Le statue abbattute: oggi prosperano le schiavitù economiche

Parigi – Bristol  è stata recentemente presa di mira per essersi arricchita con la tratta atlantica e le statue dei responsabili del mercato degli africani abbattute senza pietà. Gli stessi abitanti  sembrano avere però rimosso che Bristol era stata un importante mercato di schiavi secoli prima del lucroso commercio di manodopera verso gli Stati Uniti.

Nel Medio Evo la città infatti era stata il principale  centro Anglo-Sassone della tratta umana. Uomini, donne e bambini catturati nel Galles e nel nord dell’Inghilterra venivano spediti  via mare come schiavi a Dublino dove regnavano i Vichinghi che poi li rivendevano in tutto il mondo noto allora.

Questa non è che una delle numerose pagine della storia del vergognoso commercio che sembra nato assieme all’umanità per poi dilagare sotto quasi tutte le civiltà, come testimoniano innumerevoli documenti, dalle tavolette di 4.000 anni fa a bassorilievi, da codici e registri di compravendita. Anche nelle opere, come Il ratto del serraglio o l’Italiana di Algeri abbiamo echi del commercio dei bianchi catturati nel Mediterraneo.

Come ci ricordano poi gli storici, sono state infatti tre le tratte che hanno depredato l’Africa di forze vive, una prima interna, sub-sahariana, che avrebbe coinvolto dieci milioni di persone, una seconda trans-sahariana diretta verso il Nord musulmano che avrebbe deportato 17 milioni in tredici secoli e quella atlantica, la sola ora veramente al centro dell’attenzione, 14 milioni in tre secoli. In media, precisa lo storico Pierre Vermeeren, la prima avrebbe riguardato  13.000 persone in 1.260 anni e la seconda 46.000 in  300 anni.

Insomma non si può ridurre il mercato degli schiavi solo a quello organizzato dai negrieri tra l’Africa occidentale alle piantagioni americane perché è sempre meglio guardare in faccia la realtà, soprattutto se si vogliono rimuovere gli orrori

Perché mentre si abbattono le statue dei negrieri e schiavisti, la schiavitù non è stata affatto sradicata, nonostante le battaglie contro la sua abolizione si siano solidamente affermate. Almeno nei codici e nelle coscienze. Ma non abbastanza se si pensa che secondo la Fondazione  Walk Free  ancora nel 2016 esistevano  46 milioni di schiavi, di cui la metà in Asia e circa l’altra metà in Africa e nella penisola arabica.  Il grande flusso migratorio ha certamente poi alimentato la tratta umana, come dimostrano anche numerose testimonianze sul commercio dei migranti in Libia, alcuni venduti per poche centinaia di euro.

Neanche l’Europa può sentirsi la coscienza pulita se gruppi criminali riescono a ridurre in schiavitù economica o sessuale chi lascia il proprio paese per  trovare in occidente una vita migliore.  Quanti migranti sono costretti ad accettare salari di miseria perché non hanno altra scelta, come avveniva o forse avviene ancora per la raccolta di pomodori in Italia.

O come sta avvenendo a Leicester dove migliaia di persone lavorano nell’industria tessile a un salario di 3,5 sterline all’ora, meno della metà del salario minimo garantito che è di 8,75 sterline. La povertà di questa classe operaia, costretta a lavorare in condizioni sanitarie più che precarie e a vivere in dormitori sovraffollati, sarebbe una delle cause che ha portato il governo a decidere un nuovo lockdown della città colpita da un tasso di contagio più alto che altrove.

Le condizioni di lavoro nel tessile sono state equiparate dalla stampa inglese a una forma di schiavitù moderna che nella sola Leicester colpirebbe oltre 10.000 persone. Insomma sarebbe ora che oltre a criticare il passato ci si adoperasse perché anche il nostro presente non sia un giorno al centro di critiche  polemiche per non avere combattuto contro la schiavitù.

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