Il mio è solo un saluto che si limiterà ad esporre quello che secondo me è il cuore dell’Enciclica: il Vangelo della Creazione. Il Papa non si propone di parlare solo ai cristiani, anzi egli vuole istaurare un dialogo con tutti a riguardo della casa comune. «Il degrado della natura è strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana» dice, citando Benedetto XVI.
L’enciclica dunque, che si avvale anche di analisi sociali e di osservazioni sul presente che possono entrare nel dibattito comune, ha uno sfondo molto preciso, rintracciabile nella Scrittura e nella Rivelazione. Essa è infatti un grande invito a un cambiamento di mentalità, al passaggio da una considerazione dell’uomo come essere dotato di una libertà senza limiti – e perciò padrone e despota di tutto ciò che vive intorno a sé e quindi potenziale distruttore della Terra – a un’esperienza della propria umanità come di un dono ricevuto, di cui dobbiamo rispondere. In questo caso l’uomo accetta di essere creatura e vede perciò nelle altre creature non semplicemente delle “cose” di cui disporre a proprio piacimento, ma dei fratelli e delle sorelle, per usare l’espressione di san Francesco, che, seppure al suo servizio, devono essere rispettati per lo scopo per cui Dio li ha voluti. La natura è dunque un libro in cui Dio ci parla (cfr. Sap. 13,5; Rm 1,20) e ci invita a leggere le parole in essa contenute che riguardano il suo Autore, il posto e la finalità di ogni creatura e il suo rapporto con l’uomo.
L’enciclica è perciò anche un grande dialogo interreligioso proprio perché vuole suscitare uno sguardo “religioso” sul mondo, uno sguardo opposto a quello funzionale e sfruttatore che oggi sembra essere il centro del pensiero dominante. Non a caso papa Francesco cita un’espressione del patriarca ortodosso Bartolomeo: «Occorre passare dal consumo al sacrificio, dalla avidità alla generosità, dallo spreco alla condivisione».
Il centro di questo secondo capitolo può esseretrovato, a mio parere, nelle espressioni di Gesù riportate da Mt 6,25-34. Innanzitutto espressioni di stupore e meraviglia di fronte alla bellezza del creato, guardato con gli occhi del Padre.Guardate gli uccelli del cielo: non seminano né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro?… Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano… Ora se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani viene gettata nel forno, non farà più assai per voi, gente di poca fede?. In queste parole di Gesù, citate per altro anche dal Papa, troviamo i due pilastri fondamentali di tutta la visione antropologica e cosmologica dell’enciclica. Dal punto di vista antropologico l’uomo è visto come dotato di un’immensa dignità. Riferendosi al racconto della creazione, il Papa parla di ogni essere umano, creato ad immagine e somiglianza di Dio, come espressione del suo amore. Ogni uomo e ogni donna sono voluti dal creatore come un bene in sé, come i termini di un dialogo che Dio ha pensato prima del tempo, avendo immaginato ciascuno con un proprio nome, cioè con una propria identità precisa, distinta da tutte le altre creature.
Nello stesso tempo lo sguardo di Gesù si posa sul mondo vegetale ed animale con un grande stupore e con una grande lode al Padre per avere creato simili meraviglie nell’universo. Dunque anche tutti gli altri esseri viventi hanno un valore proprio di fronte a Dio. Benché il racconto della creazione parli delle creature, a cui Adamo dà il nome, come gloria dell’uomo e della donna, questo non vuol dire che essi ne possano disporre a loro piacimento in modo disordinato. Distruggendo l’armonioso rapporto fra le creature andiamo ad intaccare la bellezza di ciò che Dio ha creato. Come è visibile questo, oggi più che mai, in certe deturpazioni del paesaggio, nella distruzione delle foreste, nell’inquinamento delle acque…, tutti fenomeni che portano con sé disastrose conseguenze per la vita dell’uomo, soprattutto per i più poveri, e per il futuro stesso della Terra.
Soltanto se ci riconosciamo creature, se non pretendiamo di prendere il posto di Dio, riusciremo a stabilire delle relazioni di giustizia con la terra, con il prossimo e con Dio stesso, quelle relazioni di giustizia rotte dentro di noi dal peccato.Queste rotture sono la causa di tante violenze, distruzioni e guerre.
Sempre nel libro della Genesi, dopo il racconto della creazione e del peccato originale, l’autore biblico dice che Adamo ed Eva sono invitati a coltivare e custodire il giardino del mondo, a proteggerlo, curarlo, preservarlo, conservarlo, a vigilare su di esso. In queste espressioni dell’autore biblico è custodito il compito dell’uomo verso il creato che deve essere perciò rispettato nelle sue leggi, nelle sue specie viventi e nel suo valore di segno meraviglioso della verità di Dio che è bellezza, armonia e canto.
