Ricorre in questi giorni il 20esimo anniversario della scomparsa, all’età di 58 anni, di Renato Grilli, comunista parmigiano anomalo (e ora spiegheremo perché) che ha legato parte della sua esistenza anche a Reggio Emilia.
Grilli era nato da una povera famiglia di mezzadri della montagna parmense nel 1945. Fu Segretario del PCI di Parma a partire dagli anni ’80 e successivamente fu eletto due volte in Parlamento nelle fila del PCI prima e del PDS poi. A differenza di molti altri politici, però, Grilli fu anche una personalità estremamente dinamica che alla passione per la politica seppe unire la dote, che potremmo definire imprenditoriale, di concepire e realizzare progetti utili alla comunità.
Nella foto: Renato Grilli
Ad esempio fu fondatore e presidente dell’Orchestra Regionale dell’Emilia-Romagna, quella che oggi tutti conosciamo e apprezziamo come Fondazione Arturo Toscanini. A Reggio, per la precisione a Boretto, nella seconda metà degli anni ’90 fu presidente dell’ARNI, l’Azienda Regionale per la Navigazione Interna. L’ARNI all’epoca aveva competenze molto vaste, estendeva la sua attività da Casale Monferrato al Delta del Po, e grazie alla presidenza di Grilli il Po fu valorizzato come mai prima (e, ahinoi, dopo), sia sotto l’aspetto infrastrutturale della navigabilità che sotto l’aspetto turistico e culturale. A distanza di 25 anni, chi ha avuto la fortuna di partecipare ai due spettacoli ricorda ancora lo straordinario concerto di Zucchero Fornaciari lungo la riva reggiana del Po e un altro dell’orchestra Toscanini su una chiatta ancorata in mezzo al fiume (!). Entrambi gli eventi furono resi possibili per merito della creatività e della tenacia di Grilli che non solo li concepì, ma riuscì anche a farli finanziare grazie al coinvolgimento dell’imprenditoria privata. A Grilli si deve anche la realizzazione della banchina fluviale a Pieve Saliceto di Boretto, un’opera importante, vagheggiata infruttuosamente per 40 anni, che oggi purtroppo è scarsamente utilizzata in parte a causa dell’insipienza del ceto amministrativo e politico locale, in parte per effetto della scelta discutibile di spacchettare le competenze dell’ARNI tra l’Autorità di Bacino e l’Agenzia Interregionale per il Po a Parma.
Per una conoscenza più completa delle opere e delle attività di Grilli, rinviamo comunque alla lettura di “Renato Grilli. Passioni e ragioni di un riformista emiliano”, il bel volume edito nel 2007 da Diabasis e curato da Antonia Coppola Grilli che raccoglie i contributi di decine di personalità emiliane e nazionali che lo hanno frequentato.
Di Grilli però, oltre che la sua umanità e la personale generosità, ci piace sottolineare ancor di più la visionarietà e l’anticonformismo che contraddistinsero la sua attività politica. Grilli infatti fu uno dei leader emiliani della cosiddetta “corrente migliorista” del PCI. Appartennero ai miglioristi alcune delle figure più rilevanti della storia della sinistra italiana: Giorgio Napolitano, Luciano Lama, Nilde Iotti, Gerardo Chiaromonte, Umberto Ranieri, Emanuele Macaluso, Gianni Cervetti ed Enrico Morando, solo per citare i nomi più noti. Tutti si riconoscevano nel pensiero di Giorgio Amendola, storico dirigente riformista del PCI che a lungo aveva sottolineato i gravissimi limiti della dottrina marxista. La strategia politica dei miglioristi si può riassumere in una dichiarazione rilasciata a “Il Mondo” da Macaluso nell’agosto 1979, quando disse che “nei suoi sogni” il PCI e il PSI avrebbero dovuto formare un unico soggetto, un grande partito riformista come succedeva in tutto il resto d’Europa. Il giorno dopo l’intervista, intervenne personalmente Berlinguer per chiarire che Macaluso aveva parlato a titolo personale e la sua linea non rifletteva quella del partito.
