L’avventura degli Argonauti: il viaggio più pericoloso della storia

L’epica impresa della nave Argo e dei suoi intrepidi marinai

Un ariete che, prima di finire tra le costellazioni, lascia sulla terra il suo vello d’oro, un condottiero allevato da un centauro e non sempre all’altezza del suo compito, una ragazzina sognante che si trasforma in strega rabbiosa, e poi un viaggio infinito per acque perigliose.  Il nuovo libro di Tommaso Braccini , ordinario di  Filologia greca e latina dell’Università di Siena,   che s’intitola,  appunto,  Il viaggio più pericoloso della storia. Sulla rotta degli Argonauti (Il Mulino 2024) ripercorre l’epica impresa della nave Argo e dei suoi intrepidi marinai che   è l’archetipo di tutti i viaggi, una inesauribile fonte di rivelazioni, suggestioni e rimandi che riserveranno più di una sorpresa. Unifica il mondo antico e ne prefigura il futuro.

Ed  è la storia del primo contatto tra Oriente e Occidente, la testimonianza della reciproca conoscenza e il formarsi di un dialogo possibile. Ripercorrendo le rotte, degli Argonauti il Prof. Braccini  ricostruisce la geografia e l’etnografia mitica del cuore dell’Europa, del Mediterraneo e delle sue sponde, e dell’Oceano illimitato.

Ne abbiamo parlato con lui in questa intervista.

L’impresa degli Argonauti  può essere considerata una fonte ispiratrice  di  Omero ?    

In genere si pensa che l’Iliade e l’Odissea attribuite a Omero siano i primi classici della cultura occidentale, e sicuramente sono i testi con cui ha inizio la letteratura greca. Ma anche Omero aveva i suoi classici, e il principale tra questi era proprio, probabilmente, la storia degli Argonauti: non a caso nell’Odissea è la stessa Circe a parlare a Ulisse della “nave Argo conosciuta da tutti”. E sono in effetti le avventure di Ulisse a presentare i maggiori punti di contatto con il grande viaggio di Giasone e dei suoi compagni, tanto che alcune delle tappe sono identiche, a partire dalla sosta presso Circe. Che, però, nella storia degli Argonauti non ha intenzione di trasformare in maiale nessuno, forse perché insieme a Giasone e agli altri c’è anche sua nipote, Medea.

Perché la vicenda è stata ambientata nella Colchide? Cosa significava per i Greci questa località?

La Colchide, che corrisponde all’attuale Georgia, soprattutto per i Greci dell’età arcaica rappresentava l’estremo oriente. Percorrendo con le navi il Mar Nero, che i Greci chiamavano Ponto Eusino (il “mare ospitale”), non si poteva infatti procedere più a est della terra dei Colchi. Quindi, da un lato era uno dei confini della terra, e raggiungendola gli Argonauti si erano spinti, in sostanza, al limite del mondo. D’altro canto la Colchide era anche un simbolo delle leggendarie ricchezze dell’Oriente, e a questo sembra alludere il mitico Vello d’Oro, la pelle aurea di un montone che Giasone e compagni devono riportare in Grecia.

Nel corso del tempo sono state avanzate molteplici teorie per capire cosa vi sia dietro questo simbolo, comprese stravaganti ipotesi psicanalitiche e alchemiche, di cui racconto nel libro. Ma una delle spiegazioni più quotate, fin dall’antichità, è che parlando del Vello si alludesse all’attività di antichi cercatori d’oro: si dice che fino a non molto tempo fa nella Svanezia, una regione della Georgia, si fosse soliti “pescare” le pagliuzze d’oro presenti nei fiumi della regione facendo scorrere l’acqua proprio su villose pelli di montone, tra i cui peli rimanevano impigliate le fibre di metallo prezioso.  

Fonti molteplici   danno versioni differenti e  divergenti…. Questo crea  “confusione” o  un arricchimento del mito ?

La presenza di tante versioni è indice della grande vitalità di un mito. E in effetti, quasi tutti i racconti più noti che ci arrivano dall’antica Grecia hanno visto, già nell’antichità, rivisitazioni e variazioni di ogni tipo. In tanti casi, però, queste storie alternative per noi sono confinate alle note a piè di pagina dei manuali di mitologia. Per quanto riguarda gli Argonauti, invece, la situazione è differente: a trattare delle loro vicende sono stati grandissimi autori, come Pindaro, Euripide, Apollonio Rodio, Ovidio. E ciascuno di loro “dialoga” con i propri predecessori e contemporanei: ricostruire questa trama di allusioni rende, in effetti, ancora più coinvolgente e ricca la lettura dei capolavori della letteratura classica.

L’impresa degli Argonauti la conosciamo soprattutto attraverso  la versione ellenistica di Apollonio Rodio. Ma perché ha paragonato questa versione a un Iliade o un’Odissea  rivisitate da  Woody Allen ?

