In molte occasioni Lei ha rivelato il suo dissenso per tutte le guerre. Che cosa è per Lei la pace? Un'utopia? Un sogno? Una conquista?
L'ha detto bene Alberto Moravia: la guerra deve diventare un tabù. Così come gli esseri umani hanno saputo interiorizzare il tabù dell'incesto -che fa parte della natura, perché come insegnano gli animali la natura non rifiuta l'incesto, ma anzi lo incoraggia- dovrebbero imparare a interiorizzare il tabù della guerra. Solo allora si creerebbe una cultura della pace, l'unica capace di fermare le guerre.
I media ci raccontano i conflitti: "bombe intelligenti", "fuoco amico", "effetti collaterali" sono soltanto alcuni dei termini tecnici usati per descrivere quello che è avvenuto e avviene sui campi di battaglia. Lei, da scrittrice e dunque attenta al significato delle parole, può aiutarci a decodificare il linguaggio della guerra?
Le formule verbali sono lì per imbalsamare la realtà. Le sbavature, le incongruenze, le contraddizioni quotidiane si nascondono bene dentro le frasi fatte, i termini prestabiliti, come 'effetti collaterali' o 'bombe intelligenti’, eccetera. Consiglierei di liberarsi delle frasi fatte che non dicono niente e di guardare le cose con occhi ingenui, ovvero capaci di stupirsi e di indignarsi.
Le ultime guerre ripropongono due immagini molto forti: da una parte l'esercito supertecnologico dell'America capace di sganciare bombe di grande potenza, dall'altra i cosiddetti "martiri", gli uomini bomba, i kamikaze, che si lasciano morire e uccidono per difendere la loro terra. Con quale stato d'animo ha visto e giudica questi due aspetti della violenza della guerra?
La guerra è una pessima educatrice: ci abitua a pensare che tutto si possa risolvere con la forza. E in effetti la forza vince, vince sempre, ma quello che provoca è la mortificazione dell'intelligenza, la morte della fiducia e della tolleranza, il disprezzo dell'amicizia, della solidarietà. Anche coi figli, se un padre adopera le maniere forti, non c'è dubbio che il figlio diventerà ubbidiente e sottomesso, ma cosa coverà in petto se non rancore represso, frustrazione, odio di sé e voglia di vendetta? Infatti, se si vuole rovinare un figlio lo si deve riempire di botte. Imparerà che quello è il linguaggio degli affetti e tenderà a fare lo stesso da grande, oppure sarà malato e nemico di se stesso, a meno che non diventi un santo. La forza è vittoriosa, ma a che prezzo?
Suo padre, antropologo, fotografo, scrittore è stato anche un "viaggiator curioso" per usare il titolo di un interessante libro scritto su di lui. E' stato dunque un uomo che ha conosciuto e descritto popoli diversi. Che cosa le ha trasmesso delle altre culture. Come far comprendere l'importanza della diversità?
Mio padre mi ha insegnato, fin da bambina, la curiosità e il rispetto per le culture diverse dalla mia. Certo non è sempre facile capire e accettare culture lontane e difficili da condividere, ma ci si prova, quello che conta è l'atteggiamento di apertura e non il rifiuto cieco di tutto ciò che è diverso.