La terra esce dalla mani di Dio come un bene per tutti. Non è un caso che il salmo dica:Del Signore è la Terra e di quanto contiene. Essa ci è soltanto affidata, non ne abbiamo la proprietà assoluta e questo spiega perché nell’enciclica si insista molto sulla distribuzione delle terre e sul fatto che tutti gli uomini hanno diritto alla terra su cui vivere e attraverso cui mantenersi.
L’enciclica ricorda i brani del Levitico in cui si parla dell’anno sabbatico per il riposo della terra e dell’anno giubilare per la sua redistribuzione. Un tempo di perdono e di rinnovamento dei rapporti fraterni all’interno del popolo, era visto anche come un tempo di rinnovamento del rapporto con il creato. Per questa ragione il papa scrive (n°70): «Tutto è in relazione e la cura autentica della nostra stessa vita e delle nostre relazioni con la natura è inseparabile dalla fraternità, dalla giustizia e dalla fedeltà nei confronti degli altri». Si torna così alla visione antropologica che fa da sfondo al testo di Francesco, inseparabile dalla sua visione teologica (n°75): «Il modo migliore per collocare l’essere umano al suo posto e mettere fine alla sua pretesa di essere un dominatore assoluto della terra è ritornare a proporre la figura di un Padre creatore e unico padrone del mondo, perché altrimenti l’essere umano tenderà sempre a voler imporre alla realtà le proprie leggi e i propri interessi». Per questo il Papa preferisce l’espressione “creazione” all’espressione “natura”. Soltanto se è vista in rapporto a un creatore la natura nasce da un atto di libertà ed amore e perciò ogni creatura ha un valore e un significato. Se si cancella Dio non solo viene meno la figliolanza e la fraternità, ma anche si squilibra il nostro rapporto con gli altri mondi dell’universo.
Dio non ha creato un mondo perfetto.Citando il Catechismo della Chiesa Cattolica, che è uno dei testi più ricordati nell’enciclica, assieme a molti brani di san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, il Papa afferma: «Dio ha creato un mondo bisognoso di sviluppo dove molte cose che noi consideriamo mali fanno parte dei dolori del parto» (n°80). L’imperfezione del mondo risponde alla necessità, da parte di Dio, di salvaguardare la libera scelta dell’uomo nei suoi confronti e quindi di preservare, in fondo,la possibilità dell’amore. Il padre non vuole che aderiamo a Lui per forza, ma liberamente, attraverso la nostra intelligenza e il nostro amore, attratti dalla bellezza di Cristo. Anzi, noi siamo chiamati, in un cammino di conversione, a ricondurre tutte le creature al loro Creatore – secondo quanto dice la lettera ai Romani al capitolo 8 – rispettando la funzione di ogni singolo essere all’interno dell’universo. Naturalmente questo non vuol dire che tutti gli esseri viventi hanno lo stesso valore. Non dobbiamo, dice il Papa, «togliere all’essere umano quel valore peculiare che gli implica allo stesso tempo una tremenda responsabilità» (n°90); e nemmeno divinizzare la terra come fanno alcune filosofie moderne e contemporanee. In questo modo non potremmo collaborare con essa e proteggere la sua fragilità. «Queste concezioni finiscono per creare nuovi squilibri, nel tentativo di sfuggire alla realtà che ci interpella». «Non può essere autentico un sentimento di intima unione con gli altri esseri della natura, se nello stesso tempo, nel cuore non c’è tenerezza, compassione, preoccupazione per gli esseri umani. È evidente l’incoerenza di chi lotta contro il traffico di animali a rischio di estinzione ma rimane indifferente davanti alla tratta di persone, si disinteressa dei poveri, o è determinato a distruggere un altro essere umano che non gli è gradito. Ciò mette a rischio il senso della lotta per l’ambiente» (n°91).
In questo capitolo secondo dell’enciclica sono posti anche i semi di quello successivo. Non c’è infatti ecologia senza una adeguata antropologia, senza cioè ristabilire i nessi autentici tra l’uomo e gli immensi poteri che cercano di soggiogarlo, come quello tecnologico ed economico. A questo è dedicato il terzo capitolo. Gli uomini che dispongono, attraverso la finanza o la scienza,di poteri che reputano infiniti, pensano di manipolare la realtà informe senza rispondere a nessuno. Il Papa fa qui un invito a tornare alla realtà e a riconoscere i limiti che essa impone (n°116), a uscire dal relativismo pratico – per cui tutto diventa irrilevante se non serve ai propri interessi immediati – e a ritornare ad una visione e ad una esperienza in cui non necessariamente tutto ciò che è possibile sia visto come un bene, ma si abbia a cuore la ricerca di soluzioni ai problemi dell’uomo che rispettino la dignità di tutti, una crescita integrata del nord e del sud del mondo, un rispetto della terra, perché sia garantito un futuro al nostro pianeta e a noi che lo abitiamo.