Pare che in origine la saga degli Argonauti fosse una tipica storia in cui un eroe senza macchia e senza paura, Giasone, trionfava grazie all’aiuto degli dèi e soprattutto alla propria forza, al proprio valore e alla propria prodezza. Apollonio Rodio, scrivendo in piena età ellenistica, si diverte a demolire tutto questo con una buona dose d’ironia dissacrante. Giasone diventa un opportunista incerto e titubante (nei momenti di difficoltà, è spesso il più disperato di tutti…), il cui unico asso nella manica è il bell’aspetto, che gli procura l’amore di Ipsipile e soprattutto di Medea, che per lui sacrificherà tutto e che con la sua magia lo aiuterà a risolvere ogni problema. E non mancano frecciatine ironiche anche contro altri “mostri sacri” della tradizione eroica, come Eracle, che da un lato con la sua esuberanza fisica è decisamente fuori posto a bordo della nave Argo (è talmente forte che quando voga spezza il proprio remo), e dall’altro è dipinto come un buzzurro che non esita a gettarsi  a terra per bere letteralmente “come una vacca” quando, a forza di calci dati a una roccia, riesce a far zampillare una sorgente d’acqua in mezzo al deserto.

E  perché  si può fare un paragone anche con   i   Guardiani della galassia?

Perché come in questo celebre film di fantasy/fantascienza (e nei suoi seguiti) anche nella storia degli Argonauti siamo di fronte a un equipaggio mirabolante, dove quasi ogni singolo marinaio presenta caratteristiche uniche. Ci sono i due figli di Borea, il vento del nord, muniti di ali; ci sono Eufemo e Ificlo, talmente veloci da essere in grado di correre sulla superficie del mare senza affondare; c’è Linceo, dalla vista acutissima; Periclimeno, in grado di trasformarsi in tutto ciò che vuole; una ragazza diventata uomo, Ceneo; e anche un’altra ragazza in grado di tenere testa a qualsiasi uomo, Atalanta. E, come nei Guardiani della galassia, il leader della spedizione è il più “normale” e ordinario di tutti, senza nessun potere speciale al di là della bella presenza e della capacità dialettica.

Quali le ragioni per cui  il  mito degli Argonauti   ha avuto immensa fortuna in ogni epoca ?

Da un lato, perché è in un certo senso l’archetipo del viaggio, e non solo: si tratta di un viaggio effettuato con un mezzo rivoluzionario forgiato dalle mani degli uomini (per quanto, naturalmente, con qualche aiuto da parte degli dèi). La nave Argo, infatti, nel mito è la prima imbarcazione mai esistita, ed è dunque un modello per tutti gli altri mezzi di trasporto inventati in seguito, che hanno permesso all’umanità di annullare le distanze, superando l’ignoto e il pericolo: tra gli Argonauti e gli astronauti, insomma, la differenza è pochissima. E poi, perché nelle sue peregrinazioni la nave Argo e il suo equipaggio toccano tutto il mondo conosciuto allora, spingendosi fino al Nilo, ai deserti dell’Africa, persino all’oceano artico, all’Irlanda, e arrivando a percorrere il Danubio, il Po, il Rodano, secondo alcuni persino il Reno. Tutti, insomma, potevano rivendicare per sé il passaggio degli Argonauti, e per questo si tratta di uno dei miti più inclusivi e unificanti.

La Medea di Euripide ha contribuito molto  nell’interpretazione della vicenda degli Argonauti

Euripide è in un certo senso l’emblema del genio incompreso, perlomeno nella sua patria. Quando venne rappresentata per la prima volta ad Atene, nel 431 a.C., la Medea arrivò infatti ultima nel concorso tragico delle Grandi Dionisie. Eppure, nei secoli successivi è diventata una delle tragedie più note e influenti. Era già un “classico” imprescindibile per Apollonio Rodio e i suoi contemporanei. E per questo, quando scelse di scrivere le sue Argonautiche, Apollonio reinterpretò tutta la vicenda di Giasone e compagni proprio alla luce del capolavoro di Euripide. Per questo Medea, che nelle versioni precedenti della saga era poco più di una comprimaria, conquista il centro della scena e diventa il personaggio chiave, mentre Giasone rivela già il cinico opportunismo che lo caratterizzerà nella tragedia euripidea. 

Tra i libri di Tommaso Braccini (foto) :  Il romanzo di Costantinopoli: guida letteraria alla Roma d’Oriente (con S. Ronchey; Torino 2010), Il povero Leone: Ptocholeon (Torino 2020) e La nave di Caronte: visioni dall’Aldilà a Bisanzio (con L. Silvano; Torino 2022). Per Salerno Editrice ha pubblicato Bisanzio prima di Bisanzio: miti e fondazioni della Nuova Roma (2019) e per Carocci editore Lupus in fabula. Fiabe, leggende e barzellette in Grecia e a Roma (2018) e I Greci, i Romani e… il riso (2022)  Trebisonda, L’impero incantato tra storia e leggenda (2024).

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