Esiste ancora il “gentil sesso”? È mai esistito veramente? O sono gli uomini che hanno addebitato alle donne una serie di cliché del tutto improbabili? Stefano Benni osserva e descrive l’universo femminile nelle sue svariate sfaccettature, rompe gli schemi con quell’immagine angelicata della donna per mostrarne la forza, l’energia, e anche la crudeltà, nella sua opera Le Beatrici, in scena al Teatro di Rifredi. Cinque monologhi tragicomici di personaggi molto diversi tra loro, assolutamente complessi nel loro essere indifese e agguerrite allo stesso tempo. Per secoli le donne non hanno avuto la possibilità di esprimersi liberamente, represse da padri padroni o da mariti gelosi, ricattate da una morale che le relegava al margine della società, come se a loro non fosse concesso tutto. La figura femminile doveva essere simbolo di virtù, comprendere in sé tutti i valori e gli ideali umani. I maschi potevano essere selvaggi, violenti, impostori e seduttori, ma le femmine no. Loro rimanevano nei ranghi. Difficile pensare che dietro l’apparenza di fanciulle delicate e pulite si celassero arpie e streghe. Oggi si può dire che la parte “putrida” del genere femminile si fa strada nel mondo alla pari di quello maschile. L’uguaglianza in questo sembra essere stata raggiunta.
È lei, la Beatrice Portinari di Dante, a essere la prima donna svelata da Benni. Modello di dolcezza, beatitudine, amore, probabilmente questa ragazzina poco se ne faceva dei versi del poeta, in fondo voleva solo un uomo che la stringesse tra le braccia e le provocasse emozioni vere, concrete. L’interpretazione di questa innovativa immagine della musa dantesca è affidata alla giovane Martina Badiluzzi, simpatica, frizzante, il cui viso si mostra apparentemente innocente. Divertente ed energica nei panni della suora posseduta dal demonio Valentina Virando, i pensieri più segreti e perversi di una donna reclusa in convento vengono esternati in un turpiloquio, e chissà se è davvero opera solo del Diavolo. Giovani di oggi tra shopping, cellulari, gossip e superficialità si rispecchiano nell’adolescente interpretata da Beatrice Pedata, insensibile e a tratti anche sguaiata. Non convince Elisa Marinoni nei panni di un’imprenditrice di successo spietata e cinica. Intensa la presenza di Valentina Chico in un monologo sull’attesa, profondo e filosofico, forse un po’ slegato dal resto dello spettacolo. Infine l’assolo collettivo che racchiude tutte le femmine in un solo aspetto, quello del licantropo, l’essere che per abitudine nasconde la propria identità sotto false spoglie, che è solito mostrarsi per quello che non è celando i suoi desideri, i suoi pensieri, i suoi vizi che, se rivelati, farebbero inorridire chiunque.
La regia di Benni comprime i suoi monologhi in un rito scenico che si ripete da secoli. Le cinque attrici entrano ed escono di scena come una compagnia girovaga che si ferma in un posto, disfa i suoi bagagli, per poi raccogliere nuovamente tutte le sue robe al momento della partenza. Durante la narrazione di ogni interprete le altre restano in scena, ammiccano, cantano, ballano, osservano, ascoltano. Partecipano. In fondo ogni donna racchiude in sé mille personalità.