce dello scaffale se va bene per tre giorni. Cosa compra la gente? In mezzo a questa confusione, i consigli per gli acquisti del soliti prezzolati e poco altro. Ma in fondo, è tutto così; viviamo nel pieno della tragedia dell’Era della Sovrabbondanza, con tutto il suo disgusto da overdose.

Programmi TV e film per il cinema, richieste di relazioni, ricettine stratosferiche, informazione, divertimenti, cibo, propaganda, rumore, traffico, sicurezza e paura, ricerca del senso e spreco di tempo. E’ come se qualcuno si fosse scordato il volume su OVERLOAD e poi fosse andato in vacanza, rincoglionendo i vicini per venti giorni. A nulla giovano le mille ricerche che dimostrano, dati alla mano, che quanto piu’ è alta la varietà e quantità dell’offerta, tanto più il consumatore evita di comprare, sfugge, si divincola, frastornato, inebetito dalle troppe variabili che la scelta gli pone. Dall’altro lato, la scarsità assoluta, una curva gaussiana semplice ed inesorabile; per cui avrete notti bianche in cui mille guitti suonano incastrati in ogni angolo per dieci sere l’anno, e 346 notti in cui i ladri vanno in giro in coppia per combattere il senso di solitudine di una città deserta; un milione di libri l’anno, e poi quei pochi interessanti che escono di stampa dopo un mese dalla pubblicazione; un sacco di sport, e nessuna reale competizione; diecimila richieste di amicizia, poi il sabato sera stai in casa con la Viennetta e il plaid sulle ginocchia perché tutti ti hanno abbandonato. E’ l’Età della Sovrabbondanza, baby.

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