I miglioristi, in sostanza, erano l’ala riformista e gradualista del partito. Da tempo avevano preso atto del fatto che l’esperienza comunista si fosse rivelata fallimentare in tutto il mondo, perciò, proprio per tentare di salvare il PCI dalla catastrofe che poi si sarebbe abbattuta su tutta la sinistra massimalista con il crollo dell’URSS e con il massacro di Tien An Men, si batterono in anticipo, e largamente inascoltati dal resto del partito, per tentare di recidere i legami con il mondo sovietico e allontanare ogni velleità rivoluzionaria, allora ancora ben diffusa sia tra i vertici del PCI che nella base e negli intellettuali di riferimento. Basti pensare che Giorgio Amendola già nel 1961 aveva proposto di cambiare nome al PCI e di eliminare l’aggettivo “comunista”. Con molti anni di anticipo rispetto al resto del partito, i miglioristi, recuperando l’impostazione originaria del movimento socialista che era stata anche di Prampolini e Turati, teorizzarono che le condizioni di vita dei cittadini e dei lavoratori potevano essere migliorate solo con le riforme, non con le rivoluzioni, né tanto meno con l’illusoria e deleteria ambizione di sostituire l’economia di mercato con la collettivizzazione forzata dei mezzi di produzione. Perciò fin dalla fine degli anni ’70 i miglioristi operarono per favorire “l’unità socialista” con il PSI, allora guidato da Bettino Craxi, odiatissimo sia dai militanti che dai vertici del partito, ma finirono inevitabilmente per scontrarsi con il radicalismo di dirigenti come Ingrao, con l’ortodossia del corpaccione del partito e soprattutto con l’opposizione di Berlinguer, che ancora all’inizio degli anni ’80 vagheggiava un fantomatico “eurocomunismo” da conseguire anche alleandosi con autentici ciarpami dello stalinismo come il comunista francese Marchais.
I miglioristi però non riuscirono a conseguire i loro obiettivi, il PCI prima e il PDS-DS poi rimasero sempre ancorati, oltre che a una sorta di affinità elettiva con l’URSS, a un massimalismo di fondo che ancora oggi riecheggia nello stesso PD in alcune posizioni della nuova Segretaria Schlein. Questo stesso massimalismo e il legame ancestrale della sinistra italiana con il mito della Rivoluzione d’Ottobre consentirono a Berlusconi di “scendere in campo” nel 1993 agitando lo spauracchio dei comunisti, cosa che gli riuscì particolarmente bene visti i consensi che raccolse nelle urne.
A Reggio Emilia l’alleato politico di Grilli negli anni ’80 e ’90 fu un altro migliorista, Vincenzo Bertolini, mente brillantissima che pagò l’adesione alla corrente riformista con l”esclusione dagli incarichi di vertice del partito.
Grilli è scomparso prematuramente nel 2003 e dunque non ha fatto in tempo a veder nascere il PD. Non sappiamo come si collocherebbe oggi, ma sicuramente sarebbe coerente con la sua storia politica di sempre. Probabilmente avrebbe aderito al PD secondo il suo stile, cioè in modo critico. Ci limitiamo però a ricordare che Macaluso non aderì al PD, lamentando che la fusione a freddo tra gli ex PCI e gli ex DC non fosse stata sufficientemente elaborata a livello concettuale e valoriale, e fosse stata effettuata, a suo dire, essenzialmente per costruire un partito di governo, cioè per occupare il potere. Se osserviamo la disinvoltura con la quale molti dirigenti del PD si arrabattano tra Franceschini e Bersani, Bersani e Renzi e tra Renzi e la Schlein, sembra difficile dargli torto.
Insomma, personalità come Grilli, Macaluso e lo stesso Bertolini non vanno solo ricordate per le loro qualità umane. Invece è eticamente e politicamente doveroso attribuirgli l’onore delle armi. All’epoca hanno perso la battaglia politica del riformismo, quando hanno inutilmente cercato di indirizzare il principale partito della sinistra lungo una traiettoria più moderna e coerente con i valori di libertà e tolleranza dell’occidente e delle grandi democrazie e liberali e social-democratiche europee. Ma la storia ha dimostrato che avevano ragione loro, e i partiti nati dalle ceneri del PCI sono poi stati costretti a percorrere, tra mille incertezze e contraddizioni, proprio quel percorso riformista che i miglioristi avevano preconizzato. Loro dunque hanno avuto ragione e i loro avversari hanno avuto torto. Ai miglioristi si può probabilmente rimproverare l’eccessiva timidezza con la quale, per preservare la famosa “unità del partito”, condussero le loro battaglie, ma questa, appunto, è un’altra storia.
Nella foto (presa dalla rete): l’assessore Lanfranco De Franco e il consigliere comunale PD Riccardo Ghidoni alla Festa di Reggio indossano una maglietta con una citazione di Berlinguer.