Firenze – L’interrogativo che tormenta il popolo democratico sulla proposta di legge elettorale che il Consiglio regionale si appresta a votare martedì 9 e mercoledì 10 settembre è quasi disarmante per la sua semplicità: il compromesso raggiunto fra il Pd e Forza Italia sulla scia del Patto del Nazareno è accettabile? Ovvero: mettendo sul piatto della bilancia gli aspetti positivi e quelli critici, pesano di più i primi o i secondi?
A parere degli oratori che stasera 7 settembre si sono alternati sul palco centrale della Festa dell’Unità di Firenze, il risultato ottenuto è “buono e accettabile”. Secondo una fronda di dissenso interno guidato dalla consigliera Daniela Lastri, la proposta di legge “nazarena” è invece da buttare in alcune sue parti qualificanti. In Consiglio ci sarà dunque battaglia.
Al di là della ragione e dei torti, era abbastanza curioso sentire i vertici del partito toscano (il capogruppo Pd in Consiglio Ivan Ferrucci, il segretario regionale Dario Parrini, che dialogavano con il professor Roberto D’Alimonte dell’Università LUISS), affermare che, fosse stato per loro, il meccanismo ideale sarebbe stato il collegio uninominale, il listino regionale bloccato non sarebbe stato introdotto e la soglia per ottenere la rappresentanza non sarebbe stata del 5% per il partito che si presenta da solo e del 3% per quello in coalizione, ma un’unica quota come avviene nel resto d’Europa. Tuttavia la politica è l’arte del compromesso e l’accordo con Forza Italia è inevitabile nel momento in cui si difende un principio fondamentale della democrazia e cioè che non si dettano le regole a maggioranza contro la minoranza, come fece il Centrodestra quando impose il “porcellum” di Roberto Calderoli.
Il succo del dibattito, seguito da un pubblico numeroso e interessato, sta in questa petizione di principio: era necessario trovare un accordo, ogni parte ha dovuto cedere qualcosa, ma alla fine bisogna essere soddisfatti, anche perché, come è intuibile ed è stato detto esplicitamente, la mancata intesa a Firenze avrebbe avuto conseguenze negative anche a Roma, su quell’Italicum che ha già ottenuto il sì della Camera. Allora andiamo a vedere con Ferrucci e Parrini quali sono le parti “innovative” che potranno fare da modello anche per il dibattito nazionale.
Innanzitutto la reintroduzione delle preferenze, cioè il riconsegnare ai cittadini la scelta dei loro rappresentanti a. Gli elettori del Pd troveranno sulle schede un numero di candidati doppio dei posti a disposizione (80 per 40 posti) e con le loro crocette daranno la loro preferenza. Dunque ampia scelta, meno complicata. L’elettore poi potrà dare fino a due preferenze, ma la seconda dovrà essere di genere opposto alla prima: se la prima scelta sarà maschio, la seconda dovrà essere femmina e viceversa. Le liste poi sono ridotte per scongiurare i difetti delle maxi preferenze di un tempo: se la circoscrizione dispone di tre seggi, nella lista del Pd si potrà scegliere fra sei candidati.
L’ultimo punto a favore della proposta di legge riguarda il ballottaggio: una coalizione dovrà superare il 40% per avere il premio di maggioranza fino al 60% dei seggi. Se nessuno arriva a quella quota si andrà al secondo turno. A parere di D’Alimonte, sta qui il vero successo di Matteo Renzi: l’essere riuscito a strappare a Denis Verdini, il fiduciario di Berlusconi, il ballottaggio che questi non voleva per la difficoltà comprovata di Forza Italia di portare alle urne i propri elettori per la seconda volta. “Il ballottaggio – ha spiegato – rende più razionale il fatto di concedere un premio di maggioranza a chi ottiene solo il 30% dei voti come avveniva con il porcellum e del resto questo è il punto principale bocciato dalla Corte costituzionale”. Insomma “si è fatto un notevole passo in avanti rispetto alle due leggi precedenti – ha detto Ferrucci – anche se con la riforma del Senato sarebbe opportuno che la competenza della legge elettorale ritornasse allo Stato perché le assemblee regionali che esprimeranno i senatori dovrebbero essere elette tutte con lo stesso meccanismo”.
Ci sono ora le parti critiche, il listino bloccato facoltativo e le soglie di ingresso provenienti dalle richieste di Forza Italia, sulle quali D’Alimonte, Ferrucci e Parrini non hanno lesinato tutte le loro perplessità, ma “non si può imporre i propri ideali”. Questo il refrain che i tre hanno ripetuto a Erica Schiavoncini, giovane militante, che ha portato la posizione dei dissidenti che stanno raccogliendo le firme per un referendum consultivo: anche se il Pd ha dichiarato che non utilizzerà il listino bloccato, “ non vogliamo che un diritto diventi una gentile concessione – ha detto Erica – e del resto profuma di incostituzionalità il fatto che i rappresentanti possano essere scelti con meccanismi diversi”. Nel caso degli sbarramenti, inoltre, “si costringono le forze minori, se vogliono esistere, ad aderire a coalizioni senza alcun intento programmatico. La qualità della democrazia si vede dalla voce che hanno le minoranze”. Il dibattito si è concluso con scambi polemici fra Parrini e la Lastri, un anticipo di quello che accadrà da martedì in Consiglio regionale.