Inizialmente ne dovevano scomparire 42, poi il numero è sceso a 35, adesso i tagli non colpiranno più nessuno.
Ha le sembianze di una telenovela il provvedimento sul destino delle Province che, a suon di emendamenti, subemendamenti e ricorsi, si è momentaneamente concluso con la bocciatura del decreto da parte della Corte Costituzionale.
La riduzione delle amministrazioni provinciali avrebbe assicurato alle casse pubbliche un risparmio di circa 5 miliardi di euro ma la proposta, avanzata nel dicembre 2011 dal Governo Monti e facente parte del decreto “Salva Italia”, è stata respinta dalla Consulta che ne ha dichiarato l‘illegittimità costituzionale.
Il decreto legge è uno strumento “destinato a fronteggiare casi straordinari di necessità ed urgenza” e non è dunque “utilizzabile per realizzare una riforma organica e di settore”, hanno commentato i giudici. Inoltre, anche i criteri secondo cui a scomparire sarebbero state le Province con meno di 350 mila abitanti e una superficie inferiore ai 2.500 km quadrati sono stati giudicati illegittimi.
La decisione ha naturalmente trovato d’accordo Antonio Saitta, presidente dell’Upi (Unione delle Province Italiane): “nessuna motivazione economica era giustificata e quindi la decretazione d’urgenza non poteva essere la strada legittima”.
Il Ministro Graziano Delrio, che proprio qualche giorno fa aveva annunciato che le Province, Consulta permettendo, sarebbero state tagliate dopo un apposito Consiglio dei Ministri in settimana, è stato costretto ad un brusco dietrofront: “adegueremo il metodo secondo le indicazioni importanti della Corte”.
Le 35 Province che erano state messe alla gogna (compresa quella di Reggio Emilia, per la quale era previsto l’accorpamento con Modena) sono dunque salve, almeno fino a fine anno.