Firenze – Quello dei lavoratori irregolari è un esercito che in Italia non conosce crisi. La Toscana si pone a circa metà della classifica, prendendo in considerazione il tasso di lavoro irregolare: nella nostra regione risultano 179.000 lavoratori irregolari, pari al 10,5% dei lavoratori, che producono un’incidenza percentuale di valore aggiunto da lavoro irregolare sul totale del valore aggiunto dell’economia, pari al 4,1%. In soldoni, si sfiorano i 4 milioni e mezzo di euro di valore aggiunto prodotto da lavoro irregolare.
A fare emergere i dati, gli ultimi disponibili, riferiti a inizio 2020, è l’Ufficio Studi della Cgia di Mestre, che, per quanto riguarda il quadro nazionale, mette in luce la presenza di 3,2 milioni di occupati irregolari. La distribuzione cambia se si considerano i valori assoluti o il tasso di irregolarità, ovvero l’incidenza del lavoro irregolare sul totale della occupazione (sia quella regolare che quella non regolare): per quanto riguarda i valori assoluti infatti è il Nord che si aggiudica il primo posto con 1.281.900 occupati irregolari, mentre al secondo posto giunge il Mezzogiorno con 1.202.400. Il Centro appare meglio posizionato, terzo posto con 787.700 lavoratori irregolari. Ma se si considera il tasso di irregolarità, la maggiore incidenza del lavoro irregolare è riscontrata nel Mezzogiorno (17,5 per cento) in cui si stimano 17,5 occupati irregolari ogni 100, mentre al Centro ve ne sono 13,1 e al Nord circa 10. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA.
La questione del lavoro irregolare è strettamente legata al ruolo delle organizzazioni criminali nell’economia. In particolare sono alcuni settori come l’agroalimentare, i trasporti, le costruzioni, la logistica e i servizi di cura a essere nel mirino delle cosche criminali. Del resto, le organizzazioni criminali, con la crisi, hanno diffuso ancora più largamente i loro interessi nell’economia reale del Paese, affiancandoli semore di più con violenze, minacce e sequestro dei documenti, una prassi diffusa, quest’ultima, in particolare per quanto riguarda i lavoratori stranieri. “L’applicazione di queste coercizioni ha trasformato ampie sacche di economia sommersa in lavoro forzato – dicono dall’Ufficio Studi – in larga parte, le vittime sono cittadini stranieri presenti irregolarmente in Italia, ma sono sempre più numerosi anche gli italiani. Le difficoltà economiche di questi ultimi 2 anni e mezzo, infatti, hanno aumentato il numero dei nostri connazionali in condizioni di vulnerabilità o di bisogno che, successivamente, è scivolato verso questo inferno”. Interessante la definizione di lavoro forzato secondo la Convenzione sul lavoro forzato del 1930 (n° 29) dell’ILO (International Labour Organization), in cui si definisce lavoro forzato “qualsiasi lavoro o servizio richiesto a un individuo minacciato di punizione, e per il quale detto individuo non si offre volontariamente”, secondo quanto riporta lo stesso Ufficio Studi della Cgia in una nota.
Anche la pandemia dovuta al Cvoid ha avuto un effetto nefasto sul lavoro irregolare: se a livello nazionale, all’inizio del 2020, l’Istat stimava in poco più di 3,2 milioni le persone che quotidianamente per qualche ora o per l’intera giornata esercitavano un’attività lavorativa irregolare, ora, dopo la crisi pandemica degli ultimi due anni che ha provocato un forte incremento dei lavoratori in Cig e un impoverimento generale delle fasce sociali più deboli, “siamo convinti – scrivono i ricercatori della Cgia di Mestre – che il numero dei lavoratori irregolari e gli effetti economici di questo fenomeno presenti in Italia siano aumentati in misura importante, soprattutto nelle aree del Paese che tradizionalmente sono più fragili e arretrate economicamente”.