Lavoro, l’Italia che lascia indietro le donne

Lo dicono i numeri di una ricerca della Bocconi: il nostro Paese è il fanalino di coda in Europa per stipendi e carriera

Donatella Davoli

Sono stati recentemente presentati i risultati della ricerca effettuata dall’Osservatorio sul Diversity Management di SDA Bocconi in collaborazione con Hay Group sulle differenze che esistono in Italia tra uomini e donne per quanto riguarda i temi della carriera e della retribuzione.

L’analisi è stata effettuata utilizzando i dati di Hay Group (società di consulenza leader nelle valutazioni dei ruoli professionali, il cui metodo di misurazione è il più utilizzato nel mondo)  ricavati da un campione di 222 aziende del settore privato (147 italiane e 74 subsidiary di multinazionali estere) per un totale di oltre 8 mila dirigenti.

I risultati della ricerca in realtà dimostrano che in Italia il problema non è il differenziale retributivo ma il grado di complessità delle posizioni ricoperte dalle donne.

Infatti  se si considerano posizioni di uguale complessità, il gender pay gap, in Italia è pari al 5%, cioè statisticamente poco significativo; se si occupa la stessa funzione/ruolo in generale la retribuzione è più o meno la stessa per gli uomini e per le donne.

In realtà però è molto evidente che è più difficile per le donne accedere a ruoli di alta responsabilità, che chiaramente risultano essere quelli più retribuiti.

Perché si determina questa diseguaglianza? Se è vero che le donne in Italia sono istruite almeno quanto gli uomini e maturano competenze analoghe (il 60,1 % dei laureati sono donne),  se è vero che le donne si laureano prima e meglio degli uomini, perché il mondo del lavoro non riesce a riconoscere questo talento?

Le donne nelle aziende vengono apprezzate perché lavorano tanto, portano a termini i compiti affidati e quindi sono brave, tenaci, affidabili e hanno grande senso di responsabilità ma continuano a non essere viste come cervelli strategici.

E infatti le donne ai vertici sono pochissime: quelle amministratore delegato sono il 4% appena mentre le donne membri dei Consigli d’Amministrazione si fermano al 9%, le dirigenti sono il 20-26% a seconda dei settori, percentuali già basse ma che si diluiscono al crescere dell’importanza del ruolo dirigenziale.

La ricerca citata ha inoltre evidenziato due forme di ‘segregazione’ che le donne vivono in azienda: una di tipo verticale, il numero delle donne cioè tende a diminuire al crescere della complessità del ruolo/posizione e una di tipo orizzontale, mentre la presenza maschile è distribuita in maniera uniforme in tutti i business quella delle donne è maggiormente rilevante in alcuni settori: quelli non alimentare (21,5%), farmaceutico (21%) e servizi (18%). All’interno delle aziende, poi, la presenza femminile è più concentrata nelle funzioni di: Marketing (26,3%), Risorse umane (23,7) e Amministrazione (19,6%). Se si considerano gli aggregati di famiglie professionali, vi è una maggiore presenza femminile nelle funzioni di Staff (19,3%) rispetto a quelle di Linea (8,7).

Tutto questo succede mentre vi sono continue conferme che la presenza di donne nei ruoli di comando e nelle carriere direttive può portare a migliori performance dell’azienda. Di recente  Accenture ha evidenziato che per gestire un’organizzazione sono fondamentali alcune qualità prettamente femminili quali: originalità di pensiero, leadership intuitiva, intelligenza emotiva, spirito di collaborazione e un  recente rapporto della Commissione Europea ha ribadito che una maggior presenza di donne nelle posizioni chiave del potere potrebbe essere auspicabile per una stabilizzazione dell’economia.

In realtà quindi l’assenza delle donne dal mondo del lavoro e la loro scarsa valorizzazione non è un problema solo di diritti, ma una perdita di valore per il sistema economico nel suo complesso.

Ma per l’Italia tutto ciò non sembra essere un problema come continua a non esserlo quello del merito; io penso invece che  i due temi siano strettamente correlati e vadano affrontati anche come chiave di svolta per risollevarci da questa pesante crisi.

Ricordiamo che l’Italia su questi temi continua ad essere un fanalino di coda sia in Europa che nel mondo ed è sufficiente guardare ai numeri per capirlo: tasso di occupazione femminile nelle ultime posizioni europee (solo Ungheria e Malta presentano una situazione del lavoro femminile peggiore di quella italiana) e 74° posto nella classifica mondiale della presenza di donne ai vertici.

Pensiamoci…

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